attualità, politica italiana

“Foto di gruppo con evasore”, di Michele Serra

Ogni volta che vengono resi pubblici i redditi degli italiani, si sussulta. È la fotografia, se non di un Paese povero, di un Paese con moltitudini di poveri, una piccola minoranza di benestanti e pochissimi ricchi. Solo 30mila italiani (lo 0,07 per cento) dichiara di guadagnare più di 300mila euro all´anno. Per quanto sfocata (nessuna statistica riesce davvero a mettere a fuoco la realtà delle cose), è l´immagine di un popolo economicamente depresso, dove il benessere di massa, a differenza che in altri paesi occidentali, non ha mai fatto davvero breccia: oltre metà dei contribuenti dichiara un´imponibile inferiore ai 15mila euro all´anno. La recente catena di suicidi di nostri concittadini sopraffatti dalle ristrettezze economiche – quasi tutti piccolissimi imprenditori – suggerisce cautela nei giudizi: non c´è dubbio che i morsi della crisi abbiano roso fino all´osso alcuni redditi e alcune vite. Ma il macro-dato, così come viene offerto dall´autoscatto che i contribuenti hanno fatto dell´Italia lascia intendere, senza possibilità di dubbio, che una ricchezza smisurata (letteralmente: non misurata e forse non misurabile) non compare nella foto di gruppo chiamata “redditi 2010”. E´ fuori inquadratura, da qualche parte. Sotto il materasso, all´estero, già reinvestita in beni immobili e mobili, bruciata allegramente in bagordi, scomparsa nelle scatole cinesi della finanza creativa, intestata a prestanome, ditte fittizie e altri fantasmi…. Non si sa.
Ma si sa che c´è, o per dirla meglio: si sa che non può non esserci. Non esiste, infatti, corrispondenza alcuna tra l´evidenza del tenore di vita medio del paese e dichiarazioni dei redditi che, se vere, non consentirebbero al novanta per cento della popolazione non dico auto di lusso o barche o vacanze esotiche, ma le normali automobili, le normali vacanze, le normali seconde case e i normali guardaroba che siamo abituati a considerare gli ingredienti della vita media degli italiani medi e delle italiane medie.
Men che meno, a giudicare da questa fotografia, l´Italia parrebbe soggetta a quella rivoluzione economica e sociale (il secondo boom degli anni Ottanta e Novanta) che, con la crisi dell´industria, ha convinto miriadi di ex dipendenti a farsi imprenditori, moltiplicando le partite Iva e con esse il dinamismo, lo spirito di iniziativa, il reddito medio e i consumi. Risulta infatti che nel 2010 i lavoratori autonomi, i professionisti e gli imprenditori, che sono il motore formidabile dell´economia post-industriale (il famoso “popolo delle partite Iva” al quale mi onoro di appartenere) hanno guadagnato, in media, meno dei lavoratori dipendenti. Perché mai, dunque, milioni di italiani avrebbero fatto quel salto, abbandonando il lavoro salariato e aprendo bottega in proprio, se oggi dichiarano di guadagnare meno dei loro operai e impiegati? Ecco un appassionante mistero per gli economisti.
Comunque sia, passato lo sconcerto di fronte alle crude cifre, la domanda che riassume tutte le altre è questa: quanto incide, nel miserabile computo della nostra indigenza nazionale, la penuria reale, l´incrocio tra povertà antiche e nuove, l´avanzare della crisi? E quanto incide l´opera indefessa di occultamento della ricchezza che molti, moltissimi italiani perpetuano di anno in anno, nella convinzione (antica) di esercitare legittima difesa nei confronti di un esattore, lo Stato, al quale da secoli non riconoscono legittimità, e senza avere idea alcuna del furto che commettono non ai danni dello Stato, ma dei loro connazionali onesti che pagano i servizi (scuole, strade, ospedali) anche per conto loro? A quanto ammonta il furto perpetrato da una crisi economica creata dalla grande finanza ma pagata da chi lavora; e a quanto ammonta il furto che più o meno mezza Italia compie ai danni dell´altra mezza?
Chissà se nella sterminata e indeterminata folla di persone che forma l´affresco statistico, il Fisco sarà mai in grado di distinguere il vero povero e il finto povero, due parti in commedia che la crisi rende sempre meno compatibili, sempre più nemiche.

