attualità, cultura, politica italiana

"Da Roma ladrona a Padania ladrona", di Giovanni Cerruti

Il 16 marzo una mano e un pennello ignoti, forse ben informati, di sicuro preveggenti, avevano sfregiato l’enorme scritta che sta sullo sfondo del pratone di Pontida. Era bastata una lettera: da «Padroni in casa nostra» a «Ladroni in casa nostra». Dei maneggi del tesoriere Francesco Belsito già si sapeva, già si temeva. Ma nessuno poteva immaginare che si arrivasse a tanto, a quest’inchiesta su otto anni di bilanci allegri, a questi sospetti, e pesanti, sui quattrini dirottati dalle casse del partito «alle esigenze personali di familiari del leader della Lega Nord». C’era una volta Roma Ladrona, ora tocca a Gemonio.

Basta leggere le pagine della Procura e si può capire l’impaccio della Lega. Otto anni di baldoria con la cassa, proprio da quel 2004 del coccolone, da quando Umberto Bossi non è più quell’Umberto Bossi. E, attorno, quella famiglia allargata che già un anno dopo era definita «Cerchio Magico». La moglie Manuela, i figli allora ragazzini, l’immancabile Rosi Mauro più un paio di favoriti di turno con relativi clienti. Bossi, in questo come Bettino Craxi, ha sempre avuto pochi spiccioli in tasca, ma qui torna buona una vecchia battuta del socialista Rino Formica: «Il convento è povero, ma i frati sono ricchi…».

Raccontano che il vecchio Bossi abbia passato il pomeriggio di ieri a domandarsi cosa sia successo, o cosa gli sia successo. E’ dall’inizio dell’anno che Francesco Belsito è accompagnato da pessima fama. Il 22 gennaio, Milano, Piazza Duomo, al comizio di Bossi sventolavano bandiere della Tanzania, giusto per segnalare la rabbia dei leghisti dopo le notizie sugli investimenti dell’esperto e affidabile Belsito. Quel pomeriggio, in Consiglio Federale, Bobo Maroni aveva portato la voce della «Lega degli onesti». A Belsito, tempo una settimana, erano stati chiesti i conti. Niente. Son passati due mesi e sono arrivati i carabinieri.

Il martedì di imbarazzo tra Gemonio e via Bellerio, casa e bottega che per la famiglia Bossi (e le Procure) sono ormai la stessa cosa, segnala incubi per il futuro. Non era solo Maroni a chiedere pulizia e verità, era buona parte dei parlamentari, tanto che il nuovo capogruppo Gianpaolo Dozzo, come primo atto, aveva deciso lo sfratto dell’ufficio di Belsito a Montecitorio. Ma la Lega di Famiglia e di Gemonio aveva resistito. Di più, a difendere Belsito e i suoi investimenti tanzaniani avevano mandato allo scoperto proprio Bossi, uno che con i soldi ha sempre pasticciato, anche prima del coccolone. Bossi che salva Belsito. Ma perché?

Non c’è leghista che si permetta di prendersela con Bossi, nemmeno Maroni e i suoi «Barbari Sognanti». Però è l’ex ministro, in mattinata e per primo, a commentare le notizie di cronaca giudiziaria: «Una brutta vicenda iniziata tempo fa, con indiscrezioni su operazioni diciamo strane, ed è una conseguenza molto negativa su cui non si è fatta sufficiente chiarezza». Ora, mentre la Lega di Famiglia più che con Belsito vorrebbe prendersela con Maroni, si capisce qualcosa in più. Si aspettavano le dimissioni di Belsito, e sono arrivate. Ora si attendono conti e nomi. Chi si è arricchito con i soldi dei leghisti?

E rieccole, «le esigenze personali di familiari del leader della Lega Nord». E non solo, visto che le perquisizioni riguardano anche la sede del «Sin.Pa.», che dovrebbe essere un sindacato padano guidato da Rosi Mauro. Con i soldi della Lega, sostiene la Procura di Milano, non solo viaggi e cene e alberghi. Anche altro, ad esempio macchine. Come sanno i militanti, l’amministratore Belsito con loro ha il braccino corto, mancano i soldi per l’affitto di sedi, per i manifesti, perfino la mazzetta dei giornali a «Radio Padania», che ha dovuto saltare le rassegne stampa. Per i famigli, pronta la cassa della ditta «Bossi».

