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Il Pd non ha un piano B «Monti faccia l’accordo», di Simone Collini

Senza intesa «rischia di aprirsi un conflitto di tutti contro tutti. Ma l’Italia non può permetterselo, davanti a una recessione così grave»
L’Idv attacca tutti, Fornero e partiti. Sel tace a tutela della Camusso. L’accordo è indispensabile». Pier Luigi Bersani lo ha ripetuto sia a Mario Monti che ai vertici delle parti sociali. Il Pd non ha giocato il ruolo di mediatore nella partita della riforma del mercato del lavoro. Ma da un lato ha chiesto al governo di mettere all’angolo spinte che pure sono arrivate dal suo interno affinché si procedesse senza preoccuparsi di raggiungere un’intesa pur di dare un segnale ai mercati (in questo senso sono apparse sospette alcune uscite del ministro Corrado Passera). Dall’altro, dal Pd è partita la sollecitazione nei confronti di leader sindacali e dirigenti di Confindustria e delle altre associazioni di imprenditori a presentarsi al tavolo con una posizione comune. «Non esiste un accordo separato è il ragionamento di Bersani questo è uno schema che poteva andar bene per il precedente governo, non oggi». Il timore del leader Pd è che senza intesa «rischia di aprirsi un conflitto di tutti contro tutti che di fronte alla grave recessione in atto il Paese non si può permettere».
Per questo ieri sia Bersani che il responsabile per l’Economia del Pd Stefano Fassina hanno passato la giornata al telefono a discutere con governo e parti sociali, insistendo sul fatto che il confronto non può arenarsi sull’articolo 18, che è solo una parte di una più complessiva riforma che deve portare anche a un reale disboscamento dei contratti precari e a un’estensione universalitisca delle indennità di disoccupazione e di mobilità. L’impressione tratta dai colloqui che hanno avuto gli esponenti del Pd è che né Susanna Camusso né Raffaele Bonanni né Luigi Angeletti vogliano o frenare o partire in solitarie fughe in avanti. Ma starà anche al governo creare il terreno favorevole a un accordo. Non a caso il coordinatore delle Commissioni economiche del gruppo del Pd alla Camera, Francesco Boccia, dà al governo questo «consiglio»: «Invece di usare l’accetta e la clava del decreto legge, io userei tanta pazienza perché poi le riforme vengono approvate dal Parlamento, e quindi una legge delega farebbe stare più tranquilli tutti». Si tratterebbe di un segnale, anche se è chiaro che se già in queste ore si arrivasse a un’intesa tra governo e parti sociali, la forma in cui la riforma arriverà in Parlamento sarebbe, per dirla con Bersani, «un problema secondario». Il Pd non dubita che una riforma sia necessaria, anche perché come dice Massimo D’Alema citando Marco Biagi «abbiamo il peggior mercato del lavoro d’Europa». Il presidente del Copasir ricorda il giuslavorista e dice che il suo lavoro può aiutare «a mettere al centro le persone in carne ed ossa e a superare astratte contrapposizioni di principio».
A preoccupare il Pd sono le tensioni interne alla Cgil e la decisione della Fiom di indire subito uno sciopero a difesa dell’articolo 18. Bersani, che ha ricevuto dal governo una rassicurazione sul fatto che non c’è l’intenzione di cancellare «il pilastro» della giusta causa, giudica un errore concentrare la discussione su quello che definisce un «falso problema». E guarda con favore a una possibile convergenza che porti all’introduzione del modello tedesco, che prevede in caso di licenziamento che sia il giudice a decidere tra il reintegro e l’indennizzo monetario.
Il Pd, che chiaramente sarebbe il partito che più soffrirebbe una rottura tra governo e parti sociali, guarda con sospetto anche ai movimenti delle altre forze parlamentari. Non rassicurano infatti né le parole del leader del Pdl Angelino Alfano, per il quale «se non c’è l’accordo noi non siamo per la paralisi, ma per dire sì perché il governo vada avanti», né gli attacchi dell’Idv a Elsa Fornero, definita da Antonio Di Pietro una «Signora Madre Badessa» che non propone un contratto ma «un capestro».
L’ex pm attacca anche «i signori sindacati e i signori politici della pseudo maggioranza che si riuniscono nottetempo per prendersi un bicchierino a palazzo Chigi»: «Non basta che decidiate voi che cosa fare. Bisogna che i contratti li accettino e li firmino i diretti interessati, se sono d’accordo, cioè i lavoratori». Una posizione filo-Fiom che non sposa a questi livelli neanche Nichi Vendola. Il leader di Sel sta invece attento a non uscire con dichiarazioni che potrebbero creare difficoltà a Camusso, e si limita a dire che sarebbe «un fatto gravissimo» una riforma senza l’accordo della Cgil.

L’Unità 20.03.12