attualità, cultura

“Il male oscuro dell’Europa”, di Barbara Spinelli

Tutti ci stiamo trasformando, senza quasi accorgercene, in tecnici della crisi che traversiamo: strani bipedi in mutazione, sensibili a ogni curva economica tranne che alle curve dell´animo e del crimine. L´occhio è fisso sullo spread, scruta maniacalmente titoli di Stato e Bund, guata parametri trasgrediti e discipline finanziarie da restaurare al più presto. Fino a quando, un nefasto mattino, qualcosa di enorme ci fa sobbalzare sotto le coperte del letto e ci apre gli occhi: un male oscuro, che è secrezione della crisi non meno delle cifre di bilancio ma che incide sulla carne viva, spargendo sangue umano. La carneficina alla scuola ebraica di Tolosa è questo sparo nel deserto, che ci sveglia d´un colpo e ci immette in una nuova realtà, più vasta e più notturna. Come in una gigantesca metamorfosi, siamo tramutati in animali umani costretti a vedere quello che da mesi, da anni, coltiviamo nel nostro seno senza curarcene. Il naufragio del sogno europeo, emblema di riconciliazione dopo secoli di guerre, e di vittoria sulle violenze di cui Europa è stata capace, partorisce mostri. Non stupisce che il mostro colpisca ancora una volta l´ebreo, capro espiatorio per eccellenza, modello di tutti i capri e di tutti i diversi che assillano le menti quando son catturate da allucinazioni di terrene apocalissi.
In tedesco usano la parola Amok (in indonesiano significa «uccisione-linciaggio in un impulso d´ira incontrollata»), e tale è stato l´attacco di lunedì alla scuola di Tolosa. Uno squilibrato, ma abbastanza freddo da uccidere serialmente, ammazza in 15 minuti il maestro Jonathan Sandler, due suoi figli di 4 e 5 anni (Gabriel e Arieh), una bambina di 7, Myriam. Chi cade preda dell´amok è imprevedibile e socialmente reietto, ma se ha potuto concepire il crimine (e spesso parlarne sul web) vuol dire che per lungo tempo non si è badato al pericolo, che l´ambiente da cui viene era privo di difese immunitarie. I massacri nelle scuole sono considerati episodi tipici del comportamento amok. Nella cultura malese l´assalto amok evoca lo stato di guerra, ma l´omicida seriale interiorizza la guerra. La spedizione militare è condotta da individui che vivono nel nascosto, ed escono allo scoperto in una sorta di raptus. Non dimentichiamo che il nazismo quando prese il sopravvento aveva caratteristiche affini, e assecondava la furia amok: «Marcia senza approdo, barcollamento senza ebbrezza, fede senza Dio», così lo scrittore socialdemocratico Konrad Heiden descriveva, nel 1936, la caduta di milioni di tedeschi nel nazismo e nell´«era dell´irresponsabilità». È nelle furie di quei tempi che hanno radice i contemporanei massacri palingenetici, e anche lo spavento stupefatto che scatenano. Non era stato detto, a proposito delle fobie annientatrici: «Mai più?». Invece tornano, perché un tabù infranto lo è per secoli ancora. Il piccolo racconto di Zweig (Amok è il titolo) racconta proprio questo: l´esplosione in mezzo a bonacce apparenti di una “follia rabbiosa, una specie di idrofobia umana… un accesso di monomania omicida, insensata, non paragonabile a nessun´altra intossicazione alcolica”. Un torbido passato ha fatto del medico protagonista un mutante: nella solitudine si sente «come un ragno nella sua tela, immobile da mesi». Amok è scritto nei primi anni Venti: un´epoca non meno vacillante della nostra. Già prima del ´14-18, Thomas Mann vedeva l´Europa sommersa da «nervosità estrema».
«L´amok è così – spiega Zweig nel racconto– all´improvviso balza in piedi, afferra il pugnale e corre in strada… Chi gli si para davanti, essere umano o animale, viene trafitto dal suo kris (pugnale, in malese, ndr), e l´orgia di sangue non fa che eccitarlo maggiormente… Mentre corre, ha la schiuma alle labbra e urla come un forsennato… ma continua a correre e correre, senza guardare né a destra né a sinistra, corre e basta. L´ossesso corre senza sentire… finché non lo ammazzano a fucilate come un cane rabbioso, oppure crolla da solo, sbavando». Ci furono opere profetiche, negli anni ´20-´30: i film Metropolis e Dottor Mabuse di Fritz Lang, o il racconto di Zweig. Dove sono oggi opere che abbiano quell´orrida e precisa visione del presente?