La Bmw di Renzo Bossi, chissà a chi è intestata. E un appartamento appena comprato a Milano, si dice in piazza Cinque Giornate, pieno centro, sempre per Renzo. Una cascina per Roberto Libertà, l’altro figlio che la Lega di Famiglia vorrebbe candidare alle prossime elezioni politiche. E una casa in Sardegna per Rosi Mauro, o almeno così sospettano in Procura. Insomma, otto anni di spese in conto Lega. Che potrebbero costare carissime, al futuro della Lega. O Bossi non ha capito, e sarebbe già grave; o Bossi sapeva, e sarebbe ancora peggio. E prima o poi rischia davvero di trovarsi quella scritta sul muro di casa: «Gemonio Ladrona».

La Stampa 04.04.12

******

“Umberto nel mirino dentro e fuori il partito”, di MARCELLO SORGI
Lo scandalo dell’uso illecito dei finanziamenti pubblici da parte della Lega ha investito in pieno Bossi e la sua famiglia, destinatari secondo le accuse, dei fondi distratti dal tesoriere Francesco Belsito, e rischia di avere conseguenze anche più gravi del prevedibile proprio perché non è giunto inatteso. Anzi, il 22 gennaio, oltre tre mesi fa, di fronte alle prime rivelazioni sul comportamento del tesoriere, era stato lo stesso Bossi che solo ieri sera si è rassegnato a farlo dimettere – a insistere per difenderlo e ad attendere che fosse lui stesso a chiarire in che modo erano stati amministrati i fondi del partito. Ma naturalmente, nei mesi seguenti, Belsito si era ben guardato dal dare spiegazioni. Probabilmente anche perché sapeva che rischiavano di danneggiare il leader del Carroccio.

Ora tutti si chiedono se Bossi, colpito sia nella sua famiglia che nella rete di protezioni che il gruppo di dirigenti a lui più vicini, il cosiddetto «cerchio magico», gli assicurava, sarà in condizione di approntare una risposta credibile alle contestazioni dei giudici. E soprattutto fino a che punto si spingerà la pressione di Maroni nei suoi confronti, mirata ad un’operazione trasparenza rispetto agli elettori. L’ex ministro dell’Interno, in vantaggio finora in tutti i precongressi locali della Lega in cui s’è votato, ha rilasciato ieri una dichiarazione molto dura e ha disertato il vertice con Bossi nella sede di via Bellerio. Ma nella Lega non esistono le condizioni per far si che il Senatur si rassegni a un passo indietro, né forse per immaginare una Lega senza Bossi. Bisognerà vedere quanto pagherà il Carroccio nelle prossime elezioni amministrative per uno scandalo che in gran parte, grazie alle rivelazioni dei giornali, era diventato noto alla base leghista, provocando reazioni molto dure nelle manifestazioni del partito, dove a un certo punto erano comparsi anche striscioni con su scritto «Tanzania», con un’evidente allusione agli investimenti sospetti del tesoriere del partito.

L’altra conseguenza riguarda i già sofferenti rapporti tra il Carroccio e il Pdl, schierati in maniera opposta di fronte al governo, e alla ricerca di una faticosa ricomposizione almeno per affrontare le amministrative al Nord. Anche se Berlusconi ieri si è affrettato a dichiarare pubblicamente la sua solidarietà a Bossi, sarà inevitabile, nei prossimi giorni, che il Pdl prenda le distanze dagli ex alleati e in alcuni casi cerchi di intercettare gli eventuali voti in libera uscita dalla base elettorale nordista disgustata dallo scandalo.

