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Generazioni ad alta risoluzione

Un intero giorno, Sabato 10 marzo (Spazio Informale, in via dei Cerchi 75) in cui Pier Luigi Bersani, segretario PD e Stefano Fassina responsabile Economia e Lavoro del PD, a partire dalle ore 10 e fino alle ore 19 ascolteranno e dialogheranno con le associazioni, i gruppi e i movimenti giovanili che hanno elaborato il Decalogo contro la precarietà: 10 misure concrete e immediatamente attuabili che hanno come obiettivo: superare la precarietà; regolare le forme di lavoro autonomo e professionale approvando lo Statuto del Lavoro autonomo; considerare le tutele sociali come diritti di cittadinanza; costruire serie politiche di formazione e inserimento lavorativo.

Generazioni ad alta risoluzione, un appuntamento promosso dai Giovani Democratici, l’Associazione 20 maggio e l’Associazione Lavoro & Welfare, è l’occasione ufficiale per chiedere al governo e alle forze politiche, a partire dal PD, di ascoltare chi vive la condizione di precarietà perché, ormai, quando si discute dei lavoratori precari, del loro presente e del loro futuro, se ne parla sempre senza di loro.

Le proposte complessive, di cui il Decalogo rappresenta le priorità, saranno presentate, in apertura della Conferenza, da Fausto Raciti, segretario nazione dei giovani democratici. Nel corso dell’incontro prenderanno la parola i portavoce delle 35 associazioni che rappresentano oltre 200 mila giovani e precari.

RIBALTIAMO LE CARTE: un pomeriggio fuori dai luoghi comuni.

I giovani hanno analisi, idee e proposte da ascoltare e con cui dialogare, per questo per una volta le domande le faranno i dirigenti del PD e le risposte le daranno i giovani e i precari.
Partecipano: Cesare Damiano, Salvo Barrano, Sergio D’Antoni, Giorgia D’Errico, Rita Ghedini, Andrea Dili, Emilio Gabaglio, Fausto Raciti.

GLI ULTIMI DATI SUL LAVORO PRECARIO IN ITALIA

Nel corso della conferenza Generazioni ad alta risoluzione saranno diffusi gli ultimi dati inediti sulla precarietà elaborati dal comitato scientifico presieduto dal Prof. Patrizio Di Nicola – Un. La Sapienza.
Un’analisi, che mette in luce le tante facce del lavoro presenti in Italia e da chi emerge che, a fronte di 14.726.000 lavoratori subordinati a tempo indeterminato, i lavoratori atipici subordinati (a tempo determinato, a chiamata, in somministrazione, apprendistato) sono 2.723.874 (il 18,49%).

Il lavoro atipico non subordinato conta 2.671.577di persone (Co.co.co. e co.co.pro., Collaborazione occasionale, Associazione in partecipazione Lavoro occasionale accessorio -“Voucher”, Dottorato di ricerca, assegno di ricerca, medici in formazione specialistica, Tirocini e Stage, Pratica Professionale, Lavoratori autonomi senza dipendenti e monocommittenti, Professionisti con partita iva individuale – iscritti alla Gest. Sep. INPS).
Il lavoro atipico, dunque, riguarda ben 5.395.451 persone.

Sul lavoro subordinato stabile il totale di quello “atipico” rappresenta il 36,5%, mentre sul totale degli occupati (dipendenti e indipendenti) risulta essere il 23,5%.
Dal rapporto Del Prof. Patrizio Di Nicola (Un. La Sapienza) è emerso anche che il numero di lavoratori a tempo determinato, tra il 2004 e il 2010, è aumentato di oltre il 14%. Una variazione notevolissima, se si pensa che nel frattempo la crisi dell’economia reale ha iniziato a mietere le sue vittime soprattutto tra lavoratori di questo tipo, infatti, tra il 2008 ed il 2009 i tempi determinati sono calati di oltre il 7%.

Nello stesso periodo aumenta del 3% il lavoro a tempo parziale ma il part time volontario diminuisce (-136 mila unità nel 2009), mentre il part time involontario aumenta (+135 mila). Nel 2009 la quota dei part-time involontari sul totale raggiungeva quasi il 40%, superando il milione di unità (circa il 75% delle quali di sesso femminile, a smentire il fatto che le donne accettino volentieri un impiego a tempo parziale).

