attualità, cultura

“Fede e il sipario che cala sul Tg in versione varietà”, di Massimiliano Panarari

Ci potranno mai più essere un TG4 alla Emilio Fede e un TG1 stipato di editoriali alla Augusto Minzolini nell’Italia del governo tecnico? Con una naturalezza e una non- davvero impressionanti (e alquanto imprevedibili), il governo di Mario Monti ha avuto l’effetto di un terremoto in parecchi settori della vita pubblica italiana. Sta platealmente riscrivendo l’agenda economica e sociale, ma tutto fa pensare anche, in questo nostro Paese dall’aria (apparentemente) immutabile, che abbia dato inizio, quatto quatto, a una specie di nuovo spirito dei tempi, destinato, ovviamente, a non risparmiare quei termometri ipersensibili rispetto al clima politico che sono i telegiornali.

Il mix di competenza e sobrietà dei professori sta così producendo delle rivoluzioni anche nel sancta sanctorum del piccolo schermo. Uno sciame sismico: crisi d’ascolti dei talk show, aggiustamenti e ritocchi negli spazi giornalistici del servizio pubblico (a proposito del quale la maggioranza degli italiani invoca, giustamente, il recupero di uno spirito da troppo negletto), Minzolini che ha fatto i bagagli, il varo di TGCom 24 (il canale all news di Mediaset).

E, soprattutto, in termini simbolici, la fine di un’era, quella pluridecennale di Emilio Fede alla direzione del TG4, il quale, avendo intensamente (e piuttosto smodatamente) vissuto la stagione precedente, ne rappresenta un po’ il «capro espiatorio» ideale. Cosa sia successo nelle segrete stanze del primo gruppo televisivo privato italiano non è dato sapere, ma di sicuro Fede, che si proclamava l’ultimo dei «mohicani berlusconiani», produceva da tempo una sensazione di reducismo (e di «giapponese nella foresta») non più in sintonia con la fase mutata.

Era la sua la massima manifestazione di berlusconismo militante (e militare), con il TG4 caserma della Weltanschauung del Capo, di cui non si discuteva nulla, e men che meno la signorilità delle «cene eleganti» di Arcore.

Fedele agit prop di «Silvio», ma, anche e soprattutto, di se stesso, ovvero di un modello televisivo, di cui era stato, di fatto, l’inventore, volto ad abolire le frontiere tra informazione e intrattenimento. Un’espressione esemplare della politica pop, come l’ha chiamata Gianpietro Mazzoleni, e un frullatore nel quale venivano centrifugati materiali diversissimi, l’«informazione con l’elmetto» indirizzata alle fasce meno acculturate della popolazione e le «meteorine», il pettegolezzo e gli attacchi durissimi agli avversari (con la famigerata, e insopportabile, damnatio memoriae della storpiatura del nome). Qualcosa di assimilabile al giornalismo tabloid di altre nazioni, che qui passava per il tubo catodico anziché per la carta stampata, e, nel momento del bisogno, si tramutava in oliatissima macchina propagandistica. Su tutto e tutti, a troneggiare, era sempre lui, conduttore instancabile e nel suo genere insuperabile, smaccato, parossistico, esagerato, faziosissimo. Un vero marchio di fabbrica: guardavi Fede, e sapevi cosa ti attendeva. Solo che quello, giustappunto, non era precisamente un telegiornale, ma un’altra cosa, sconfinante nello spettacolo integrale di debordiana memoria: un «varietà informativo», dove, per l’appunto, l’intrattenimento finiva per prevalere sulle news, che, tra l’altro, appartenevano per lo più alla tipologia soft e gossipara. Era, insomma, il regno, postmodernissimo, dell’indistinto e dell’abbattimento delle distinzioni tra gli ambiti e i generi e, come tale, un autentico «blob» (che, non a caso, tante soddisfazioni dava ai creatori dell’omonima trasmissione di Rai Tre), e si inseriva abilmente in quella strategia di produzione di un’egemonia sottoculturale che tanto ha segnato politicamente il Paese nel corso i questi anni.

Uno strumento a lungo efficacissimo, divenuto di botto, nell’epoca del governo tecnico e dell’emergenza spread a ciclo continuo, una sorta di reperto paleolitico. Ma the show must go on e quindi, archiviato un TG4, se ne fa un altro. Che, giudicando da quanto andato in onda ieri sera, giorno I dell’èra post-Fede, nell’edizione principale delle 18,55, sarà un po’ differente.

Emilio Fede, ex direttore e dominus assoluto, ha salutato commosso i suoi telespettatori, negando qualunque screzio all’interno dell’azienda e dando loro l’arrivederci. Ma la sensazione era piuttosto quella di un finale di partita…

La Stampa 30.03.12