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"Amore, sangue e pentiti è la musica di Gomorra", di Roberto Saviano

Quando vivevo ai Quartieri Spagnoli le conoscevo tutte a memoria. In verità, le conosco ancora le canzoni neomelodiche che dalle radio al massimo volume esplodono per i vicoli, escono dai finestrini delle auto, suonano come suonerie dei cellulari. La mattina si fanno le pulizie e dalle finestre escono Tony Colombo, Rosario Miraggio, Stefania Lay… e mille altre voci.
«Chiù me fa male, chiù voglio pruvà chell´che o sal´int´ e ferite fa» («Più mi fa male, più voglio provare quello che il sale nelle ferite fa» – Rosario Miraggio). I cantanti neomelodici napoletani sono cantanti considerati, con un piglio un po´ snob, di periferia, minori. Ma a vedere i contatti dei loro video su YouTube sono in assoluto paragonabili ai cantanti pop italiani di maggior successo, spesso con un mercato comparabile al loro o anche superiore. Male, la canzone di Rosario Miraggio, ha un numero di visualizzazioni di gran lunga maggiore di quello delle star nazionali. È stata ascoltata più di tre milioni di volte. Sott´ e stelle di Tony Colombo più di un milione e mezzo di volte. Alessio, con Ma si vene stasera, ha più di quattro milioni di visualizzazioni. Spesso nei video appare il numero di telefono dei cantanti o quello dei loro agenti, in modo che possano essere contattati e invitati a comunioni, matrimoni, feste di compleanno o di paese. Sono richiestissimi, si possono invitare a un evento con una telefonata (e un cachet che può andare dai trecento ai mille euro a canzone), non sono lontani come le pop star.
Non solo i contatti su YouTube, ma anche i fatturati delle vendite sono alti. Chi produce e distribuisce la musica dei neomelodici sa come sfruttare il mercato. Il cd originale a volte non esiste neppure. Lo fanno direttamente falso. Così guadagnano una percentuale direttamente alla vendita. Meccanismo semplice e vincente. Se il falso è il tuo, guadagni sul falso e, avendo inondato il mercato, altri falsari dovranno aspettare che si esauriscano le prime tirature false per poter piazzare le proprie.
unico modo per combattere il falso è gestirsi il falso. Nessuna mediazione. È un mercato che non conosce crisi, questo. Ed è un mercato che non interessa solo Napoli o la Campania, ma l´intero Sud. Un bacino d´ascolto vastissimo. Perché il siciliano e il pugliese, il calabrese e il lucano, pur avendo le proprie canzoni tradizionali in dialetto, cantano le canzoni moderne in napoletano.
Sentimenti, amore e tradimenti, sono questi i temi dei neomelodici, temi universali, come quelli cantati dalla musica pop. Le loro canzoni raccontano il quotidiano. Ma in queste terre il quotidiano è anche affiliazione, morte, carcere, potere. E gestione del potere con le sue declinazioni: consenso e violenza. Il racconto è incentrato sulla scelta inevitabile della camorra (parola quasi mai pronunciata nelle canzoni), una scelta dettata dal destino, dalla vita misera, dalle condizioni sociali di un intero territorio. E sulle sue conseguenze: l´onore e il silenzio. Non è una celebrazione totale. È una sorta di racconto eroico con al centro persone che facendo la scelta della camorra entrano in una società chiusa: non importa quello che il mondo pensa di te, non importa se il mondo ti è ostile, la famiglia è con te, la famiglia ti ama.
Il talento e la dannazione dei neomelodici sta proprio nel saper raccontare i momenti più difficili della vita quotidiana, facendo capire immediatamente com´è o come sarà la vita di chi è destinato ad ascoltare le loro canzoni: persone costrette alla latitanza, donne che hanno fidanzati o mariti latitanti, killer che non sopportano più il loro duro lavoro. Gianni Vezzosi, in O´ killer del 2007, canta: «Accomencio a juornat facenn male a chesta a città. Ncopp a motociclett co casch mise e pronto a sparà, u sang fridd e senza pietà m´semt stanc bastard e perdut già» («Comincio la giornata facendo male a questa città. Sulla motocicletta con il casco e pronto a sparare, sangue freddo e senza pietà mi sento già stanco bastardo e perduto»). E poi continua con un rammarico: «Uccido questo e quello. Di questi soldi che me ne devo fare se non posso stare con i miei figli e con mia madre». I testi sono in napoletano ma con grafìa spesso sbagliata. Scrivo qui i versi così come circolano sul web nei siti dei loro fan. Queste canzoni sono la prova che esiste una quotidianità di guerra, che i neomelodici riescono a interpretare. La interpretano rendendola epica, dandole un senso eroico. Tutte queste canzoni rientrerebbero nell´apologia di reato. Ma c´è in loro qualcosa di più complesso. Questa quotidianità non è soltanto un arruolamento militare, è anche un´educazione sentimentale: ti punto in faccia una pistola, ti permetto di arruolarti, ti do uno stipendio, ma ti educo anche a essere in un certo modo. Ne Il mio amico camorrista Lisa Castaldi canta le virtù di un boss suo amico, «n´omm chin e qualità» («un uomo pieno di qualità») che «ca´ paura e cu´ coraggio a braccetto se ne và» («che cammina a braccetto con la paura e con il coraggio», il coraggio suo e la paura che incute, ovviamente); mentre in Femmina d´onore, la Castaldi parla del ruolo delle donne nella camorra. Una donna che prende il posto del marito, e che promette vendetta contro il pentito che ha passato le informazioni: «Pentito che maritem´ hai tradito ra legge e miez a via si cundannat´» («Pentito, che mio marito hai tradito, dalla legge della camorra sei condannato»). I pentiti. Negli ultimi anni ne sono nate molte di canzoni contro i pentiti, descritti come il male assoluto, come degli sfascia famiglie. Una delle più feroci è di Mirko Primo, Pe colpa è nu pentito, dove nel ritornello si dice: «Prima mi era amico, ora è un pentito e mi ha condannato per tutta la vita. Ma come possono credere a questa gente che fa solo infamità?». Contro i pentiti ha scritto e cantato anche Michele Magliocco. Il ritornello di A colpa è dei pentiti dice: «La colpa è dei pentiti, gente senza onore che quando stanno fuori si sentono re ma quando entrano dentro sono peggio dei cantanti che cantano a squarciagola».
