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"La fuga dei giovani", di Pietro Greco

Vogliono il posto fisso, magari vicino a mamma e papà». La frase di Annamaria Cancellieri, ministra dell’Interno, è infelice: come lei stessa ha ammesso. Ma l’idea che i giovani italiani siano dei bamboccioni che si aggrappano fin che possono alle gonnelle della mamma è un pensiero così diffuso da assurgere ad autentico luogo comune. Un modo di dire e di pensare che non risparmia neppure i “ministri tecnici”: ricordate Tommaso Padoa- Schioppa? Ironia della sorte,mai come negli ultimi 15 anni gli italiani – in particolare i giovani, in particolare i giovani meridionali laureati – hanno lasciato le gonnelle della mamma e si sono mossi in massa. In questi tre lustri abbiamo, e non ce ne siamo accorti, il più grande fenomeno di migrazione, qualificata e non, nella storia del nostro Paese, che pure è una storia di migranti. Tra il 1997 e il 2009, calcola per esempio lo Svimez, circa 800mila persone hanno lasciato definitivamente il Mezzogiorno d’Italia per cercare lavoro e prendere la residenza altrove. Non abbiamo dati definitivi,ma è probabile che negli ultimi due anni le persone che hanno lasciato ilMezzogiorno per prendere residenza al Centro-Nord o all’estero siano stati almeno altri 200mila. Cosicché in meno di 15 anni hanno lasciato definitivamente il Sud almeno un milione di persone. A questi migranti stabili, occorre aggiungere i pendolari. Ovvero coloro che, pur conservando la residenza nel Mezzogiorno, hanno trovato un lavoro lontano da casa. Nell’anno di picco, il 2008, sono andati via dal Sud, cambiando residenza o iniziando un’esperienza di pendolarismo, in 295mila. Certo, sull’onda dell’incipiente crisi economica, in 60mila sono rientrati. Ma il saldo netto negativo è stato di 235mila unità. Tra il 2008 e oggi il fenomeno ha subito un rallentamento: nel 2010 sono stati in 121mila (contro i 173.000 del 2008) i bamboccioni residenti nel Mezzogiorno che hanno accettato un posto di lavoro al Centro-Nord (soprattutto in Lombardia, Emilia- Romagna e Lazio) o addirittura all’estero. Questo tuttavia non avvenuto per un ritorno di fiamma dell’attaccamento alla gonnella della mamma: semplicemente sono diminuite le offerte di lavoro anche al Centro e al Nord. Il fenomeno migratorio di questi ultimi quindici anni è stato quello degli anni ’50. Ma con una differenza. Rispetto a quella dei nonni, è cambiata la tipologia dei migranti dal Sud. Oggi sono per lo più giovani – altro che bamboccioni – ma con un livello medio o alto di studio: l’80% ha meno di 45 anni e quasi il 50% svolge professioni di livello elevato. Il 24% è laureato. È andato – sta andando – via un pezzo consistente di classe dirigente. Si calcola che in totale, dal duemila a oggi, abbiano lasciato stabilmente il Sud, cambiando residenza, circa 140mila giovani laureati. Ad andarsene, come sempre più spesso accade, sono sempre i più i bravi (spesso con una laurea scientifica): nel 2004 ha lasciato il Sud il 25% dei laureati con il massimo dei voti; tre anni più tardi, nel 2007, la percentuale era già balzata a quasi il 38%. Ad andarsene sono sempre più i giovani con una laurea scientifica. Quelli che sono rimasti difficilmente hanno trovato occupazione. Tanto che lo Svimez parla di un brain waste, di uno spreco dei cervelli, che nel Sud accompagna e supera il brain drain, il drenaggio dei cervelli. La capacità di drenaggio da parte del Centro e del Nordè stata tale che nel 2008 il 41,5% dei meridionali laureati occupati lavorava lontano da casa: dieci punti percentuali in più che nel 2001. Negli ultimi anni, dunque, abbiamo assistito non a una «fuga», ma a una «rotta dei cervelli»: un fuggire disperato. Ma nemmeno i giovani del Centro e del Nord sono rimasti aggrappati alle gonnelle della mamma. Il numero di giovani laureati italiani (del Sud, dal Centro e del Nord) che sono andati all’estero per compiere almeno la prima esperienza di lavoro è del tutto analoga a quella degli altri Paesi europei. Anzi, i giovani italiani con una laurea scientifica che lavorano all’estero è persino superiore a quella dei loro coetanei francesi, inglesi o tedeschi. E, in media, sono più bravi. Altro che vicino a mamma e papà. Purché ci sia lavoro, i giovani italiani sono più che disponibili a lasciare la propria terra e dimostrare la loro bravura. Purché ci sia lavoro, appunto.

L’Unità 08.02.12