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Bersani: "Monti è una parentesi, dopo maggioranze vere", di Andrea Cangini

Segretario Bersani, per razionalizzare gli emendamenti al decreto sulle liberalizzazioni sarà necessario un vertice tra leader politici?
«Io ci sono. Se il governo ritiene necessario un vertice tra segretari, facciamolo. Ma una cosa vorrei fosse chiara. Anzi due…».
Cosa?
«Che noi voteremo comunque a favore e che non è vero che tutti i partiti stanno frenando. Noi del Pd sulla liberalizzazioni chiediamo più coraggio, non meno».

Ad esempio, su cosa?

«Abbiamo proposto sette-otto emendamenti per abbassare i costi di mutui e conti correnti. Siamo favorevolissimi alla tracciabilità, ma costa troppo: l’1,5 per cento di commissione è più che sufficiente. Almeno fino ai cento euro vorremmo che l’uso della carta di credito fosse gratuito. E poi chiediamo una separazione effettiva della rete Snam, una vera liberalizzazione dei benzinai e dei farmaci di fascia C. E le assicurazioni».

Le assicurazioni?

«Mi chiedo: possibile che ’sto bonus malus non sia mai bonus?».

Prego?

«Insomma, sarebbe logico che quando stipulo una polizza mi venisse detto con precisione quale sarà il bonus tra un anno se non avrò fatto incidenti…».

Denuncia anche lei il conflitto di interessi del governo su banche e assicurazioni?

«Sembrano un po’ rinunciatari, ma non la metterei giù così. Ora fanno un mestiere diverso, sono ministri. Forse temono la reazione di altre forze politiche».

Finirà che metteranno la fiducia, no?

«Non ho problemi, che la mettano. Però voglio che i partiti si assumano le loro responsabilità e che ci sia un voto chiaro almeno in commissione e almeno sui punti essenziali, sui quali gradiremmo conoscere anche l’opinione del Governo».

Passiamo al Lavoro. Sembra che l’articolo 18 verrà inevitabilmente aggirato o modificato…

«Guardi, posto che di articolo 18 bisognerà parlare alla fine e non all’inizio del percorso riformatore, e secondo noi solo in termini di manutenzione, noi rispetteremo tutto quello che sarà deciso al tavolo tra governo e parti sociali».

E se la trattativa fallisse e il governo varasse la riforma senza i sindacati?

«Sarebbe una jattura. Il governo deve lavorare per l’accordo: affrontare uno o due anni di recessione con un conflitto sociale aperto sarebbe terribile!».

Cosa pensa dell’ipotesi di accordo raccontata da Repubblica?

«Che scomporrebbe in quattro o cinque pezzi il mercato del lavoro. Non è la nostra proposta».

E qual è la vostra proposta?

«Proponiamo un contratto di ingresso che duri al massimo tre anni e preveda tutele e salario progressivi. Facendo in modo che un’ora di lavoro non stabile costi un po’ più di un’ora di lavoro stabile».

Sembra la proposta illustrata da Fassina all’Unità.

«È la proposta del Pd, che Stefano Fassina ha illustrato».

Non molto diversa da quella della Cisl…

«Comunque credo possa rappresentare un significativo contributo alla riflessione».

La Cgil si dice contraria.

«Nessuno ci ha detto che va bene del tutto, ma è logico: sono le fasi naturali di qualsiasi negoziato».

Legge elettorale. L’assemblea del Pd ha votato per il maggioritario a doppio turno di collegio, i vertici stanno invece trattando sul proporzionale.

«Nessuna contraddizione, se al proporzionale metti una soglia e un premio per il partito o la coalizione, puoi ottenere un effetto parzialmente maggioritario».

Quali sono i paletti del Pd?

«Uscire dall’ipermaggioritario odierno, quello che col 34% prendi tutto. Restituire ai cittadini il potere di scegliere i candidati con i collegi e non con le preferenze. Una soglia di sbarramento non troppo bassa. Incentivare l’effetto bipolare».

Come?

«I modi sono tanti, l’importante è che l’elettore abbia chiaro prima del voto, conoscendo alleanze e candidati premier, il percorso della legislatura».

Casini la pensa diversamente. A proposito, la foto di Vasto tra lei, Vendola e Di Pietro è ancora attuale?

«Sulla legge elettorale cerchiamo la convergenza di tutti, Casini compreso. Di Vasto avete preso la foto ma non il sonoro. Quel giorno dissi che la prossima volta il centrosinistra dovrà assicurare ai cittadini la capacità di essere affidabile per il Paese. Occorre dunque che le forze siano omogenee e le decisioni vengano prese a maggioranza e ci sia la disponibilità a fare appello alle forze moderate».

L’Udc dice che poiché la crisi sarà lunga, nel 2013 converrebbe votare per una grande coalizione che confermi Monti a palazzo Chigi…

«Se fossi convinto che serve all’Italia, lo farei. Ma non lo credo. Siamo riusciti a fare un Governo di emergenza e di transizione. La prospettiva richiede la partecipazione attiva degli elettori e una maggioranza coerente per dare forza a un progetto di ricostruzione. Mi pare difficile che questo si possa fare con una grande coalizione».

da QN 13.02.12