La canzone di Nello Liberti, O´ capoclan – «O´ capoclan è n´omm serio, che è cattivo nun è o ver´» («Il capoclan è un uomo serio, non è vero che è cattivo») – nei giorni scorsi ha fatto scandalo, mentre lui è indagato per concorso in istigazione a delinquere. Ma è da più di quindici anni che a Napoli si incidono e si cantano canzoni di camorra. Gino Ferrante, con A società, racconta invece di come gli affiliati soffrano una vita di solitudine: giudicati dalle persone e dalla legge «si nascondono dai figli e dalle mogli»; racconta anche della famiglia organizzata dove «so tutt´ quant frate, e nessuno deve tradire». Sempre ricorre la legge certa dei clan, la punizione per l´infamia e la capacità di farsi forza l´uno con l´altro. La regola e la punizione.
La canzone di malavita è un classico non solo napoletano ma calabrese, romano, siciliano. Guapparia è la canzone di camorra del repertorio antico più famosa, considerata ormai un classico e cantata anche dai grandi maestri come Murolo. Racconta la storia di un boss che fa una serenata alla sua bella e, proprio perché si è innamorato, non può più essere guappo. È diventato un molle e invita l´onorata società a cacciarlo dall´organizzazione. Poi venne Mario Merola con Serenata calibro 9, il racconto di un vecchio guappo di camorra che aveva deciso di farsi da parte e che, quando i criminali entrano in casa della figlia, decide di vendicarsi. Ma il vero padre della canzone neomelodica che racconta gesta di camorra è Tommy Riccio. Il suo Nu´ latitante del 1993 – considerato il primo video musicale che racconta una vicenda di camorra – è la storia della sofferenza di un latitante, che smette di esistere e scappa da tutto e tutti; non può fidarsi che di un amico per portare un regalo ai figli. E in questa canzone centinaia di persone (non solo i boss noti alle cronache vivono la difficoltà della latitanza, ma centinaia di piccoli affiliati e le loro famiglie) si riconoscono. Ancora oggi è mandata diffusamente nelle radio locali di tutto il mezzogiorno italiano.
I neomelodici riempiono un vuoto. La canzone italiana moderna ha ignorato quasi totalmente, tranne poche eccezioni, questi temi. Loro ci vivono in mezzo e li raccontano. Denunciare quel mondo sarebbe da infami. A volte lo celebrano, altre volte lo subiscono, più spesso ne raccontano il coraggio e il dolore. Sibillinamente qualcuno consiglia di non prendere quella strada. I più ne cantano l´onore. Sandro e Antony in Nu guaglione malamente (il video è stato cliccato due milioni di volte su YouTube) inscenano un dialogo tra due fratelli: il primo chiede all´altro di dirgli la verità, se davvero è diventato «nu guaglion´e miez a via» – un modo per dire «affiliato» – e l´altro si confessa, fornendo i soliti motivi. Il ritornello dice: «Nu guaglione malamente accussì me chiamm´ a gente. Parlan´e nun sann nient» («Un cattivo ragazzo mi definisce la gente. Parlano senza sapere»). Ma la canzone si chiude con un atto d´amore tra i due. Il fratello minore, nonostante abbia saputo che il maggiore è un camorrista, non lo giudica e gli conferma il suo amore.
Si possono ascoltare queste canzoni e questi cantanti dai capelli assurdi, con le sopracciglia disegnate, il petto depilato e sempre abbronzati, con disprezzo – e osservare il tutto pensando a quanto sia ridicolo. Personalmente, ho imparato più da queste canzoni a comprendere il mio paese che da decine di editoriali. Del paese rappresentano una parte importante.
Hanno spesso voci incantevoli, altre volte invece mediocri, timbri rochi o lamentosi. Il loro celebrare crimine e faide, onore e affiliazione non è altro che un piano, l´ennesimo. Nelle loro parole non esiste il concetto di giustizia, non esiste il problema morale. Esiste un´etica nuova, non universale ma particolare, modellata sul gruppo. È sbagliato ammazzare, ma è necessario. È sbagliato darsi al crimine, ma lo si può fare con onore. La ricchezza è necessaria, e per averla devi rischiare. Questo è ciò che raccontano queste canzoni. Esiste un percorso necessario, dovuto, tragico.
Ora i neomelodici vengono ascoltati anche da ragazzi romani e milanesi che non hanno origini meridionali, e che chiamano il genere «Napoli». Sembrano lontani e marginali, ma lontano e marginale è chi considera feccia tutto questo. Guardarli e ascoltarli significa guardare e ascoltare il proprio paese. E per quanto possa sconvolgerci non possiamo più ignorarlo.

La Repubblica 12.02.12