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"Restituiamo senso al voto", di Gianclaudio Bressa

La legge elettorale serve a perseguire alcuni obiettivi di fondo: la legittimazione democratica degli eletti e delle assemblee rappresentative, la responsabilità degli elettori nella scelta degli eletti e la stabilità delle camere e dunque l’efficienza del governo. Ciò avviene promuovendo e non stravolgendo il ruolo dei partiti, che la nostra Costituzione definisce infatti come le cinghie di trasmissione fra il popolo, detentore della sovranità popolare, e le assemblee rappresentative.
Per riportare al centro questi obiettivi fondamentali, va superata prima di tutto la personalizzazione della politica, che ha portato con sé la ben più perversa nascita di partiti personali, e una territorializzazione fine a se stessa del conflitto politico, che ha comportato la nascita di forze localistiche.
È dunque necessario farla finita con le formazioni politiche artificiali e, fattore ancora più dannoso perché subdolo, con le alleanze elettorali forzose, poiché servono solo ad accrescere il potere di ricatto delle forze più piccole, al prezzo di una vittoria che non consente poi di governare, come ci mostra l’esperienza inconcludente e dolorosa di questi ultimi quindici anni di governo, tanto di centrodestra che di centrosinistra.
Le democrazie più avanzate ci dimostrano invece che esistono strumenti e tecniche per conseguire tutti gli obiettivi principali richiamati, coniugando la rappresentatività dei sistemi elettorali, la democrazia nei partiti, la legittimazione e stabilità dei governi nonché il controllo democratico degli elettori.
Quello che dunque è necessario fare oggi è restituire senso al voto degli elettori, come atto di scelta dei deputati, non contro, ma dentro i partiti. Dentro a nuovi soggetti da rinnovare anche attraverso l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Ma il potere di scelta dell’elettore non viene restituito con il voto di preferenza, essendo ormai noto che determina un duplice effetto negativo, poiché riduce la coesione interna delle forze politiche alimentando la competizione intrapartitica e, ancor di più, determina un’esplosione delle spese elettorali, a tutto vantaggio dei candidati più forti, di quelli spalleggiati da potenti lobby e, non da ultimo, favorendo infiltrazioni mafiose.
La strada maestra invece è il collegio uninominale, poiché in esso il partito assume il volto di un preciso candidato, che diventa la faccia del programma e incarna la proposta politica, rendendosi al contempo responsabile di fronte agli elettori. Un sistema basato esclusivamente su collegi uninominali, tuttavia, se è vero che semplifica il rapporto fra eletti ed elettori, presenta alcuni inconvenienti seri, come l’eccessiva territorializzazione della rappresentanza, che potrebbe dar vita ad un parlamento formato da partiti politici territoriali, come in India o in Canada, ovvero portare alla situazione paradossale in cui i partiti nazionali potrebbero scomparire in alcune zone del paese. Per cui è necessario combinare il collegio con l’attribuzione di una parte di seggi in liste di partito, in modo da equilibrare la rappresentanza, garantendo potere di scelta e responsabilità.
Una risposta equilibrata potrebbe essere dunque questa: una metà di seggi da attribuire in collegi uninominali e l’altra metà in liste circoscrizionali corte, composte cioè da un numero di candidati ridotto, che possa essere dunque individuato subito dall’elettore al momento del voto poiché collocabile direttamente all’interno della scheda.
Per evitare un’eccessiva frammentazione e premiare la dinamica bipartitica si potrebbero poi prevedere una serie di correttivi, come una soglia di sbarramento nazionale al 5%, l’assegnazione dei seggi a livello circoscrizionale e l’attribuzione di un premio ai primi due partiti. In questo modo, coniugando quindi il meglio dei sistemi elettorali, si potrebbe configurare un sistema democratico basato su candidati e partiti scelti dagli elettori, solidi ed efficienti, lasciandoci finalmente alle spalle coalizioni rissose e candidature prive di qualsiasi contatto con gli elettori e i territori.

da Europa Quotidiano 29.03.12

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“No, si torna indietro”, di Franco Monaco

