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"Ammettere i propri errori: solo così si ottiene la fiducia", di Agnes Heller

Chi ha ruoli istituzionali alle volte fa ricorso alla manipolazione e alla retorica ma deve poi saperlo riconoscere
Esistono valori che devono essere condivisi come la libertà di parola e la possibilità di intervenire nel dibattito pubblico. Cos´è che caratterizza il concetto politico moderno di verità? La verità politica moderna è confutabile e può essere smentita. Se per la scienza determinate teorie e affermazioni non sono né vere né false, in quanto non sono recepite come affermazioni scientifiche (ad esempio la previsione del giorno del giudizio nel 2220, o l´avvistamento di angeli nell´oceano Pacifico), lo stesso criterio va applicato alla politica. Possiamo sognare ad esempio un mondo senza mercati, o magari senza stati; ma idee del genere non sono politiche, e quindi politicamente non sono né giuste né sbagliate.
La verità di un´idea politica può essere rivendicata quando tiene conto della verità dei fatti. Certo, la verità dei fatti è sempre interpretata, e le diverse interpretazioni possono essere contrastanti, ma esiste un centro, un nocciolo duro al quale tutte devono fare riferimento. (…) E´ necessario conoscere sia la situazione attuale che i suoi precedenti, e comprendere a che punto stiamo. La comprensione dev´essere basata sui fatti. Ogni suggerimento di azioni da intraprendere deve fare riferimento a dati di fatto interpretati. In un ordinamento politico democratico equilibrato e ben funzionante, il dibattito avrà per oggetto l´interpretazione di quei fatti. Diverse interpretazioni portano a progetti diversi.
Ma anche i valori rientrano nella categoria dei fatti, esistono e sono validi. Una democrazia moderna è basata su determinati valori, che ogni politico democratico è tenuto a convalidare, al pari dei cittadini. L´affermazione fondativa che tutti gli uomini sono nati liberi e hanno diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della civiltà, così come l´uguaglianza davanti alla legge, costituiscono norme o valori; e a quest´elenco si aggiungono la libertà di stampa, la libertà religiosa e tutte le libertà di uno Stato democratico. Questi valori, che sono i principi (archai) del linguaggio filosofico tradizionale, vanno considerati come verità fuori discussione, evidenti di per sé stesse. Ma dato che non ci provengono da poteri trascendenti non sono valori rivelati, bensì costituiti dagli uomini. La loro verità ha bisogno di essere sostenuta, riconfermata e simbolicamente sottoscritta dai cittadini di uno Stato democratico. Certo, nel mondo moderno questi principi non sono universalmente accettati, e quindi non sono validi per tutti: non lo sono, ad esempio, per i razzisti. Ma proprio per questo sono principi dei tempi moderni, che in quanto tali possono essere messi in discussione. Tuttavia, chi li contesta nella loro totalità si pone al di fuori della sfera politica: è il caso di tutti Paesi totalitari.
Ma supponiamo che tutti i principi di base, e soprattutto l´affermazione fondamentale che tutti gli esseri umani, senza distinzione alcuna, sono nati liberi, sia accettata come una verità di per sé evidente. Come è noto, normalmente non si discute pro o contro questi principi, bensì in base ad essi. Ma allora, di cosa si discute? (…)
L´interpretazione di un principio è l´«ultima ratio» in politica. I discorsi politici possono essere molto complessi, ma il problema che ci interessa qui è quello della verità. Ora, perché la pretesa di affermare una verità sia rispettabile, la prima condizione è che la suddetta affermazione sia aperta alla discussione. Un´altra condizione è che chiunque abbia qualcosa da dire e sia interessato o parte in causa, abbia la possibilità (e sottolineo: la possibilità, non l´obbligo) di partecipare al dibattito su un piano di parità. La libertà di parola è la condizione.
