attualità, politica italiana

"Il tabù rovesciato", di Ezio Mauro

Dunque “se il Paese non è pronto” il governo potrebbe anche lasciare. Non è una frase felice quella pronunciata a Seul dal Presidente del Consiglio riguardo all´articolo 18. Chi certifica infatti quando il Paese è “pronto” e in base a quale canone? E soprattutto non siamo a scuola e non tocca ancora ai governi dare il voto ai cittadini: semmai l´opposto.
Non c´è alcun dubbio che se fino ad oggi il voto dei sondaggi per Monti è stato così alto, questo è dovuto in gran parte a due caratteristiche del Premier: il disinteresse personale e la capacità di decidere. C´è dunque un timbro di sincerità quando il Capo del governo spiega che non tirerà a campare pur di durare e non lascerà snaturare dalle Camere quello che considera “un buon lavoro”.
Tuttavia la terza caratteristica di Monti è sempre stata, finora, il buonsenso governante. E qui nascono due questioni, una formale ed una sostanziale. La prima è che quando si sostiene che il Parlamento sovrano è il principale interlocutore del governo, bisogna poi saper ascoltare la discussione che si svolge nelle sue aule, rispettando la decisione finale. La seconda è il carico improprio di ideologismo con cui la destra sta avviluppando quella che chiama “la libertà di licenziare”, e che rischia di trasformare l´articolo 18 in un nuovo tabù, questa volta rovesciato. Per la “feroce gioia” di chi non guarda al lavoro ma intende solo regolare per legge conti sospesi dal secolo scorso con la sinistra e con il sindacato.
Occorre tornare in fretta al merito del problema, de-ideologizzandolo. Il modello tedesco non penalizza certo la produttività e la competitività delle imprese, ma lascia al giudice la possibilità di decidere il reintegro per il licenziamento economico, se si rivela illegittimo. È la forza del buonsenso governante: il Paese è già “pronto”.

La Repubblica 27.03.12

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“Il Professore teme il binario morto”, di GOFFREDO DE MARCHIS

«La mia angoscia è che la riforma finisca su un binario morto. Questo non potrei accettarlo». Il presidente del Consiglio Mario Monti comincia a vedere troppe insidie intorno alla legge sul mercato del lavoro. La campagna imminente per le amministrative, un gioco di veti incrociati, una coperta che, se non si ferma la giostra dei rilanci, rischia di essere sempre corta da una parte o dall´altra. Ecco perché insiste sulla parola «equilibrio». Il segnale di Seul è diretto ai leader della sua “strana” maggioranza: Alfano, Bersani e Casini. «Certo, sono le Camere a fare le leggi. Ma una riforma così complessa non regge se prima non si trova un accordo politico blindato». Se ci si affida solo al dibattito parlamentare, i tempi possono diventare lunghissimi. «E di tempo non ne abbiamo». Un nuovo vertice a Palazzo Chigi sembra perciò scontato, al ritorno dalla lunga missione in Oriente.
Il messaggio che giunge dalla direzione del Partito democratico viene letto a Palazzo Chigi come un incoraggiamento. Che Bersani e i dirigenti del Pd all´unanimità non mettano in discussione la necessità di una riforma allontana il timore della melina democratica sull´articolo 18. Ma fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Così l´esecutivo, una volta scritto il disegno di legge, lo trasmetterà quasi sicuramente al Senato per la prima lettura. In quel ramo del Parlamento siedono infatti gli esperti di lavoro del Pd, a cominciare dagli ex cofferatiani Paolo Nerozzi e Achille Passoni. Ma soprattutto indirizzano le scelte del gruppo, con la loro competenza, i giuslavoristi Pietro Ichino e Tiziano Treu. Due pontieri di grande peso, due tifosi di Elsa Fornero. Ichino, durante la direzione, ha messo in guardia il partito: «Guardate cosa fa il Pdl. C´è una loro proposta che prefigura uno scambio: togliamo le nuove rigidità del mercato in entrata e concediamo qualcosa sulla flessibilità in uscita. Un disarmo bilanciato. Ma sapete cosa significa? Tornare allo status quo. Mentre noi dobbiamo dire con forza che la riforma, anche con le correzioni, la vogliamo».
Il professore-senatore individua il grande pericolo che Monti esprime con l´ultimatum coreano. Quello di un estenuante dibattito parlamentare, dove la concessione a una parte deve essere compensata dall´altra. E dove si infilerebbe la battaglia campale e già intrisa di suggestioni elettorali di Di Pietro e Bossi. Se è vero, come sottolinea spesso Casini, che Monti, altro che tecnico, si muove come un politico sottile e abilissimo, questa è la sua prova del fuoco. Il Pd ieri ha promesso un sostegno vero fino alla fine della legislatura, lo sforzo per una riforma del mercato del lavoro e una discussione in cui il partito non si presenterà diviso. Ha giocato di sponda con il governo. Bersani infatti ha minimizzato le parole del premier: «Quella frase gliela sento dire spesso. Fa bene a ricordare la natura del suo governo». Ma sui tempi il Pd offre garanzie? Il segretario chiede all´esecutivo una “tregua elettorale” per il voto dei comuni (6 maggio e secondo turno due settimane dopo). Non vuol dire chiudere la riforma nel cassetto, ma «prendere in esame un provvedimento complesso partendo dall´inizio. L´articolo 18 può essere votato alla fine», dice Enrico Letta, esponente democratico non sospettabile di simpatie per l´ala laburista e la Cgil.
Ma la conferma di una coperta corta arriva da Milano, dalla conferenza sul lavoro del Pdl. Le parole di Alfano sono un monito per il governo. E il frutto di un pressing delle imprese unito alle sirene delle elezioni locali da giocarsi ancora con la Lega. Gaetano Quagliariello evoca scenari apocalittici: «Rinunciando al decreto, il governo rischia che la riforma sia finita prima di partire». Schermaglie elettorali? Forse ma il problema c´è. Pier Ferdinando Casini non ha lanciato a caso l´allarme sulla crisi. Ci sarà anche nella sua posizione il desiderio di intestarsi la scelta di Monti per spingere i consensi verso il Terzo polo. Ma l´esternazione del premier gli dà ragione. Il Quirinale guarda ai movimenti delle forze politiche e alla capacità dell´esecutivo di trovare una sintesi. Il premier e Napolitano hanno l´ampia garanzia di Silvio Berlusconi: «Io non farò saltare il governo e la maggioranza», è la linea del Cavaliere. Eppure i timori di un inciampo che sta nelle cose fa fatica a essere fugato. A prescindere dalle possibili correzioni, l´incubo reale del Professore è che tutto resti com´è, che non si arrivi a nessuna riforma, che le sabbie mobili parlamentari avvolgano il mercato del lavoro come stanno facendo con le riforme istituzionali. Sarebbe una sconfitta pesantissima.

La Repubblica 27.03.12