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"Diario della mia vittoria", di Aung San Suu Kyi

L´altro giorno stavo osservando uno degli striscioni di benvenuto, che mi erano dedicati, con il tradizionale augurio di lunga vita. Quel cartello, però, aveva qualcosa di speciale: una scritta più o meno come questa: “Uno studente laureato ma senza lavoro ti dà il benvenuto”. Poi ho saputo che si trattava di un giovane proveniente dalla città di Taungu (nel Nord del Paese, non distante dalla nuova capitale dei generali Naypyidaw, ndr).
Come una pietra che prende due piccioni, lui mi chiedeva di fare il mio dovere, e allo stesso tempo mi offriva la sua accoglienza. Per portare il progresso nel nostro Paese, dobbiamo usare la parte più intelligente e brillante del nostro cervello. Oltre al benvenuto, ho letto: “Noi amiamo madre Suu”. E questo viene dal profondo del loro cuore. Nello Stato Mon ho visto un´altra cosa: due giovani gemelli vestiti molto bene e puliti, che alzavano uno dei tanti cartelli tra la folla. Anche quell´insegna aveva lo stesso significato, però aggiungeva: “Noi gemelli amiamo nonna Suu”. I due avevano proprio la stessa faccia, simili come due fagioli, ed io ero davvero colpita e felice di vederli. In posti differenti, usano parole e significati diversi per darmi il benvenuto. Ma non potrò dimenticare quel che ho visto a Myitkyeena, una scritta con queste parole: “We love you, please help us to bring peace to our Kachin land. We love you” (“Ti amiamo, per favore aiutaci a portare la pace alla nostra terra dei Kachin”).
Quella frase è stata come un´illuminazione: mi ha fatto veramente capire la profondità della sofferenza per la guerra.
A Pamaw, all´Università di Scienze dei computer, mi ha colpito un´altra cosa. Avevano scritto “Top hero” (“il più grande eroe”). A Kawhmu invece (la città della circoscrizione dove Suu Kyi è stata eletta, ndr.) ho letto: “We love public hero”, (“amiamo gli eroi pubblici, o popolari, in inglese nel testo, ndr). Ho conservato nella mente quelle parole. Perciò, nel mio discorso a Banmo, ho voluto ricordare Bertolt Brecht, il famoso autore, che trattava di eroi, e cercherò di spiegare quel che il drammaturgo ha scritto nella sua opera (La vita di Galileo, ndr): “Disgraziato il Paese, che non ha eroi!”. Però, a uno dei protagonisti fa spiegare che la verità è un´altra: “Felice il Paese, che non ha bisogno di eroi!”. Secondo me, possiamo dare due diversi significati a quell´opera. Da un lato, il Paese che ha bisogno di eroi sta affrontando grandi problemi e difficoltà, ed è sottoposto a molte situazioni spiacevoli. Dall´altro lato, la gente vive una sfida. In questa condizione, abbiamo bisogno di un eroe.
Io preferisco la seconda opinione, e sapete perché? Per quanto mi riguarda, voglio che tutti siano eroi, così non avremo bisogno di speciali eroi per il nostro Paese. Ecco perché spero che tutta la gente sarà il “Top hero”.
Per un attimo ho visto uno dei tanti uomini che reggevano un cartello, e ho pensato in quell´istante che forse io e lui non ci vedremo più. Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che siamo tutti la stessa nazione, abbiamo la medesima speranza per il nostro Paese, e infatti tutti coloro che augurano il benvenuto sono pieni di volontà e di speranza per il nostro popolo; hanno la forza di ottenere la democrazia per il nostro futuro. Vengono a manifestare con la forza del popolo, e allora noi andiamo avanti per questo.
La forza del nostro popolo ha un grande valore, dovunque vado mi salutano con il cuore, caldo e gentile, con fiori e altri doni per seguirmi lungo la stessa strada. Qualcuno mi dona fiori molto costosi, altri portano mazzi di fiorellini presi dal ciglio della strada. Io posso sfiorare solo per un attimo tutti quei fiori e quei regali, ma non importa. Quel che più conta è che sono frutto dell´amore e della gentilezza, un amore davvero prezioso, un valore immenso, come anche tutta la gente che mi saluta e mi dà il benvenuto: ogni singolo individuo è molto importante per me. Anche se non riesco a vedere né a ricordare le facce di tutti, di certo le tengo nel cuore.