Caro Bersani, dunque, d’improvviso, sulla legge elettorale è fiorita la pace universale, con il plauso del presidente della repubblica. Confesso la mia incredulità e il mio sconcerto. Stento a credere: che il Pd possa avallare una soluzione agli antipodi dei suoi deliberati formali (impianto maggioritario e doppio turno); che abbandoni il bipolarismo di coalizione, cioè l’unico bipolarismo possibile in Italia; che lo faccia dopo avere ripreso, con te, la politica delle alleanze a seguito della stagione della presuntuosa, velleitaria autosufficienza veltroniana; che sconfessi la linea fissata due anni orsono di una limpida alternativa al centrodestra imperniata su un nuovo Ulivo che propone un’alleanza alle forze moderate di centro per una legislatura costituente e di ricostruzione; che avalli una regola elettorale la quale rimette tutto intero l’esito della partita alle transazioni tra i vertici dei partiti a urne chiuse, con tanti saluti per il cittadino arbitro-decisore caro a Roberto Ruffilli; che, come non bastasse, ci prende in giro con la clausola per cui ciascun partito propone quale premier il proprio leader, uno specchietto per le allodole privo di qualsiasi effetto pratico; che mette le premesse per un nuovo governo di larghe intese (un Monti 2 o chi per lui) ovvero consegna per intero l’esito della competizione nelle mani di un novello Ghino di Tacco, che prende il volto sornione e suadente di Pier furbi Casini; che pone le basi perché nessuno vinca la contesa per il governo (lo ha spiegato perfettamente D’Alimonte con la eloquente e dura logica dei numeri) ma sopravvivano tutti o quasi tutti (come titolava Repubblica la molla è “la paura di perdere”, non l’ambizione di vincere); che faccia a Berlusconi lo straordinario regalo di un pareggio nel mentre si profila per lui una sicura sconfitta e, per noi, una probabile vittoria che evidentemente non ci attrae; che prospetti uno scenario consociativo nel quale, quasi certamente, tu, leader del Pd, sarai escluso dalla premiership (caro Pier Luigi, so che è sincero e virtuoso il tuo ripudio del leaderismo e della personalizzazione, ma ti segnalo che, talvolta, le ambizioni politiche di un leader sono una risorsa preziosa e un utile propellente per il suo partito e per una democrazia competitiva); che gli ex cultori del bipolarismo spinto fino al bipartitismo e della democrazia di investitura, con il corredo dei loro alchimisti che ci stordiscono (imbrogliano?) con le loro tecnicalità, oggi avallino proporzionale, consociativismo, abbandono del bipolarismo, esautoramento della sovranità dei cittadini nelle decisioni che contano.
Davvero inspiegabile. Mi chiedo perché. Abbozzo qualche ipotesi. Ho l’impressione che, anche tra noi, abbiano fatto breccia un cumulo di luoghi comuni che, insieme, danno corpo a una narrazione fuorviante nutrita di oblio delle differenze. Esemplifico: la politica tutta avrebbe fallito, indifferentemente, non il ciclo berlusconiano. Domando: tutti sullo stesso piano? Compresi i governi di Prodi e di Ciampi, di Napolitano e di Padoa Schioppa, di Veltroni e di D’Alema, anch’essi associati ai detrattori? Che da rigettare sia la democrazia competitiva e non l’interpretazione assolutistica del maggioritario da parte del Cavaliere, con il suo colossale conflitto di interessi che ha minato alla radice il cosiddetto bipolarismo civile, il quale presuppone una partita ad armi grossomodo pari? Sintomatico di tale oblio e subalternità a una narrazione che rimuove la verità delle cose è la bozza di riforma costituzionale.
Non è l’oggetto di queste note, ma, come ha notato Manzella, fa riflettere la circostanza che la bozza di riforma costituzionale non faccia neppure un cenno all’esigenza di rafforzare gli istituti di garanzia, dopo diciotto anni nei quali, giustamente, abbiamo levato alte grida contro le minacce alla democrazia costituzionale.
Tutto dimenticato? Abbiamo scherzato? Ancora: si è fatta strada l’idea che la Prima repubblica fosse l’età dell’oro, scordando i governi di dieci mesi e la montagna del debito pubblico che tuttora ci affligge.
Al fondo sta un curioso paradosso: la proporzionale, di regola, logicamente, dovrebbe esaltare l’autonomia e il protagonismo dei partiti. Qui, al contrario, abbiamo a che fare con partiti così deboli, autoreferenziali e rinunciatari (anche il Pd?) che sembra si preoccupino solo di “esserci”, di sopravvivere come ceto politico, di portare il proprio personale politico in parlamento: vincere per governare è problema secondario.
Se la vedranno poi, dopo il voto, i professionisti della politica. Il tempo della ricreazione (e dei dilettanti) è finito. Non vorrei essere costretto a tifare per la sopravvivenza del Porcellum. Infine due domande, caro Bersani. La prima mi sorprende che sfugga ai più: non sono così sicuro che il Pd possa sopravvivere al ripristino di logiche proporzionalistiche che esaltano i particolarismi e le cosiddette identità. Il Pd potrebbe divaricarsi tra componenti neocentriste che malvolentieri regalerebbero al Terzo polo un esorbitante potere di coalizione e suggestioni neofrontiste a sinistra: La seconda: tu hai vinto il congresso intorno all’idea che il partito è una cosa seria, una organizzazione collettiva con i suoi organi e le sue regole.
Possiamo cambiare la linea politica e lo stesso profilo identitario del Pd al tavolo negoziale sulla legge elettorale prescindendo dai deliberati di partito? Piuttosto, con franchezza e trasparenza, decidiamo insieme di avere cambiato radicalmente idea. Lì almeno potrei mettere a verbale il mio dissenso. Una consolazione? Forse un mio diritto.

