attualità, cultura, politica italiana

"La nemesi padana", di Gad Lerner

L´indecoroso epilogo della rivoluzione leghista, scivolata dalle valli del Nord nella bambagia governativa di Roma, per approdare infine sotto l´Equatore nel paradiso speculativo della Tanzania, deturpa irrimediabilmente la biografia di Umberto Bossi. Il leader politico che si pretendeva addirittura fondatore di una nazione, viene accusato ora di avere usufruito di soldi pubblici, denaro non contabilizzato, anche per sostenere i costi della sua famiglia. Il suo vero punto debole, la famiglia, da quando Bossi s´è adoperato nel tentativo di perpetuare il suo carisma per via dinastica nell´inadeguata figura del figlio Renzo. Proprio lui che aveva fatto della sobrietà popolana – un´abitazione modesta, uno stile di vita scapigliato ma rustico – la sua cifra esistenziale, per sistemare la prole ha commesso leggerezze mai digerite dalla base militante. Né giova alla reputazione di Bossi la casa in Sardegna intestata al Sindacato padano di cui è segretaria la sua “badante” Rosi Mauro.
Fine di un mito: la Lega Nord rischia di crepare per indigestione. E rimarrà scolpito come nemesi storica l´atto di ribellione compiuto da un militante dell´hinterland milanese che il 23 gennaio scorso ha presentato il suo esposto alla Procura contro l´accumulo disinvolto di risorse pubbliche, i famigerati rimborsi elettorali, da lui giustamente riconosciuto come scandaloso.
Quanto a Roberto Maroni, che ieri si è affrettato a chiedere la rimozione del già screditato tesoriere Francesco Belsito per fare pulizia nel partito, osando perfino criticare il vertice che l´aveva protetto, bisognerà pur ricordargli l´incarico di ministro degli Interni ricoperto fino al novembre scorso: possibile che Maroni non disponesse al Viminale degli strumenti necessari a verificare per tempo la spregiudicatezza dell´uomo preposto a gestire le finanze della Lega? Anziché scagliarsi contro Roberto Saviano che denunciava le relazioni pericolose intrattenute da alcuni politici nordisti con le cosche calabresi, non sarebbe toccato a Maroni per primo fare la pulizia che tardivamente invoca? Ha avuto forse da ridire Roberto Calderoli quando il Carroccio gli affiancò proprio Belsito, con l´incarico di sottosegretario, nel suo Ministero della Semplificazione normativa?
Nel Comitato amministrativo federale della Lega Nord, insieme all´indagato Belsito, siedono due grossi calibri come Roberto Castelli e Piergiorgio Stiffoni. L´8 marzo scorso dichiararono di aver esaminato accuratamente il bilancio del partito senza trovarvi alcuna irregolarità, e giustificarono così la decisione di confermare “fiducia assoluta” al presidente del Consiglio regionale lombardo, Davide Boni, inquisito per corruzione. Già avevano mentito, negando che la Lega avesse effettuato investimenti speculativi in Tanzania; investimenti per milioni di euro confermati viceversa ieri dallo stesso Belsito. Con quale credibilità i dirigenti leghisti possono proclamarsi adesso “parte lesa”?
La vetusta insinuazione di una “giustizia a orologeria” che si accanirebbe contro un partito coraggioso ritornato all´opposizione, difficilmente commuoverà un´opinione pubblica sbalordita dalle cifre accumulate grazie a una legge ingiusta. La quale permette a ristrette oligarchie che si sottraggono a ogni verifica democratica (la Lega Nord non tiene il suo Congresso federale da ben dieci anni, in barba allo Statuto) di arricchirsi spendendo molto meno di quel che incassano. E di amministrare in totale opacità queste risorse, con rendiconti irregolari. Ciò che induce la magistratura a ipotizzare per la prima volta l´accusa di truffa ai danni dello Stato, visto che si tratta pur sempre di soldi pubblici.
Francesco Belsito non è un leghista della prima ora, bensì uno spregiudicato profittatore che ha avuto accesso al “cerchio magico” nella fase degenerativa del movimento, coincisa con la menomazione fisica di Bossi e lo stringersi dell´alleanza con Berlusconi. Ma ormai il Carnevale è finito per davvero. Nessuno può sognare più un ritorno alla Lega delle origini.
Lo sa bene per primo Roberto Maroni, che ora resta in disparte nell´attesa di un passo indietro di Umberto Bossi, confidando che l´apparato leghista lo riconosca quale legittimo successore. Un´attesa che rischia però di essergli fatale: nelle settimane scorse Maroni ha commesso l´errore di offrire copertura a Davide Boni, evitando di pretenderne le dimissioni dalla carica istituzionale che ricopre. Calcolava forse che tale indulgenza lo avrebbe favorito nel presentarsi come salvatore dell´intero movimento, ma ora la sua indignazione giunge a scoppio ritardato. Il gruppo dirigente della Lega è composto da quadri giunti alla quarta, quinta legislatura, un ceto di capipartito che ormai ha ben poca credibilità quando sollecita le pulsioni dell´antipolitica nell´elettorato. Lo stesso Maroni rischia quindi di rimanere travolto dalle macerie del movimento che aspira a rinnovare.
Fa paura il vuoto politico evidenziato dagli scandali che si susseguono nel finanziamento pubblico dei partiti, da Lusi a Belsito. Nei giorni scorsi, sulla spianata di Pontida, una mano sconosciuta aveva corretto l´enorme scritta “Padroni a casa nostra” in “Ladroni a casa nostra”. De profundis. Solo che, uno scandalo dopo l´altro, un partito azzoppato dopo l´altro, anche la democrazia rappresentativa rischia di uscirne mortalmente ferita.

