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"Cosa ci dice la rabbia dei greci", di Stefano Lepri

Osserviamo con attenzione la Grecia, perché può insegnarci molto. I leader dei due principali partiti politici sono coscienti, d’accordo con il primo ministro tecnico, che altri sacrifici sono inevitabili. Ma la gente non ne può più, perché i sacrifici finora sono stati distribuiti male, e segni di speranza non se ne vedono. Nei nostri tempi, nessuna democrazia era mai stata sottoposta a uno stress simile a quelli da cui nacquero le dittature degli Anni 30. Vediamo un sistema politico e amministrativo corrotto avvitarsi su sé stesso. Il medico-sindacalista ateniese intervistato ieri da questo giornale sosteneva che i tagli di spesa fanno mancare le medicine negli ospedali. Fino a ieri, peraltro, risultava come prassi corrente rivendere all’estero, dove i prezzi sono più alti, i medicinali acquistati dal sistema sanitario pubblico greco. Non a caso la spesa pro capite per farmaci l’anno scorso è stata oltre il 15% superiore rispetto all’Italia, benché il reddito sia alquanto più basso.

In questo caso come in altri, la corruzione che pervade il sistema scarica tutto il peso dei sacrifici sui più deboli, ovvero su chi non fa parte di una clientela o di una categoria protetta.

Peggio ancora, l’incapacità di toccare i privilegi blocca ogni tentativo di rivitalizzare l’economia. Ai deputati risulta più facile aumentare le tasse a tutti che pestare i piedi a gruppi di interesse compatti. Dopodiché una amministrazione corrotta riesce a riscuotere le maggiori tasse solo dai soliti noti, mentre i furbi se la cavano (portare l’aliquota Iva dal 19 al 23% non ne ha accresciuto il gettito).

Il sindacato dei poliziotti ellenici vorrebbe mettere in galera gli inviati della «troika» (Commissione europea, Bce, Fondo monetario). Eppure a tormentare la «troika» è assai più la mancanza di riforme strutturali. Ad esempio, poco o nulla si è fatto in materia di privatizzazioni, perché i politici non volevano rinunciare a strumenti di potere. E perché mai un Paese in queste condizioni è pronto a tagliare le spese militari solo se «non pregiudicano le capacità difensive»?

Dall’altro lato dello Ionio arrivano a punte estreme fenomeni che ben conosciamo. Ce ne rendiamo conto, tanto da ripetere «non siamo come la Grecia» un po’ troppo spesso. Più efficace è invece dire che i sacrifici non li facciamo perché ce li chiede l’Europa ma per il nostro futuro. Questa è la chiarezza che è finora mancata in Grecia, grazie anche a procedure di decisione europee che rendono agevole lo scarico di responsabilità.

Forse la gente che protesta in piazza ad Atene è ormai troppo esasperata per spiegargli che un Paese non può campare producendo 100 e consumando 110, come era avvenuto grazie ai crediti di quella finanza internazionale che poi ha avuto paura delle proprie dissennatezze. È comprensibile l’indignazione contro una macchina politico-burocratica che preme sul Paese come un tumore; ma alle prossime elezioni pare non ci sarà molta scelta tra rivotare chi ha falsificato i bilanci pubblici o gonfiare partiti estremisti privi di ricette.

Il voto di ieri sera nel Parlamento non risolve nulla, allunga i tempi di qualche mese. La vera scadenza diventa ora un’altra: nel corso del 2012 il bilancio dello Stato greco arriverà all’«attivo primario» ossia eliminerà tutto il deficit non causato da pagamento di interessi su debiti. A quel punto, l’insolvenza totale diventerà una tentazione; non è facile capire se più per i greci, o per chi in Europa vuole abbandonarli a sé stessi.

Le ripercussioni di un eventuale default sembrano ora meno difficili da assorbire. Ma quali speranze potrà infondere, dopo, una politica europea che ha permesso ai greci di dipingere i tedeschi come sadici aguzzini, e ai tedeschi di disprezzare i greci come dei fannulloni bugiardi?

La Stampa 13.02.12