da Europa Quotidiano 29.03.12

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“Strada giusta e migliorabile”, di Stefano Ceccanti

Parliamoci senza tecnicismi. È evidente che a questo punto l’alternativa al sistema tedesco con correttivi maggioritari è solo il mantenimento del Porcellum. Chi vuole opporsi dovrebbe assumersi le responsabilità di tale scelta. Una scelta che porterebbe a conseguenze prevedibili: una costrizione fortissima a ricomporre la coalizione Pdl-Lega e a mettere insieme senza nessuna seria verifica Pd, Sel e Idv. Il Terzo polo andrebbe solo nella speranza di essere determinante dopo il voto al senato.
A quel punto si aprirebbero due scenari: o il tentativo terzopolista funzionerebbe e avremmo da subito un nuovo governo tecnico pilotato dal nuovo presidente della repubblica oppure la coalizione vincente sopravviverebbe qualche mese fino alla prima vera decisione e anche lì risbucherebbe il governo tecnico.
Difficile peraltro a quel punto resistere all’idea di perfezionare il sistema con l’elezione popolare diretta del presidente della repubblica. Se vogliamo invece rilanciare una seria soluzione parlamentare il tentativo va percorso da subito. Le obiezioni principali sono due. La prima investe la scelta dei rappresentanti che sarebbe solo debolmente riaffermata dalla soluzione che fa eleggere metà dei parlamentari in collegi uninominali e che per l’altra metà si affida a liste bloccate, sia pure corte, di soli 3 o 4 nomi. L’alternativa sarebbe comunque il Porcellum, un sistema certo peggiore, magari integrato dall’idea balzana di correggerlo con le preferenze, in maxi-circoscrizioni dove si potrebbe essere eletti solo con ingenti risorse, economiche o mediatiche.
La perplessità aumenta quando si vede che a sostenere ciò stanno persone che si sono battute per il ripristino della legge Mattarella che, al di là delle diverse proporzioni aveva sia i collegi uninominali sia le liste bloccate corte.
La seconda obiezione investe la formazione post-elettorale dei governi che non presenta più certezze automatiche. Ma esse si trasformavano anche in capacità di governo? Non abbiamo forse fatto il Pd esattamente per superare la logica di quelle coalizioni? Ad un partito come il Pd è congeniale la sua vocazione maggioritaria, il competere direttamente in prima persona in un sistema che lo consenta coerentemente, mentre nel 2008 lo scegliemmo andando contro le tentazioni di quel sistema, cosa che si può fare una volta.
Ancora di più: cosa significa aver dato vita al governo Monti se non aver ammesso che il bipolarismo di coalizione non porta da nessuna parte? Possiamo chiudere la legislatura ritenendolo una parentesi? È comprensibile che le forze all’opposizione siano contro l’ipotesi di legge elettorale perché ambiscono dall’estrema ad avere di nuovo la golden share delle coalizioni, ma non ha invece senso scindere nettamente il nostro oggi con Monti dal nostro domani con regole diverse. Ciò sta in piedi purché rimangano, e siano magari perfezionate secondo le proposte del gruppo Astrid, i correttivi maggioritari e costituzionali .
In tal modo, infatti, pur non essendoci automatismi (ma chi li difende sta sostenendo il Porcellum) ci sono potenti incentivi a costruire coalizioni intorno al primo partito uscito dalle urne, che funzionerebbe da calamita. Non è irrealistico pensare a una forza che arrivi da sola al 40 per cento dei seggi e che abbia quindi bisogno di non più di 1 o 2 alleati.
È esclusa a priori la formazione di una Grande coalizione? Con quei correttivi no, sarebbe una possibile risorsa eccezionale del sistema e non la regola, ma non credo che un sistema debba tentare di evitarla a tutti i costi. Anche perché, come vediamo, si è affermata persino in un sistema che non era certo stato pensato per quella eventualità…Adelante quindi con juicio, cioè coi correttivi maggioritari.

