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Il confine di Mario "Spread sotto 340", di Carmelo Lopapa

L´allarme viaggia sotto traccia, non deve contagiare gli investitori, soprattutto stranieri. Non deve preoccupare gli italiani, alle prese con sacrifici e tasse. Ma la preoccupazione accompagna gli ultimi giorni del viaggio orientale di Monti. E condizionerà il calendario al rientro in Italia. «Dobbiamo impedire in tutti i modi che lo spread superi di nuovo stabilmente quota 340 o la natura del nostro debito pubblico potrebbe trascinarci nel gorgo della Spagna», raccomandazione e timore che il Professore confida in queste ore solo ai più stretti collaboratori.
L´imprevista impennata del differenziale coi titoli tedeschi oltre quella soglia-sicurezza, dopo settimane di quiete, la chiusura venerdì appena in calo – a 332 sui Bund – costituiscono un campanello d´allarme che a Palazzo Chigi e in via XX Settembre non stanno affatto sottovalutando. La situazione è stata sotto monitoraggio costante anche da parte del viceministro dell´Economia Vittorio Grilli, rientrato ieri sera dall´Ecofin di Copenaghen. Anche perché la settimana è stata segnata da forti tensioni sui listini e «i mercati sono ancora troppo fragili», ripete il numero due di Monti al dicastero. Sullo sfondo delle apprensioni italiane c´è la crisi finanziaria che sta travolgendo la Spagna. L´Italia non è fuori dalle sabbie mobili, il momentaneo salvataggio della Grecia non elimina affatto i rischi. Il precetto dettato dall´inquilino di Palazzo Chigi dalla Cina è secco: «Solo se teniamo lo spread sotto 340 siamo in grado di gestire le possibili ripercussioni del virus iberico». Un virus altamente contagioso, soprattutto per le economie indebolite da debiti pubblici faraonici, Italia e Portogallo in prima linea.
Senza tenere conto del fatto che ogni cento punti base di spread, di scarto tra Btp e Bund tedeschi, comportano la perdita (o il guadagno) di circa 2 miliardi di euro. Linfa vitale che le finanze italiane non possono permettersi di perdere. Monti resta ottimista sul medio-lungo termine. Anche perché nella settimana appena conclusa l´asta dei titoli italiani a 5 anni (per 2,5 miliardi)e 10 anni (per 3,2 miliardi) è andata a gonfie vele. Ma se lo spread è sceso da 517 fino di quasi 200 punti è anche grazie alle iniezioni di liquidità della Bce. Un supporto decisivo che – il premier lo sa bene – non si ripeterà nei prossimi tre mesi. Ecco perché è già corso ai ripari spostando buona parte del debito pubblico sulle banche italiane. Grazie al maxi-prestito della Banca centrale, gli istituti hanno acquistato in blocco i nostri titoli e questo ha consentito intanto di trasferire il controllo dell´«esposizione» entro i confini nazionali. In seconda battuta, il calo drastico dello spread ha convinto anche investitori stranieri a partecipare alle aste, facendo rialzare il tasso di credibilità dell´economica italiana. Ma quel che si è chiuso è il primo trimestre di recessione conclamata. E la «spagnola» che fa tremare adesso i mercati costituisce un fattore troppo alto di rischio. La ricetta sulla quale Monti si prepara a insistere con i partner europei prevederebbe un ulteriore innalzamento del Fondo salva-Stati. Venerdì il Firewall è stato aumentato a 800 miliardi, dall´Eurogruppo. Il premier è convinto che occorrerà alzare ancora oltre la soglia se si vorrà sortire un effetto deterrente contro le speculazioni e abbattere ulteriormente lo spread. La situazione insomma è ancora molto scivolosa. È un messaggio che Palazzo Chigi lascia filtrare soprattutto all´indirizzo dei partiti italiani alla vigilia della trattativa sul mercato del lavoro che ora si sposta in Parlamento. La precarietà finanziaria è anche il motivo per il quale Monti ha già deciso che il tesoretto derivante dalla lotta all´evasione non verrà impiegato per adesso nella riduzione del debito. Tanto meno impedirà di innalzare l´Iva di due punti, come già previsto per la seconda metà dell´anno, forse in autunno. A dispetto di chi già si adagiava su più ottimistiche previsioni. Quel fondo fiscale potrebbe tornare utile in caso di aggravamento della crisi.

La Repubblica 01.04.12