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“Un decreto strappa di mano i beni dello Stato” di Luca Del Fra

Bufera sul frutto avvelenato contenuto nella legge per Roma Capitale che affida al Campidoglio funzioni nella valorizzazione e nella tutela del nostro patrimonio culturale. Con forti profili di incostituzionalità

Il 20 gennaio scorso i funzionari del Comune si sono presentati a Palazzo Venezia chiedendo la documentazione su un piccolo restauro in corso, appenaunpaio di ponteggi. Gelosissimi delle loro competenze che comprendono la tutela dei beni culturali, i funzionari dello Stato si sono rifiutati e s’è scatenato un parapiglia: nervi tesi, voci stridule che si sovrapponevano, qualche minaccia, torve lettere tra le amministrazioni.
È il primo frutto avvelenato del decreto attuativo sulla legge perRomaCapitale, che affida alCampidoglio funzioni nella valorizzazione e, tremate!, anche nella tutela dei Beni Culturali. Così, a dispetto delle leggi e della Costituzione repubblicana, il sindaco oltre che sulla città potrà allungare le mani anche sulla archeologia, l’arte, i monumenti: ovvero il nostro patrimonio più importante e prezioso.
DECRETO FUORI LEGGE
Redatto dal precedente esecutivo, approvato il 21novembre scorso nella prima riunione operativa del Consiglio dei ministri del governo Monti, e ora in via di conversione in legge, il decreto contiene diversi profili discutibili.
All’articolo 1 viene «istituita un’apposita sessione della Conferenza Unificata traRomaCapitale (il Comune), lo Stato, la Regione Lazio e la Provincia». Gli articoli 2 e 4, attribuiscono alla Commissione competenze nella «valorizzazione…. anche ai fini del rilascio di titoli autorizzatori, nulla osta e pareri preventivi nell’ambito di procedimenti amministrativi concernenti beni culturali presenti nel territorio di Roma Capitale ». Nella sostanza i rappresentanti del Sindaco potranno mettere bocca dall’orario dei musei dello Stato fino al rilascio delle licenze per costruire in zone di interesse archeologico, artistico o architettonico. Si tratta di una della funzioni fondamentali della tutela, che la Costituzione, articolo 117, affida all’esclusiva potestà allo Stato, vale a dire al Ministero dei Beni Culturali. Anche il Codice per i Beni e le Attività Culturali (D. Lgs. 42/2004) ribadisce che il Mibac ha «le funzioni di tutela sui beni culturali», estendendole a scanso di equivoci a tutti gli interventi che coinvolgono beni pubblici o privati. Eppure qualcuno ha voluto equivocare. Ma c’è di più: è assai discutibile che una conferenza possa emettere autorizzazioni o pareri sull’impatto ambientale. A tutela dei cittadini, la Legge 241del ’90, prescrive tassativamente per ogni procedimento di individuare un’amministrazione competente e uno specifico responsabile – persona fisica. Una sessione della Conferenza per Roma Capitale non è, né potrà mai essere, un’amministrazione competente o una persona fisica da individuare come responsabile. Il decreto, insomma, appare in palese contrasto con la Costituzione e con la legge. In palese contrasto con la Costituzione e con la legge, il decreto in definitiva crea evidenti problemi – di fronte a un ricorso contro un’autorizzazione chi ne risponde, una conferenza? –, per non parlare dei conflitti d’interesse: i lavori del Comune di Roma li autorizza il Comune di Roma! Dulcis in fundo: i beni ecclesiastici sono esclusi da un provvedimento tanto singolare. «Orate fratres»: ecco i privilegi «a divinis».
Pretesa dall’attuale Sindaco di Roma Alemanno, lasciata in eredità dal precedente governo Berlusconi all’attuale di Monti, questa normativa contiene tali e tanti punti controversi che avrebbe meritato una più seria e pacata discussione parlamentare invece d’essere approvata frettolosamente come decreto legge, peraltro l’ultimo giorno utile prima della decadenza del provvedimento.
Gli interessi in gioco sono enormi e, per fare qualche ipotesi d’attualità, Alemanno avrebbe un paio questioncelle da risolvere. A cominciare dal parcheggio sotto via Ripetta, cui il sindaco tiene tanto e che dovrebbe sorgere in un terreno sovraccarico di antiche e importantissime vestigia, che fino a oggi hanno imposto di negare qualsiasi autorizzazione. E poi i lavori per le pretese Olimpiadi, gli scavi della Metro (dai costi triplicati col sindaco che dà la colpa agli archeologi, che hanno semplicemente svolto il loro lavoro e con estrema puntualità), e tanti altri appetiti che si scatenano mangiando. Ma al di là del fatto che oggi in Campidoglio ci sia Alemanno, d’ora in avanti e per sempre questo decreto prevede che Regione, Provincia e Comune – amministrazioni antonomasticamente soggette, per non dire sensibili, a pressioni più o meno limpide –, decidano sul nostro patrimonio.
E questo attraverso la sessione di una Conferenza che rischia di restare in bilico fra una trincea di veti incrociati e un mercato delle vacche. Il 21 febbraio scadono i termini per la conversione in legge di questo decreto.

da L’Unità

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“Quer pasticciaccio capitale”, di Vittorio Emiliani

Nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo». Così il Carlo Emilio Gadda in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. «Gnommero» citato da Paolo Fallai sul «Corriere della Sera» a proposito del pastrocchio- Muller servito da Alemanno- Polverini alla Festa del Cinema. E che può ben essere evocato per il decreto su Roma Capitale. Per il quale il dibattito parlamentare, sin qui inadeguato, ha proposto più nodi irrisolti che soluzioni condivisibili.
Temi a Roma e dintorni delicatissimi come urbanistica, ambiente, beni culturali dovrebbero far capo, secondo il DL, ad una conferenza dei servizi, debole e ambigua, come osserva Luca Del Fra. Dalla Regione e ancor più dallo Stato i poteri decisionali trasmigrerebbero, a Roma (e ho detto poco), in una sorta di limbo opaco. Davvero un suicidio rendere ancor meno chiari, attrezzati e penetranti i poteri amministrativi – quindi piani, prescrizioni, controlli – a fronte della forza dirompente dei costruttori legali (in un colpo solo, detentori di aree/imprenditori edilizi/immobiliaristi) e di un abusivismo spesso inquinato dalla malavita.
UN BRACCIO DI FERRO
Né serve molto dire che è in atto un braccio di ferro fra il Comune che vuole più poteri e la Regione che non li cede. Anche perché, fino a prova contraria, certi poteri sono oggi dello Stato. E dico «per fortuna » anche se ilMiBACnon è un fulmine di guerra. Non lo è nel difendere Roma dall’assalto dell’involgarimento, dell’imbruttimento, della mercificazione, e però il Campidoglio sta addirittura dall’altra parte. Il sottosegretario Cecchi sparge camomilla dicendo che Roma è già sufficientemente tutelata.
Chi ha occhi per vedere, sa che così non è. Ma, con questo «gnommero» o pasticciaccio di decreto, andrebbe, paradossalmente, anche peggio.

da L’Unità