da Europa Quotidiano 29.03.12

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“Il segretario sbaglia, cittadini espropriati quella riforma uccide il bipolarismo”, intervista a Rosy Bindi di Giovanna Casadio

Gli elettori non sceglieranno né candidati, né coalizioni, Si passa da una legge cattiva ad una pessima. Un sistema così produce instabilità e quindi porta alle Larghe Intese. Se ne avvantaggiano Udc e Pdl, ma non il Pd

«Questo accordo, se resta così, espropria i cittadini, che non sceglieranno i parlamentari, non voteranno per la coalizione: è la tomba del bipolarismo e non darà stabilità al governo del paese».
Presidente Bindi, la legge elettorale si deve cambiare o no?
«Sia chiaro, cambiare il Porcellum è prioritario, ma questo non vuol dire acconsentire a qualsiasi legge elettorale, cancellare una cosa cattiva per accettarne una pessima».
Il Pd ha votato nella sua Assemblea, e ha presentato in Parlamento, una proposta di legge per il maggioritario a doppio turno. Però se si vuole cambiare davvero, un compromesso va accettato?
«Agli elettori va restituita la scelta dei parlamentari senza espropriarli del potere di optare per la coalizione. Nella bozza dell´accordo ci sono rischi e io ho obiezioni che non credo siano solo mie. Innanzitutto, è da dimostrare che con collegi grandi come due province e liste bloccate si restituisca la scelta dei parlamentari. Secondo me, no. Anche perché resta il problema di chi indica le candidature».
Seconda obiezione?
«Questa ipotesi di riforma elettorale chiede all´elettore di votare il partito non la coalizione. Torniamo ai partiti con le mani libere in un momento di crisi enorme della vita dei partiti. Così si mette a rischio il bipolarismo. Non abbiamo grandi partiti, i principali non raggiungono insieme il 50% dei voti e non possono mai costituire l´ossatura di un bipolarismo certo e sicuro. In Italia il bipolarismo o è di coalizione o non è. L´idea di un premio di maggioranza al partito principale dà un piccolo vantaggio, ma non stabilità al sistema che diventerebbe multipolare».
Dal Porcellum alla porcata bis? Tuttavia questa intesa la difende Bersani, dal quale lei si smarca?
«Come ha detto D´Alimonte non vorrei che puntando a Berlino ci ritrovassimo a Weimar, all´ingovernabilità. Io sto sostenendo la mozione con la quale Bersani ha vinto il Congresso».
Fin qui il merito. Quale è la sua contrarietà politica?
«L´ingovernabilità non può che produrre le Larghe Intese. Sono onesti quelli dell´Udc, lo dichiarano, anche perché se ne avvantaggerebbero. Il Pdl, che prevede di perdere, ha così la possibilità di pareggiare. Ma dove sta il vantaggio per il Pd? Soprattutto dove sta il vantaggio per l´Italia? In questi giorni, il governo tecnico ha avanzato una proposta di riforma strutturale del mercato del lavoro e dell´articolo 18, e si è visto che senza la politica non c´è tecnica che regga, non si fanno le scelte. Perché le riforme strutturali rispondono a un progetto di società, e domandano la democrazia competitiva e dell´alternanza. Non si può stare a lungo nel limbo delle Larghe Intese».
Quindi non le piacerebbe un Monti-bis?
«Un Monti-bis, o chi per lui, non farebbe bene al paese. L´Italia ha bisogno di riprogettarsi e di riprogettare l´Europa. O con le idee del centrodestra o con le idee del centrosinistra. Sulle grandi questioni i due schieramenti continuano ad essere alternativi. Se il Pd fa battaglia sull´articolo 18 è perché abbiamo in mente un certo tipo di società. Con questa legge elettorale rinunciamo a costruire l´alternativa».
Monti ha fatto sapere che per il suo governo c´è un forte consenso e per i partiti no. È così?
«So che siamo in un momento difficile, ma questo non può consentire a Monti di creare un conflitto tra il suo governo e i partiti che lo sostengono in Parlamento. Da Monti un cedimento populista basato sui sondaggi non me l´aspettavo. I partiti però devono riscattarsi, mentre questo accordo sulla legge elettorale è il frutto contraddittorio di una rassegnazione».

La Repubblica 29.03.12