Vorrei semplicemente ringraziare chi mi sostiene e mi incoraggia. Sto scrivendo queste note sulle rive del fiujme Yangon, a bordo della barca in rotta verso Pharpon e Kyaithtor; devo consegnare questo articolo in tempo per la pubblicazione su D.Wave, (Democracy Wave, il nuovo bimestrale del partito di Aung San Suu Kyi, La Lega nazionale per la democrazia, Lnd, ndr) e darlo a U Win Tin (celebre giornalista, nella direzione del suo partito Lnd, ndr). Se non sarò puntuale, rischio di perdere la faccia.
Penso al futuro, e mi dico: spero, e per questo m´impegnerò al massimo, di svolgere bene il mio dovere per la mia gente. Perché questa elezione è un evento davvero storico per il nostro Paese. Cerchiamo di condurre questa campagna nel rispetto della legge per l´ordine, e lo facciamo con tutta la nostra dignità.
Vorrei chiedere un favore: che queste elezioni siano eque, oneste.
Stavolta vorrei parlare soltanto delle donne della Lega nazionale per la democrazia (il partito di Suu Kyi, ndr). Se dovessi scegliere fra giovani e bambini, punterei i riflettori sulle donne perché nel nostro Paese gran parte di loro è dotata di profondo acume e intelligenza. Per lunghi anni – circa vent´anni – ho potuto contare sull´enorme sostegno, sull´incoraggiamento, sull´aiuto da parte di tutte le donne che erano attorno a me. Molte anziane ottantenni o novantenni, ma anche adolescenti giovani e carine, e perfino bambine, si sono fatte sentire, alzando la voce attraverso l´intero Paese.
Tra loro ci sono alcune donne che fanno lavori molto pesanti: riparano il ciglio della strada, e il pensiero mi rattrista per la terribile fatica cui esse sono sottoposte quando devono rompere le pietre, trasportare massi enormi. Le vedo da quarant´anni lungo le strade di collina e di montagna, divise in diversi gruppi, e per la maggioranza appartengono alle etnie delle montagne. Lo sforzo fisico, l´esposizione continua al sole e al vento, provocano un invecchiamento precoce sia della loro pelle e sia del corpo.
Ho impressa negli occhi l´immagine, indimenticabile, di una bambina: era inverno, il freddo era intenso, e lei aveva le guance arrossate, e sotto le sopracciglia bellissimi occhi come piccoli fiori. Giocava di fianco alla madre, che lavorava riparando il ciglio della strada, e la povere e la terra le entravano in bocca. Non riesco a non pensare sempre a loro, con un profondo senso di desolazione.
Tengo nella mente il profilo di quella mamma: quando lavora in quel modo, quando spacca le pietre, è come se creasse – se plasmasse – la propria vita. Ovunque io incontri queste donne, provo gli stessi sentimenti.
Quelle lavoratrici indossano camice a maniche lunghe, e si riparano dal sole, cercando proteggere la propria bellezza. Si spalmano sulla faccia anche la tanaka (la crema di una pianta curativa della pelle usata da secoli in Birmania, ndr), poi avvolgono un tessuto sul viso, e sulla testa calcano un cappello. Tutto questo impegno nel salvaguardare la loro bellezza mi sorprende ancora di più. Infatti, nonostante la loro vita e il loro lavoro siano obiettivamente difficili, quelle donne sembrano davvero felici e attive. E tutto ciò è incredibile, straordinario.
Al mio arrivo all´aeroporto di Myeik, in un edificio in ristrutturazione, vedo due donne che mi vengono felicemente incontro: mi abbracciano e mi baciano. Mi danno una forza immensa. Nel nostro Paese, le donne sono fra gli strati più poveri della popolazione, massacrate dal lavoro; eppure hanno una mente davvero preziosa e forte. Per tutto questo è facile capire quanto il nostro gruppo di donne abbia un valore davvero fondamentale.
Affido queste mie parole scritte perché siano pubblicato dopo le elezioni. E attraverso questi miei appunti, voglio ringraziare ancora una volta tutta la gente, di tante diverse provenienze e estrazioni: tutti coloro che mi sostengono e mi incoraggiano, anche gli anziani, i giovani, e persino i neonati. A tutti, grazie. Grazie davvero.
Il testo di Aung San Suu Kyi è stato scritto per D. Wave, Democracy Wave, la rivista della Lega nazionale per la democrazia:
il partito di Suu Kyi

