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"Marchionne pone nuove condizioni per restare in Europa", di Luigina Venturelli

«Non ci sono stati ancora contatti, ma è possibile che ci siano». Per il momento il responsabile dello Sviluppo economico, Corrado Passera, non si sbilancia e non prende impegni: l’incontro tanto invocato con l’amministratore delegato Fiat non è stato organizzato, e il braccio di ferro tra Sergio Marchionne e il mondo del lavoro italiano continua ad oggi senza arbitri né mediatori. «Non faccio commenti» si è limitato a dire il ministro rispetto all’ipotesi – adombrata solo pochi giorni fa – che il Lingotto, dopo il sito siciliano di Termini Imerese, possa chiudere altre due fabbriche delle cinque in attività in caso d’insufficienti esportazioni verso gli Stati Uniti.
UNA LUNGA SERIE D’AVVERTIMENTI Era l’autunno del 2009 quando il manager per la prima volta parlò senza mezzi termini della sovraccapacità produttiva del settore automobilistico in Europa. Ed era sempre la platea dei costruttori Acea di Bruxelles, come ieri, quella scelta per lanciare il primo di una lunga serie di avvertimenti in patria sull’eventualità di un abbandono Fiat dell’Italia perchè poco produttiva, poco competitiva, poco remunerativa. Così, nel ribadire che l’azienda torinese vi manterrà i propri presidi industriali soltanto «a condizioni estremamente chiare», l’a.d. di Fiat e Chrysler non ha avuto alcun bisogno di elencarle: sono le stesse condizioni che hanno motivato in questi anni la sua strategia di rottura con la Fiom-Cgil, la ricerca di intese aziendali estranee al contratto nazionale dei metalmeccanici ed, infine, l’abbandono di Confindustria e la firma di un’intesa separata di gruppo in nome di una pronta gestione degli stabilimenti. «Non possiamo continuare a perdere soldi in Europa semplicemente per tenere in piedi un sistema industriale che economicamente non ha basi» ha ripetuto ieri Marchionne (nel giorno dell’accordo con Sberbankper la produzione e distribuzione di vetture e veicoli commerciali leggeri in Russia), smentendo per ora il «sacrificio» di due fabbriche e rispolverando l’intenzione di «mantenere una politica industriale in Italia che dà la possibilità di raggiunge per competere nel mondo». Gli strumenti da utilizzare, ovviamente, sono la riforma del welfare e del mercato del lavoro: «Se io potessi fare solo una cosa, probabilmente creerei un ambiente del lavoro flessibile per gestire la domanda e l’offerta » ha chiarito il manager italocanadese, forte anche delle recenti dichiarazioni del presidente Bce, Mario Draghi, sulla necessità di «ripensare e ridimensionare il sistema del welfare». Insomma, «se continuiamo a insistere che tutte le cose che abbiamo avuto e costruito sono essenziali per il futuro, quando in effetti sono considerate degli ostacoli proprio del progresso industriale di un Paese, quella strada non ci porterà molto lontano».
LA REAZIONE DELLA CGIL Il riferimento alla Cgil e alla Fiom, ovvero alla battaglia del sindacato per mantenere i diritti previsti nel contratto nazionale e nello Statuto dei lavoratori, non potrebbe essere più chiaro. Soprattutto da parte di un’azienda che sugli investimenti annunciati non fornisce risposte precise: «A Mirafiori gli impegni li stiamo prendendo » e «la decisione di riportare la nuova Panda in Italia non è stata presa solo sulla base di considerazioni razionali,ma per via della relazione privilegiata di Fiat con l’Italia» ha replicato Marchionne alle domande in merito. Non rinuncia, invece, a riportare il Lingotto ai propri impegni finora non mantenuti la leader della Cgil, Susanna Camusso: «Il piano industriale di Fiat è fondato solo sulla Chrysler e gli Stati Uniti. Non si vedono i famosi 20 miliardi di investimenti e non si vedono modelli che possano riaprire la competizione di Fiat con gli altri produttori europei ». Per la segretaria generale di Corso Italia «bisognerebbe smetterla di farsi chiedere delle cose» dall’azienda. Piuttosto «il governo, in nome e per conto di questo paese, dovrebbe chiedere all’a.d. della Fiat che cosa fa per investire in Italia». Per ora l’esecutivo tace. Lasciando spazio ai rimpianti: «Purtroppo, nella Prima repubblica,non convincemmo il governo a vendere l’Alfa Romeo alla Ford invece che alla Fiat» ha aggiunto Camusso. Un po’ di competizione e concorrenza avrebbe fatto bene a questo Paese.

L’Unità 29.02.12