attualità, lavoro

"L´altra faccia della riforma", di Chiara Saraceno

Ha ragione la ministra Elsa Fornero a lamentarsi di un´attenzione eccessivamente riduttiva rispetto al complesso della riforma. Allargando lo sguardo agli altri punti, aumenta tuttavia il numero degli aspetti problematici. Alcuni sono stati ricordati anche su questo giornale, primo fra tutti la persistente esclusione di molti lavoratori precari da ogni forma di ammortizzatore sociale. Ma ce n´è uno che è passato stranamente sotto silenzio. Riguarda il punto 7 della bozza del governo, dal titolo “interventi per una maggiore inclusione delle donne nella vita economica”. Esso prevede tre distinti interventi.
Il primo, l´unico da accogliere senza riserve, riguarda la messa a punto di procedure che contrastano il fenomeno incivile e illegale delle cosiddette dimissioni in bianco. È una questione che riguarda sia i lavoratori sia le lavoratrici, ma che colpisce soprattutto queste ultime in connessione con la maternità.
Altamente problematiche, nel merito e per il messaggio che mandano, sono invece le altre due proposte. Si tratta del congedo di paternità obbligatorio e del voucher per babysitter da utilizzare nei primi undici mesi di vita di un bambino in alternativa alla fruizione del congedo genitoriale. È difficile davvero capire come tre giorni distribuiti in un arco di tre mesi favoriscano quella condivisione dei compiti di cura che sta a cuore alla ministra. La proposta approvata dal Parlamento europeo un anno fa (non la direttiva sui congedi genitoriali cui la bozza impropriamente si riferisce) parlava di almeno 15 giorni. In un caso e nell´altro, se si vuole davvero incentivare e consentire la condivisione, occorre intervenire sui congedi genitoriali, che già ora sono aperti anche ai padri. Sono pochi i padri che ne prendono almeno una parte, con ciò riducendo di fatto il tempo complessivo teoricamente disponibile per dedicarsi a un bambino piccolo: dieci mesi complessivi nei primi otto anni di vita del bambino, di cui nessuno dei genitori può prendere più di sei, aumentabili a undici se il padre prende almeno tre mesi.
I motivi di questa scarsa fruizione da parte dei padri sono diversi, culturali, ma anche legati alla precarietà dei contratti di lavoro. Anche quando si ha diritto al congedo genitoriale, il timore di non vedersi rinnovare il contratto, o di essere tra i primi a venire licenziati per motivi economici, fa ritenere inopportuno avvalersene (una esperienza anche di molte donne). Gioca a sfavore anche l´esiguità dell´indennità: il 30 per cento dello stipendio (rispetto all´80 per cento del congedo di maternità), solo nei primi sei mesi e solo se fruiti nei primi tre anni di vita del bambino.
In un contesto di risorse scarse e di preoccupazione di non aumentare il costo del lavoro, una riforma a costo zero efficace sarebbe l´introduzione della possibilità di utilizzo del congedo in part time orizzontale. Consentirebbe a madri e padri di combinare lavoro (di fatto a tempo parziale) e congedo, eventualmente alternandosi, senza vedersi eccessivamente ridotto il reddito ed insieme avendo tempo per occuparsi del bambino nei primi anni di vita.
È la direzione che hanno preso molti Paesi europei, compresi quelli, come Svezia, Norvegia, Germania, che negli ultimi anni hanno addirittura allungato il periodo di congedo genitoriale ben compensato, per consentire ai bambini di avere un tempo maggiore di cure e tempo dei genitori.
In direzione opposta sembra andare l´altra misura prevista dal progetto del governo nel campo delle politiche di conciliazione, i voucher per babysitter commisurati al reddito familiare. Essa sembra infatti diretta ad incoraggiare le madri a tornare al più presto al lavoro, senza fruire del congedo genitoriale (tantomeno incoraggiando i padri a prenderlo) e senza neppure garantire loro e ai loro bambini servizi adeguati sul piano quantitativo e qualitativo. Mentre tutte le evidenze empiriche sottolineano l´importanza della qualità della cura e delle relazioni nel primo anno di vita, disinvoltamente si suggerisce che le cure materne/paterne possono essere indifferentemente sostituite dalle cure di una babysitter, comunque scelta/trovata, con qualunque competenza. Un brutto passo indietro e un uso sbagliato delle poche risorse a disposizione.

La Repubblica 03.04.12