Se fosse un caso isolato non ne parleremmo come di un fatto di cultura, colmo di presagi. Ma non è un evento isolato, solo criminale. Quest´odio del diverso (dell´ebreo o del musulmano o del Rom: tre figure di capro espiatorio) pervade da tempo l´Europa, mescolando storia criminale e storia politica. E ogni volta è una fucilata subitanea, che interrompe finte normalità. Fu così anche quando nella composta Norvegia scoppiò la demenza assassina del trentaduenne Behring Breivik, il 22 luglio 2011. L´attentato che compì a Oslo fece 8 morti. Il secondo, nell´isola Utoya, uccise 69 ragazzi.
Fenomeni simili, non immediatamente mortiferi, esistono anche in politica e mimeticamente vengono imitati. Nell´America degli odii razziali, in prima linea: l´odio suscitato da Obama meteco tendiamo a sottovalutarlo, a scordarcene. Ma l´Europa è terreno non meno fertile per queste idrofobie umane, peggiori d´ogni intossicazione alcolica. Colpisce la loro banalizzazione, più ancora del delitto quando erompe. In Italia abbiamo la Lega, e banalizzati sono i suoi mai sconfessati incitamenti ai linciaggi. Nel dicembre 2007, il consigliere leghista Giorgio Bettio invita a «usare con gli immigrati lo stesso metodo delle SS: punirne dieci per ogni torto fatto a un nostro cittadino». Lo anticipa nel novembre 2003 il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni, che menzionando un gruppo di clandestini sfrattati prorompe: «Peccato. Il forno crematorio di Santa Bona è chiuso». Il gioco di Renzo Bossi (vince chi spara su più barche d´immigrati) è stato tolto dal web ma senza autocritiche.
Com´è potuto succedere che gli italiani divenissero indifferenti a esternazioni di questa natura? Com´è possibile che l´Europa stessa guardi a quel che accade in Ungheria alzando appena le sopracciglia? Eppure il premier Viktor Orbán, trionfalmente eletto nell´aprile 2010, non potrebbe esser più chiaro di così. Il suo sogno è di creare un´isola prospera separata dal turbinio del mondo: una specie di autarchia nordcoreana. A questo scopo ha pervertito la costituzione, le leggi elettorali, l´alternanza democratica, scagliandosi al contempo contro l´etnicamente diverso. A questo scopo persegue una politica irredentista verso la diaspora ungherese in Europa. Il sacrificio di due terzi del territorio nazionale, imposto al Paese vinto dal trattato di Trianon del 1920, è definito «la più grande tragedia dell´Ungheria moderna». Ben più tragica dello sterminio di 400.000 ebrei e zigani nel 1944. Il vero scandalo dei tempi presenti è la punizione inflitta alla democrazia greca, e la non-punizione dell´Ungheria di Orbán. I parametri economici violati e gli spread troppo alti pesano infinitamente più dell´odio razzista, della banalizzazione del male che s´estende in Europa, della democrazia distrutta.
In due articoli sul Corriere della Sera, il 7 e 12 marzo, lo storico Ernesto Galli della Loggia ha difeso lo Stato-nazione oggi derubato di sovranità: lo descrive come «unico contenitore della democrazia», poiché senza di lui non c´è autogoverno dei popoli. È una verità molto discutibile, quantomeno. Lo Stato nazione è contenitore di ben altro, nella storia. Ha prodotto le moderne democrazie ma anche mali indicibili: nazionalismi, fobie verso le impurità etnico-religiose, guerre. Ha sprigionato odii razziali, che negli imperi europei (l´austro-ungarico, l´ottomano) non avevano spazio essendo questi ultimi fondati sulla mescolanza di etnie e lingue. La Shoah è figlia del trionfo dello Stato-nazione sugli imperi. Vale la pena ricordarlo, nell´ora in cui un fatto criminoso isolato, ma emblematico, forse ci risveglia un po´.

La Repubblica 21.03.12