Anche dai dati Istat per il 2010, si conferma che è in corso una forte sostituzione di lavoro dipendente con lavoro flessibile e precario: a fronte di un calo degli occupati dello 0.7%, gli atipici sono aumentati dell’1.3%, i dipendenti a tempo parziale del 4.3%.

“Una pratica piuttosto diffusa -dichiara il Prof. Di Nicola- è quella di utilizzare lavoratori formalmente autonomi titolari di partita Iva in modo forzato e, in alcuni casi come dipendenti”.

Infatti, sono 828 mila i lavoratori autonomi con un unico committente che, per la loro debolezza contrattuale, non hanno alcuna tutela e le loro retribuzioni, mediamente, risultano piuttosto basse. Di questi lavoratori autonomi 261 mila svolgono il lavoro presso la sede del cliente e di questi ultimi, se si prende in considerazione la reale autonomia negli orari di lavoro, sono ben 96 mila le condizioni lavorative che presentano chiari indicatori di subordinazione mascherata (l’11,60%).

L’età dei lavoratori con contratti atipici tende ad aumentare, perché il passaggio a un contratto standard è tutt’altro che immediato e perché chi perde un posto tipico nella maggior parte dei casi riesce a reimpiegarsi solo con contratti atipici.
Nel 2010 sono stati attivati 310.820 stage e tirocini, di cui 89.800 nell’industria e 221.020 nei servizi. Circa il 50% dei tirocini è stato realizzato in micro imprese al di sotto dei 10 dipendenti. “Purtroppo -aggiunge Di Nicola- spesso questi lavoratori non sono utilizzati correttamente dalle imprese, che sfruttano tali forme lavorative per avere mano d’opera a basso costo. Inoltre, gli stagisti sono talvolta assegnati a mansioni di basso livello, a cui non viene associato alcun concreto percorso formativo”.
Anche le possibilità di assunzione per gli stagisti variano in maniera considerevole rispetto alla dimensione dell’impresa: mentre nelle imprese fino ai 10 dipendenti la quota di stagisti assunti si arresta al 12.8% del totale, tale percentuale raggiunge il 15.1% nelle imprese tra 50 e 250 dipendenti e il 24.2% nelle grandi imprese al di sopra dei 500 dipendenti.

IL DECALOGO CONTRO LA PRECARIETÀ
Le associazioni delle “Generazioni ad alta risoluzione” (Hi Re Generations), chiedono al Governo un incontro per proporre e discutere alcune soluzioni, a partire da quelle a costo zero, che non sono entrate nella discussione per la riforma del mercato del lavoro.

Il Decalogo contro la precarietà è nato da un percorso durato anni, che ha coinvolto numerose associazioni di giovani e lavoratori precari, e che ha dato vita a Il lavoro che vogliamo nel paese che vogliamo, un pacchetto articolato di norme specifiche per combattere gli abusi ed estendere diritti e tutele ai lavoratori precari.

Il Decalogo indica le priorità nella lotta alla precarietà:
1) Le attività manuali ed esecutive si dovranno svolgere solo con contratti di lavoro dipendente e i contratti collettivi di lavoro dovranno stabilire le regole di utilizzo del lavoro autonomo e parasubordinato: nessun costo per lo stato, benefici di maggiore contribuzione futura, minori interventi sociali e minore contenzioso.

2) Le dimissioni in bianco devono essere abolite e bisogna reintrodurre la “procedura Damiano”: nessun costo e benefici di magiore tutela sociale e dignità della persona.

3) Devono essere aboliti: il contratto di associazione in partecipazione con solo apporto di lavoro, i contratti a chiamata, le collaborazioni non a progetto togliendo ogni eccezione all’applicazione dei Co. Pro. Deve essere circostritto l’uso dei voucher, dei contratti a termine e dei contratti a progetto. Nessun costo per lo stato e benefici di maggiore contribuzione, più entrate fiscali e migliore tutela sociale.

4) Non potranno essere applicati costi inferiori a quelli previsti da specifici contratti collettivi a tutti i lavoratori autonomi, professionisti e parasubordinati con un committente prevalente oppure iscritti alla gestione separata Inps in via esclusiva. In caso di mancata contrattazione, il costo sarà superiore del 15% rispetto a un dipendente di analoga profesinalità.
Una quota di questo contributo aggiuntivo dovrà alimentare un fondo solidaristico per le tutele sociali, ammortizzatori e formazione dei lavoratori atipici non subordinati. Nessun costo per lo stato e benefici per una maggiore contribuzione Inps di 108 milioni di euro annui e di circa 100 milioni al fisco. Il potere d’acquisto degli atipici aumenterebbe del 35%.

