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Lavoro, il Pd incalza il premier «Vanno ascoltate le parti sociali», di Simone Collini

Preoccupazione nel Pd per le esternazioni di Monti sull’articolo 18. Fassina: «Molto sbilanciato verso il Pdl, serve maggiore equilibrio». Tensione anche su liberalizzazioni, Rai e giustizia. Sulla riforma del mercato del lavoro Monti si è sbilanciato troppo verso le posizioni del Pdl, ora ritrovi il necessario equilibrio e ascolti le parti sociali altrimenti tutto si complica. È questo il ragionamento che si fa ai vertici del Pd dopo le ultime uscite del presidente del Consiglio sull’articolo 18 e anche del ministro del Lavoro Elsa Fornero sulla «flessibilità buona».
TONI BASSI MA LA PREOCCUPAZIONE C’È
Pier Luigi Bersani ha suggerito ai suoi di tenere bassi i toni: «È il momento del silenzio, ora lasciamo lavorare governo e parti sociali». Ma la preoccupazione per esternazioni che rischiano di far partire con il piede sbagliato il confronto c’è. E nel Pd qualcuno già dice che senza un accordo con i sindacati verranno presentati in Parlamento precisi emendamenti, altrimenti non ci potrà essere un voto favorevole. Per questo lo stesso leader dei Democratici ha preventivamente consegnato a Monti alla cena dell’altra sera a Palazzo Chigi con anche Alfano e Casini ma non solo un paio di messaggi piuttosto chiari. Il primo: «Si ascoltino le parti sociali perché cambiamento e coesione devono andare insieme, altrimenti il Paese non si salva». Il secondo: «Il problema è come dare lavoro e non come licenziare, ci sono le nostre proposte e dimostrano che si può innovare senza toccare l’articolo 18» (il riferimento è al documento approvato all’ultima riunione del Forum lavoro del Pd, che prevede un contratto prevalente d’ingresso che può durare da sei mesi a tre anni dopo il quale scatterebbe il tempo indeterminato con tutte le tutele oggi esistenti, compreso l’articolo 18).
MONTI SBILANCIATO
Ovviamente nel Pd nessuno pensa sia ipotizzabile far cadere il governo (sulla riforma del lavoro o su altro), e poi nel partito c’è una buona fetta di dirigenti e parlamentari (da Pietro Ichino a Walter Veltroni al vicesegretario Enrico Letta) che vede di buon occhio il modello di “flexicurity” a cui più di una volta ha fatto riferimento Monti. E nessuno aspira a provocare lacerazioni interne. Ma le ultime esternazioni del presidente del Consiglio preoccupano.
«Monti sta esprimendo posizioni molto sbilanciate verso il Pdl e questo è un problema perché noi abbiamo idee diametralmente opposte a quelle della destra», dice Stefano Fassina. Il responsabile Economia e lavoro del Pd auspica «maggiore equilibrio» nelle parole, anche se è vero che è soprattutto nei fatti che ci si aspetta una correzione di rotta. È per questo che Bersani evita di commentare pubblicamente le esternazioni governative e insiste nel dire che quel che conta è quanto succederà al tavolo tra esecutivo e parti sociali, con l’auspicio che il governo ascolti i sindacati. «Altrimenti esplicita Fassina se arriva in Parlamento un documento non condiviso sarà molto molto complicato».
GLI ALTRI FRONTI APERTI
Ma non è solo sul fronte del mercato del lavoro che il Pd teme cedimenti verso il Pdl, che per Bersani si sta muovendo in modo «non leale». Anche sulle liberalizzazioni pesa il tentativo di frenata in atto nel centrodestra rispetto al testo uscito dal Consiglio dei ministri di due settimane fa. E non sono affatto piaciute ai Democratici le nomine Rai decise dai consiglieri Pdl-Lega: «Il governo è azionista della Rai e ha il diritto e il dovere di liberarla dai partiti e di garantirne il funzionamento», dice il responsabile Cultura del Pd Matteo Orfini rispondendo a Maurizio Gasparri.
Per non parlare di quanto avvenuto alla Camera sulla norma che riguarda la responsabilità civile dei giudici, su cui il governo aveva espresso parere contrario e che invece è stata approvata con i voti di Pdl e Lega. Dice Anna Finocchiaro in vista della votazione al Senato: «Chiediamo a chi sostiene questo governo un comportamento politico responsabile. Il tempo della propaganda è finito. Non è solo sulle spalle di qualcuno la sostenibilità di un quadro politico che deve aiutare il nostro Paese ad uscire da una difficoltà enorme».