La Repubblica 03.04.12

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“Suo marito mi confidò: non riusciranno a fermarla” di ANDREA TARQUINI

«Fu il suo compianto marito a spiegarmi quanto lei è forte: ‘solo uccidendola la fermeranno´. Adesso la straordinaria little lady ha vinto». Il professor Elie Wiesel, sopravvissuto all´Olocausto, Nobel per la pace, parla commosso.
Professor Wiesel, come è riuscita questa piccola donna a diventare la grande lady della democrazia?
«Cominciai a capirla tanti anni fa, quando suo marito venne a trovarmi. Mi narrò tutto di lei prigioniera, della sua lotta. Mi disse: è in pericolo, possono ucciderla pur di fermarla. Mi chiese di battermi per il Nobel. ‘Fu così´, mi diceva, ‘per Walesa, Mandela, le madri argentine. Furono salvati dal Nobel: uccidere un Nobel per la pace è troppo anche per la più spietata dittatura. Come possiamo fare per aiutarla? ´ Cominciò così».
E come continuò?
«Cominciai a seguire la sua lotta, da quel momento non smisi mai. La sua vittoria incoraggia tutte le persone che lottano per vivere liberi da pericoli e oppressione, è un evento enorme per tutti».
Il mondo vide Walesa o Mandela come coraggiosi disperati. E la lady?
«Lei ha saputo vincere contro una dittatura forse più brutale. Ma la differenza è anche nella geografia. La Birmania è lontana, semisconosciuta, da decenni è difficile entrarvi. Per i generali era più facile vincere con l´isolamento. La scelta vincente, venuta dal talento di combattente e di politica di questa straordinaria piccola grande donna, è stato anche diventare una sfida di statura mondiale».
Fisicamente appare fragile, da dove viene la sua forza?
«Lei crede che il destino umano è nelle nostre mani, non possiamo permettere a nessun dittatore di strapparcelo. Ha sempre mostrato una fortissima fede nel diritto di vivere nel rispetto reciproco e non nella paura. Non piegandosi, ha lanciato il messaggio oltre i Muri della censura. Ha saputo trovare linguaggio e gesti giusti per il messaggio: quella grande eleganza, quel suo stile da lady, per dire a tutti che la fede nella democrazia può sopravvivere per secoli. Il suo popolo non poteva ascoltarla, lei non sapeva nemmeno di essere seguita. Dietro il Muro dell´isolamento non aveva nemmeno un telefono, meno che mai un computer. Nella casa-prigione, non si è arresa».
Dove prende tanto coraggio e tanta intelligenza politica?
«Voglio chiederglielo. L´ho invitata a Washington: nel museo dell´Olocausto voglio conferirle il primo premio intitolato a me. Ma quel lungo periodo in isolamento, lei lo ha usato per imparare. Anni di riflessione strategica su filosofia politica e strategia. Che fare, come lottare. Ha capovolto la situazione: ha portato il tempo dalla parte sua, non dei dittatori. La sua mente non si è fatta prendere prigioniera, le peggiori dittature non possono incarcerare le anime. La forza le viene anche dalla memoria del padre. Lei viene da una famiglia di combattenti. Ora è simbolo mondiale, forse più di Gandhi e Walesa perché era isolata ma il mondo è più globale. La mia fede nella giustizia è tornata. Adesso spero che lei diventi premier. Il mondo democratico deve sposare la sua causa. Imparare da lei a non arrendersi mai».

La Repubblica 03.04.12