In questo dibattito entrano in gioco tre tipi di verità: la verità ultima dei principi in quanto tali, l´interpretazione dei principi, che è sempre aperta alla discussione, e la cosiddetta vera conoscenza, quella dei fatti addotti a sostegno di una tesi, anch´essi interpretati, e la cui interpretazione è a sua volta soggetta a contestazione. Tra questi, due tipi di verità: quelle dell´interpretazione dei valori e dei fatti per lo più non sono accettati da tutti, e saranno sempre oggetto di nuove contestazioni. La dinamica della società moderna, che è la condizione del cambiamento sociale, presuppone l´assenza dell´assoluto in queste elementari istanze di verità. La contestazione della verità serve qui da modello per qualunque tipo di discorso moderno sulla verità, ivi compreso il dibattito sulla giustizia distributiva e retributiva, e persino sul diritto alla guerra. (…)
Ma allora, cos´è la menzogna, cos´è la disinformazione? Si parla generalmente di menzogna quando qualcuno, pur conoscendo la verità su una data questione, non è interessato a farla sapere, e decide quindi di darne una versione opposta o comunque diversa. Questo concetto di verità (in base al quale chi mente lo fa per una scelta deliberata, per motivi di piacere, interesse o autodifesa) è tipico della vita quotidiana, ed è altresì uno dei concetti predominanti di verità nella sfera legale. Ma è pure presente in politica, sebbene in forma assai più complicata.
Davanti alla legge si è chiamati a dire tutta la verità e nient´altro che la verità. Nella sfera politica non è permesso dire il contrario della verità, ma è consentito non dirla per intero. E´ una questione di giudizio: a seconda delle circostanze, dei compiti, delle prospettive o altro, una persona o un´istituzione investita di autorità può dire tutta la verità, o dirla soltanto in parte. Di fatto, ciò avviene anche nei comportamenti quotidiani. In una sua lettera, Kant scrisse che chi omette di dire spontaneamente tutta la verità non può essere accusato di menzogna; ma se interrogato, è tenuto a dare una risposta veritiera. Peraltro, in questo caso avremmo potuto fare a meno di scomodare Kant: basterebbe aver letto il «Misantropo» di Molière.
Ma torniamo alla concezione di Kant sul tema del giudizio. La fiducia è condizione indispensabile alla vita, e quindi anche alla vita politica. Ma nel mondo politico moderno la fiducia non può essere incondizionata. I re non sono più tali per grazia di Dio. Tutti gli esseri umani sono ugualmente dotati di ragione e di coscienza. Perciò, anche se accordano la propria fiducia a questa o quella persona, le donne e gli uomini moderni riservano a se stessi il giudizio finale. Cosa ci conferisce questo diritto di decidere in ultima istanza, in materia di opinioni o di scelte politiche? E´ un diritto incondizionato? Possiamo fidarci incondizionatamente della nostra capacità di giudizio indipendente? Ovviamente, la risposta non può che essere negativa.
Le condizioni per poterci fidare del nostro giudizio non sono diverse da quelle che poniamo per fidarci del giudizio altrui. Si presuppone l´adesione ai valori moderni; la conoscenza dei problemi da affrontare, i quali a loro volta devono essere posti in relazione con i suddetti valori; la verifica, per quanto possibile, delle informazioni inerenti, e infine l´ammissione della propria fallibilità. Questi i presupposti per orientarsi nella ricerca della verità in campo politico.
L´ammissione della propria fallibilità è norma comune in tutte le sfere moderne del mondo politeistico (economia, diritto, politica); ma in nessuna sfera essa è necessaria quanto in quella politica. Se la retorica e l´arte della persuasione giocano un ruolo in tutte le sfere sopra menzionate, mai come in politica la loro importanza è predominante. In campi come quello della biofisica, oppure in materia di investimenti, i tentativi di fare opera di persuasione sono assai meno frequenti, dato che solo in politica la retorica può essere coronata dal successo.
Se la capacità di ammettere la propria fallibilità è una delle maggiori virtù di ogni cittadino, è certamente la più grande di tutte per un politico.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)

La Repubblica 02.04.12