5) Dovrà essere possibile un’unica forma incentivata di accesso al lavoro subordinato a causa mista (Contratto d’Inserimento Formativo) che abbasserà i costi del lavoro regolare per 6 anni. Nei primi 3 anni (o periodo inferiore stabilito dai CCNL in base alla professionalità da conseguire) si combineranno una paga inferiore a quella di un lavoratore stabile regolata dai CCNL con sgravi contributivi per l’impresa, riconosciuti dallo stato in proporzione alla formazione effettivamente svolta e si potrà recedere dal rapporto con preavviso.
Nei successivi tre anni dopo l’assunzione a tempo indeterminato e con una percentuale minima del 50% d’assunzioni da effettuare, si applicheranno le percentuali di contribuzione previste fino al 2011 per l’apprendistato. Alla fine del secondo triennio il lavoratore dovrà sostenere un esame formativo di specializzazione. Il costo di questa proposta può essere vicino allo zero perchè si usano meglio le risorse già a carico dello stato per l’apprendistato professionalizzante e per i contratti d’inserimento. Assieme sono attorno al 60% della spesa per politiche attive con un costo, per il solo apprendistato, di circa 2.250 mln di € all’anno.
L’Apprendistato, infatti, costa moltissimo allo stato e pochissimo alle imprese ma rende stabili meno del 20% dei ragazzi avviati, e non ha arginato il lavoro precario. Invece di usare altri soldi per incentivare le stabilizzazioni degli apprendisti, si usino meglio le ingenti risorse già impegnate con sgravi alle aziende che formano e che stabilizzano. Se si vuole realmente superare l’attuale precarietà, vista la media età degli attuali precari (oltre 40 anni) occorre superare il limite dei 29 anni dell’attuale apprendistato e usare il contratto d’inserimento per stabilizzare la parte più esposta degli attuali precari.

6) A tutti i lavoratori deve essere garantito un sostegno al reddito universale in caso di disoccupazione. I costi per un unica misura d’indennità di disoccupazione possono essere coperti dalla maggiore contribuzione di chi oggi non paga (le aziende che oggi assumono: apprendisti, parasubordinati, partite iva individuali, lavoratori spettacolo, ecc. ) e dall’integrazione dei fondi solidaristici istituiti dalle parti sociali con sgravi fiscali dei contributi versati.
Se la riforma non entrerà in vigore prima del 2017, non si devono lasciare ulteriormente senza ammortizzatori i lavoratori atipici iscritti alla gestione separata e per questo si deve sbloccare e allargare l’applicazione del cosiddetto “Bonus Precari” che in tre anni di forte crisi, a causa delle regole d’accesso assoultamente proibitive, ha erogato solo 24 mln sui 200 previsti.

7) I minimali di contribuzione per i parasubordinati devono essere uguali a quelli dei dipendenti, migliorando così la loro copertura previdenziale senza costi e recidendo un legame ingiusto con la gestione Commercianti che, con i suoi più alti minimali, riduce i mesi di contribuzione dei parasubordinati.

8) L’aliquota dei professionisti con partita iva iscritti alla gestione separata dovrà essere abbassata al 24 %, come per commercianti e artigiani, perchè questi lavratori pagano tutto il contributo da soli, Inoltre, per loro dovrà restare invariato l’attuale minimale, visto che si tratta in gran parte di veri autonomi.

9) Devono essere stabiliti sgravi fiscali per i contributi che le parti sociali destineranno al sostegno al reddito e alle tutele sociali aggiuntive dei lavoratori atipici. Come già avvenuto negli altri paesi, occorre regolare il lavoro autonomo per riequilibrare gli scompensi del mercato tra parte contraente dominante e contraente debole. Occorre poi sostenere l’accesso dei giovani e delle donne all’impresa o alla professione.

10) È necessario approvare lo statuto del lavoro autonomo. I costi sono limitati e già definiti nella proposta di legge n° 4050 presentata alla Camera dei Deputati.

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