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"Il velo caduto in via Bellerio", di Roberto Saviano

Può accadere che si chiuda l´inchiesta Infinito, e che dimostri come la ´ndrangheta abbia alleati nell´imprenditoria lombarda. Può accadere che emerga che la Asl di Pavia, non quella di una desolata provincia del sud Italia, fosse infiltrata dai clan. Può accadere che si chiuda l´inchiesta Aspide che traccia la presenza della camorra casalese in Veneto e dimostri come le imprese in difficoltà venissero risollevate da capitali criminali. Può accadere che la maggior azienda di pasticceria industriale al nord sia salvata dalla crisi con i capitali del clan Fabbrocino. Capita che i politici del Pirellone sotto inchiesta quasi non si contano più . Capita che il sistema Lega-Pdl – sistema, così viene definito, magari non è un caso – secondo la Procura di Milano, si spartisca pro quota le tangenti della provincia di Milano, creando anche fondi neri con trasferimento di denaro all´estero. Capita che tutto questo avvenga sotto gli occhi imperturbabili di Roberto Formigoni, rieletto governatore per la quarta volta (oggi per legge sarebbe tre il numero massimo) con una lista con 618 firme falsificate. Insomma, tutto questo capita al Nord e nessuna denuncia mai è arrivata dalla Lega. Nessun esponente della Lega mai ha sentito il bisogno, la necessità morale di informare i propri elettori che al Nord tutto questo stava capitando.
Le mafie interloquiscono con tutti i poteri, anche al Nord, e quindi anche con la Lega. Un anno fa questa frase pronunciata in tv generò un putiferio. L´allora ministro Maroni chiese, anzi pretese, come raramente accade in Occidente, di partecipare a Vieniviaconme, pur avendo ormai smentito le mie parole quasi in ogni altra trasmissione disponibile al momento. Un anno dopo la Dda conferma le parole che pronunciai durante la trasmissione e le conferma sottoforma di accusa al tesoriere della Lega. Francesco Belsito: non una mela marcia in un partito sano, ma un uomo che garantiva che i soldi pubblici finissero nelle tasche dei familiari e amici di Bossi.
Erano al potere al governo, nelle regioni e nei comuni eppure si proponevano come una forza in perenne opposizione. Nonostante il dilagare degli appalti ´ndranghetisti in Lombardia, camorristi in Veneto, ´ndranghetisti in Piemonte e Liguria, camorristi e ´ndranghetisti in Emilia Romagna la Lega non si sentiva chiamata in causa, non ha mai risposto di nulla, come se quelli non fossero territori con suoi rappresentanti, con suo elettorato. Bastava che non fossero coinvolti suoi esponenti in inchieste giudiziarie, (e in alcuni casi lo erano ma usavano la logica della mela marcia o della cospirazione dei magistrati), per tenersi fuori. Mai alla Lega è stato chiesto conto di quali politiche avesse adottato o quali allarmi avesse lanciato. La Lega in questi anni è riuscita a far credere alla propria differenza rispetto alle altre forze politiche. Si è giustificato il razzismo, l´omofobia di un movimento imbarazzante in molte sue manifestazioni pubbliche in nome di una presunta purezza ruspante che inorridiva alcuni e in altri generava persino simpatia: in quasi tutti c´era la sensazione che fosse qualcosa di veramente diverso. Oggi si vede di cosa fosse fatta la sua diversità.
Persino i più critici non avrebbero potuto ipotizzare quello che questa inchiesta ipotizza: il legame in affari con gli “arcoti”. Gli arcoti sono chiamati i De Stefano ´ndrina storica di Reggio Calabra. E chi legherebbe la Lega alle ndrine è il genovese Romolo Girardelli indagato nel 2002 dalla Dda di Reggio Calabria perché ritenuto associato alla costola dei De Stefano che operava in Francia e Liguria. Non è quindi una vicenda di voto di scambio (per ora) ma business, investimenti, danaro. I broker di ´ndrangheta usati per avere più profitti dagli investimenti di danaro pubblico. Ed è qui una delle altre responsabilità politiche della Lega nord. Raccontare il fenomeno mafioso come una sorta di invasione di cattivi e crudeli terroni nella presunta Padania operosa. Le inchieste degli ultimi cinque anni dimostrano il contrario esatto. Sono i capitali delle mafie che sono stati usati dall´economia settentrionale e in maniera copiosa dal 2006 quando la recessione iniziò a farsi sentire. Le imprese in difficoltà entravano in simbiosi con i clan lasciando che in alcuni settori come il movimento terre, il calcestruzzo, i subappalti, i noli, fossero praticamente monopolio dei clan. Le battaglie antimafia della Lega, in questi anni, hanno avuto un´unica declinazione legata alla cacciata dei mafiosi in “soggiorno obbligato”. La Lega si oppose strenuamente quando nel 1991, Leonardo Greco, boss mafioso decise di sistemarsi a Venezia, fece fiaccolate e scioperi della fame quando nel 1993 Anna Mazza meglio conosciuta come la «vedova nera della Camorra» venne mandata in soggiorno obbligato a Codognè, nel Trevigiano. Ma sul danaro mafioso invece un lungo silenzio.
La Lega ora risponderà alla giustizia attraverso il suo tesoriere, ma non è sufficiente. È bene, anzi fondamentale che ci sia una riflessione più ampia su questi anni. Sul doppio volto che questo movimento ha mostrato agli italiani e ai suoi stessi elettori. Il più grande tradimento della Lega è verso quella piccola industria operosa che ha creduto nella Lega come partito in grado di evitare sprechi, con l´obiettivo di scongiurare una morsa fiscale persecutoria.
Ora la Lega non potrà più sbandierare la sua diversità sul tema mafia. Al di la di ciò che risulterà dal processo, è evidente che siamo al cospetto di un quadro inquietante fatto di silenzi, di coperture, di connivenze. Un tradimento, questo della Lega, che solo i suoi militanti e le sue parti oneste, che ci sono, potranno davvero affrontare ed elaborare. Da oggi, ne siamo certi la storia di questo partito-movimento non sarà più la stessa.

La Repubblica 04.04.12