La Repubblica 31.03.12

******

Vergogna fiscale: un italiano su due ha un reddito Irpef sotto i 15mila euro

Nell’Italia dei paradossi metà dei contribuenti denuncia un reddito inferiore ai 15mila euro lordi l’anno, un contribuente su tre ha un reddito sotto i 10mila euro lordi l’anno, gli imprenditori guadagnano meno dei lavoratori dipendenti, mentre i “ricchi” oltre i 100mila euro lordi l’anno sono appena l’1% degli italiani. A comunicarlo è il dipartimento delle Finanze del ministero dell’economia che ha pubblicato le statistiche sulle dichiarazioni delle persone fisiche (Irpef) relative all’anno d’imposta 2010. Il reddito medio degli italiani è stato pari a 19.250 euro ed è cresciuto dell’1,2% rispetto al 2009. Ed ancora appena lo 0,07% dei contribuenti ha dichiarato oltre i 300mila euro e solo a loro sarà applicato il contributo di solidarietà del 3% stabilito per gli anni d’imposta 2011-2013. Nel giorno in cui il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha parlato di necessaria severità fiscale, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani sottolinea come questi dati «siano l’eterna raffigurazione della vergogna dell’evasione fiscale».

da Europa Quotidiano 31.03.12

******

“Gli imprenditori dichiarano meno dei loro dipendenti. E un contribuente su due dice di guadagnare una cifra sotto i 15 mila euro”
di Tonia Mastrobuoni

È urgente spostare il carico fiscale dai dipendenti e dalle imprese alle rendite e ai patrimoni Luca Montezemolo Presidente Ntv I dati resi noti oggi dal ministero delle Finanze sono l’eterna raffigurazione della vergogna dell’evasione fiscale Pier Luigi Bersani Segretario nazionale del Pd
Nel 2010 un contribuente italiano su due ha dichiarato al fisco meno di 15 mila euro. Si tratta di 20,2 milioni di persone, delle quali 14 milioni un terzo del totale si mettono in tasca ogni anno addirittura meno di 10 mila euro. Un altro 30 per cento dice di guadagnare tra 15 e 26 mila euro e il 20 per cento arriva a 100 mila. Soltanto lo 0,07 per cento degli italiani che arriva a compilare la dichiarazione dei redditi incassa più di 300 mila euro: si tratta di appena 30 mila persone Ma tra i dati forniti ieri dal ministero dell’Economia, non sono questi a far cascare la mascella, simili peraltro a quelli degli anni precedenti, ma quelli che riguardano le singole categorie di lavoratori.
Anzitutto, desta un lieve sospetto anche il livello medio di stipendio degli italiani: 19.250 euro. Ma se si va poi nel dettaglio delle tipologie di reddito, i paradossi diventano lampanti: i lavoratori dipendenti guadagnano più degli imprenditori. Mentre gli autonomi guadagnano in media 41.320 euro e sulla carta sono i più «ricchi», i dipendenti possono contare su neanche metà di quella cifra, 19.810 euro e dichiarano più dei loro «padroni», degli imprenditori, che si fermano a 18.170 euro. I pensionati hanno un assegno che annualmente totalizza 14.980 euro mentre il reddito medio da partecipazione è di 16.500 euro.
C’è di più. Quasi 11 milioni di italiani, il 10,7 per cento del totale dei contribuenti, dichiara zero, non paga un centesimo di Irpef. Si tratta di contribuenti a basso reddito che possono contare sulle soglie di esenzione o la cui imposta lorda si azzera con le numerose detrazioni del Fisco.
Quanto alla distribuzione territoriale, è la Lombardia la regione con reddito medio complessivo più elevato (22.710 euro), seguita dal Lazio (21.720 euro), mentre la Calabria ha il reddito medio più basso con 13.970 euro.
Un aspetto positivo è che la crisi non ha impedito a 915 mila italiani di fare donazioni alle onlus, alle organizzazioni senza scopo di lucro. Ed è altrettanto importante notare, come emerge da un dossier preparato dal ministero che c’è stato un «aumento del numero dei contribuenti (+18 mila circa) che ha sostenuto spese per addetti all’assistenza personale (badanti), con un incremento del 21,8% dell’ammontare totale di tali spese». Un altro dettaglio interessante è che gli sconti Irpef hanno consentito di dedurre o detrarre dalle tasse ben 50 miliardi di euro. Gli oneri deducibili quelli che vengono tagliati dall’imponibile complessivo sono stati pari a 22 miliardi di euro, mentre gli oneri detraibili quelli cancellabili una volta ottenuta l’imposta hanno pesato per 28 miliardi. Infine, il fisco rende noto che c’è stato un «forte aumento» delle spese per la riqualificazione energetica detraibili al 55% (+23%) e delle spese per il recupero edilizio detraibili al 36% (+12%) ».
Numerose le reazioni dal mondo politico e sindacale. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha osservato che è indispensabile mettere in campo «nuove politiche per la crescita e lo sviluppo» e favorire così «l’occupazione». Ma soprattutto «non si deve esitare a proseguire nel cammino delle riforme», ma sempre con «la necessaria severità fiscale».
Molto dura la reazione di Pier Luigi Bersani, che ha parlato dell’«eterna raffigurazione della vergogna dell’evasione fiscale». Secondo il segretario del Partito democratico «resta il punto principale per riprendere la strada della crescita». Cisl e Uil hanno chiesto un provvedimento per abbassare le tasse ai lavoratori e ai pensionati mentre Luca Montezemolo ha chiesto di spostare il carico fiscale «dal lavoro e dalla produzione alle rendite e ai patrimoni».

La Stampa 31.03.12