La Stampa 04.04.12

******

“Bilanci taroccati e soldi pubblici per i figli del Senatùr”, di Gianni Del Vecchio

Altro che Roma ladrona. A sperperare i soldi pubblici, provenienti dai rimborsi elettorali, e utilizzarli per esigenze personali del suo capo e dei familiari, stavolta sarebbe proprio la Lega, tramite il tesoriere Francesco Belsito. A ipotizzarlo è la procura di Milano che, assieme ai colleghi di Napoli e Reggio Calabria, ha messo nel mirino gli strani traffici fatti da Belsito negli ultimi anni. Traffici che portano ad accuse pesanti per il tesoriere: dall’appropriazione indebita alla truffa ai danni dello stato, passando per il riciclaggio con ambienti vicini alla ’ndrangheta.
Secondo gli inquirenti milanesi, Belsito avrebbe presentato dei bilanci irregolari ai presidenti di camera e senato, che sarebbero così stati tratti in inganno e che quindi non avrebbero potuto sospendere i rimborsi elettorali. Più in dettaglio, il responsabile delle finanze leghiste avrebbe falsificato il rendiconto, nascondendo la reale natura delle entrate e delle uscite. Anche perché soprattutto queste ultime celerebbero una vera e propria bomba capace di far crollare dalle fondamenta il palazzo leghista: parte dei rimborsi elettorali (ovvero dei soldi che i contribuenti “regalano” ai partiti) sarebbero andati dritti dritti nelle tasche della famiglia Bossi. Secondo i pm lombardi, infatti, dalle intercettazioni telefoniche verrebbe fuori che Belsito avrebbe sostenuto «i costi della famiglia» del Senatùr, tramite «esborsi in contante, assegni circolari e contratti simulati».
Tutte operazioni finanziarie «non riconducibili agli interessi del partito e contrari ai suoi vincoli statutari», che avrebbero finanziato alberghi, cene e viaggi dei figli di Bossi e del braccio destro Rosi Mauro. Non a caso ieri mattina Guardia di finanza e carabinieri hanno perquisito a lungo la sede leghista di via Bellerio a Milano, nonché quella del Sindacato padano e la casa della segretaria personale di Bossi. Lo stesso leader e fondatore del Carroccio ha passato tutta la giornata in sede, assieme ai colonnelli Calderoli e Castelli, e in serata è arrivato anche l’ex ministro Tremonti.
Non c’era invece Roberto Maroni, che però ha tenuto a precisare che in questa vicenda «la Lega è parte lesa». Sul capo di Belsito però non pendono solo le accuse di appropriazione indebita e truffa. A preoccupare il tesoriere è anche quella di riciclaggio, contestatagli dalle procure di Napoli e Reggio Calabria. In particolare, per i magistrati calabresi sarebbe legato a un intermediario ligure che a sua volta è in contatto con esponenti

da Europa Quotidiano 04.04.12

******

“La fine di Bossi e del cerchio tragico, Lega travolta in campagna elettorale”, di Francesco Lo SARDO