l’Unità 05.02.12

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“Senza accordo i democratici devono votare no”, di Sergio D’Antoni

È un’occasione imperdibile quella offerta dalla riconquistata unità del fronte sociale. Una opportunità che il governo Monti deve saper cogliere fino in fondo, dando il via a un confronto concertativo che abbia l’ambizione di riformare i pilastri del nostro welfare e di portare a compimento il lavoro iniziato con il decreto salva Italia. Significa cooperare per ridefinire dalle fondamenta il sistema di ammortizzatori sociali, garantendo tutela a tutte le tipologie contrattuali. Significa onorare il lavoro iniziato a dicembre con la riforma del sistema pensionistico e porre le basi di un grande patto generazionale a favore delle giovani leve.
Con coraggio e responsabilità il Partito democratico ha approvato quel provvedimento, che è il più coerente che si trovi in Europa. Il governo deve ora fare il passo decisivo, portando a compimento un tavolo di reale cooperazione su obiettivi strategici comuni. In poco tempo si può fare molto. Basta puntare i riflettori sui problemi giusti. Mantenere lo sguardo sui reali obiettivi strategici ed evitare di perdere tempo con sterili referendum sull’articolo 18 e sul posto fisso. Un falso problema vecchio di venti anni. Nel mare in tempesta in cui si trova l’Italia l’ultima cosa che dobbiamo fare è ascoltare il canto delle sirene neoliberiste. Sirene che, c’è da dirlo, abitano anche nel nostro partito.
La sfida, oggi, non è quella di rivedere le regole che tutelano i lavoratori. Non si tratta di tagliare, ma anzi di allargare i diritti del lavoro, trovando il modo di coniugare questo allargamento al necessario aumento della produttività e della competitività.
Un’utopia? Niente affatto. Non in Germania, almeno, dove si sono registrati nel 2011 livelli di occupazione record dalla riunificazione del 1990. Guardare a Berlino significa ispirarsi ai due principali cardini del suo sviluppo: integrazione e democrazia economica, che rispondono rispettivamente all’esigenza della crescita e della competitività.
Sul versante dell’integrazione socio-economica è sufficiente rievocare un dato: la locomotiva d’Europa ha investito (bene) nelle zone deboli dell’Est l’equivalente odierno di oltre 1500 miliardi di euro. Circa 75 miliardi l’anno, poco meno del 5 per cento del suo Pil annuo. L’Italia ha invece speso (male) nel Mezzogiorno 360 miliardi in 60 anni. Meno dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo.
Quello di cui il Paese ha bisogno è un grande patto per la crescita e la coesione nazionale. Un accordo che ponga come obiettivo strategico della politica di sviluppo nazionale una più equa distribuzione delle risorse tra aree geografiche e ceti sociali.
Bisogna avere il coraggio di ridisegnare i pilastri di un welfare e di un capitalismo più solidali, stabili e responsabili. mettere sul tavolo alcuni dei più importanti capitoli che compongono il nostro attuale modello di sviluppo.
In tema di relazioni industriali va assolutamente colta l’opportunità di introdurre la questione della partecipazione dei lavoratori alle decisioni strategiche d’impresa.
Significa aprire un cantiere sulla democrazia economica e su un modello industriale che preveda strumenti di reale cogestione da parte del mondo del lavoro. Dobbiamo muoverci verso un paradigma italo-tedesco che coniughi la nostra tradizione concertativa e la grande forza del nostro corpo sociale a un modello istituzionale stabile, capace di affrancare il rapporto tra capitale e lavoro dalla mera logica dei rapporti di forza.
È questo il momento di agire insieme, in un contesto di responsabile cooperazione e di totale rispetto della autonomia delle parti sociali. Per questo, in materia di riforma delle regole e del mercato del lavoro, è necessario che la politica e le istituzioni riconoscano la massima sovranità decisionale delle rappresentanze, rimettendosi al frutto della trattativa secondo il faro dell’accordo interconfederale del 28 giugno.
Ecco perché il Partito democratico deve impegnarsi in questa fase a votare solo una riforma pienamente condivisa dalle parti sociali. In caso contrario, a mio giudizio, non bisogna esitare, e votare contro.

L’Unità 05.02.12

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