Si dimette dall’incarico di partito il cassiere del Carroccio, una figura chiave del potere bossiano. Se l’affaire Belsito, il cassiere leghista indagato per appropriazione indebita e truffa ai danni dello stato, non è il colpo mortale è solo perché Bossi, ma soprattutto il cerchio magico dei suoi “badanti” in cui il tesoriere fiduciario del Senatùr – ex forzista genovese e autista di Alfredo Biondi, entrato in Lega appena dieci anni fa – occupava un ruolo chiave, sono già tutti politicamente morti.
Prendete Treviso, cuore del Veneto leghista, due sere fa, a poche ore dall’apertura della campagna elettorale. Travolgendo la disperata resistenza e le contromisure dei “cerchisti” locali guidati dal proconsole bossiano Gobbo, al congresso provinciale stravince Giorgio Granello, sindaco di Ponzano Veneto, “tosiano” e per la proprietà transitiva “maroniano”.
Uno che dice: «Sono un alpino e li difendo, indosso il tricolore. Non credo alla secessione. Nella Lega la musica è cambiata, se ne facciano tutti una ragione…». Se ne facciano una ragione quelli di via Bellerio, il quartier generale dei “lombardocentrici” perquisito ieri dalle Fiamme gialle e dai carabinieri insieme alla sede del fantomatico Sindacato padano dell’Erinni del Capo, Rosy Mauro. In prospettiva, se ne faccia una ragione persino Roberto Maroni, che ieri cantava vittoria. Perché sì, è vero che “Bobo” è sempre rimasto fuori dagli impicci in cui sono rimasti impigliati in tanti, incluso il fratello-coltello Calderoli: dallo scandalo della banca Credieuronord, ai villaggi turistici in Croazia, fino ai soldi in Tanzania di Belsito.
Com’è vero che Maroni aveva chiesto che fosse «fatta chiarezza sui conti della Lega» e che il tesoriere facesse «un passo indietro». Ma sarà bene, adesso che l’inchiesta di tre procure colpisce al cuore il vertice della Lega bossiana celebrando pubbliche esequie di una leadership ormai seppellita da tempo, che il “nuovista” Maroni – equilibrista aspirante successore del Senatùr – cambi musica anche lui, prima di essere spazzato via dal vento dell’unica, vera nuova Lega, che già c’è: quella veneta, che ha cambiato pelle, toni e obiettivi.
Quella che è diventata primo partito in Veneto, quella che soffre la linea dell’opposizione dura e pura a Monti, quella di Flavio Tosi che ha preso di petto Bossi e ha chiesto le dimissioni dell’indagato leghista al Pirellone Boni (ciò che invece Maroni s’è ben guardato di fare), quella del governatore Zaia che avverte: «Nella Lega ci sono diverse anime. L’unità è un punto di forza, semplicemente perché se si va avanti compatti si porta meglio a casa qualcosa…».
In altre parole: state attenti, lì in via Bellerio, l’unione tra leghisti lombardi e veneti non è un atto d’amore, ma un matrimonio d’interesse, e un interesse non è per sempre. Lo spettro della secessione nella Lega, dopo i congressi regionali di giugno, è la prossima vera criticità per il Carroccio allo sbando, da tenere presente già oggi, nell’ora cupa della fine di Bossi e di quel clan dei badanti pilotato da otto anni, dall’ictus dell’Umberto, dalla moglie Manuela Marrone.
Un anno fa il clan aveva architettato un golpe per cacciare Maroni e Tosi e commissariare la Lega lombarda e veneta. Calderoli fece una spiata, il blitz fallì ma fece impennare il livello della guerra interna. Col risultato che ai congressi locali, da mesi, il cerchio magico viene macellato pressoché ovunque. Lotta politica feroce, anche a colpi di carta bollata. Fino all’esposto di un vecchio leghista alla procura di Milano, il 23 gennaio, all’origine della perquisizione in via Bellerio.
La resa dei conti, ora, si fa più serrata: la linea di Maroni la esplicita Attilio Fontana, sindaco di Varese: «Bossi potrebbe essere all’oscuro di tutto». Traduzione: onore alla mummia del faraone Bossi, ma il Tutankhamon di Gemonio si faccia da parte. Prima di arrivare a strappargli le insegne, però, c’è l’oggi che spaventa. La paura delle amministrative per una Lega, in Lombardia, travolta da scandali e indagini. Non in Veneto, dove Tosi ha il vento in poppa: se conquisterà Verona al primo turno nessuno potrà più fermarlo nella corsa alla leadership della Lega del Veneto, al congresso di giugno. Mentre il lumbard Maroni mette le mani avanti: «L’inchiesta avrà ripercussioni sulle amministrative». E piove sul bagnato. Perché da tempo i sondaggi danno la Lega in picchiata. Altro che avvantaggiarsi dell’opposizione al governo Monti. Da settembre a marzo la Lega è scesa dal 10,1 all’8,9 per cento, (media Emg, Swg, Ipsos). Per Emg, dati del 2 aprile, è all’8,2 a livello nazionale. Ma a tenere a galla la barca che affonda è solo il rimorchiatore Veneto.

da Europa Quotidiano 04.04.12