La Repubblica 04.04.12

******

“Il mito infranto del Cerchio Magico”, di FILIPPO CECCARELLI

NON doveva essere poi così magico, questo cerchio, se per rompersi basta un pacchettino di assegni versati «per sostenere i costi della famiglia Bossi». Pranzi, cene, viaggi, alberghi, ristrutturazioni di ville, lungo l´asse gloriosa che unisce Montecarlo ai Castelli romani e i futuristi a Luigi Lusi passando per Scajola. «Difendiamo, proteggiamo e promuoviamo la famiglia» sparò a tutta pagina la Padania nel dicembre scorso. Il quotidiano invitava i leghisti a inviare «le foto più belle dei vostri figli e del nucleo famigliare in cui vivete». In foto si vedeva un giovane Bossi in bicicletta con un Trota piccolissimo, riccioluto e un po´ sgomento sul seggiolino davanti. Pochissime foto arrivarono in realtà al giornale, tanto che presto la trepida campagna fu sospesa: segno che già allora la famiglia del Capo era vista con qualche sospetto.
Pure comprensibile: la stentata maturità, l´elezione facile, e magari la successione del Trota, che «ha il nostro progetto di libertà nel sangue» l´aveva presentato il suo amico e capogruppo Reguzzoni, tra l´altro genero dell´intramontabile Speroni, che a suo tempo aveva assunto l´altro figlio di Bossi a Strasburgo. Il maggiore: Riccardone, celebrato corridore di rally sul quotidiano padano, comparso in foto con le modelle alle Maldive nei giorni degli sbarchi a Lampedusa, che a un certo punto s´era messo in testa di andare all´Isola dei famosi. E infine – che però non è la fine, dovendosi qui ricordare che anche un fratello di Bossi, grande appassionato di ciclismo, ebbe sia pure per poco il beneficio di un posto d´assistente a Strasburgo… E comunque per ora ci sarebbe ancora un altro figlio, Roberto Libertà, quello della candeggina, pure lui in odore di politica.
E allora viene in testa quella fatale noticina sul diario di Leo Longanesi (Parliamo dell´Elefante, Longanesi, 1983), in data 26 novembre 1945: «La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: Ho famiglia». Sì, certo, vale anche per il drappo con la ruota solare o sole delle Alpi che dir si voglia. E pensare che quando Umberto e la Manuela vollero finalmente regolarizzare la loro unione davanti al sindaco di Milano Formentini, la cerimonia fu messa in vendita su videocassetta per la gioia dei militanti. Che di lì a poco, in un congresso videro dei bambini giocare sul palco, ed erano sempre Renzo e Roberto: incarnazioni profetiche di un familismo che innestatosi sul ceppo pseudo-etnico e carismatico della Lega non poteva che degenerare in logiche tribali e ora, come si scopre, anche pidocchiose e patrimoniali. «Figli certi! Certi!» ringhiava il Senatùr nel 2001 contro i candidati del centrosinistra che avevano figli adottivi. Ah, la sacra famiglia!
Famiglia allargata, oltretutto, fino a comprendere nella sua cerchia figure come Rosi Mauro, sindacalista brindisina e lungochiomata, detta «la badante» per l´occhiuta passione con cui accudisce il leader malato – indimenticabile l´espressione atterrita dinanzi al rigatone che la Polverini gli infilava in bocca – e si è addirittura trasferita a vivere a Gemonio. Più altri intermittenti privilegiati: oltre al suddetto Reguzzoni, davvero molto rigido nel pensiero e nella parola, va menzionato il senatore Bricolo, molto attento ai Valori cristiani; e poi anche questo Belsito, che francamente lo risulta un po´ meno. Fino ad arrivare all´assessore lombarda Monica Rizzi, «Monica della Valcamonica», che ha ceduto il posto al Trota e gli ha fatto largo con sistemi non proprio ortodossi nella giungla leghista di Brescia e della bassa.
Questa bionda Monica, di cui sono stati messi in forse gli studi in psicologia, reca se non altro il merito di riportare a una qualche forma di magia un cerchio invero risultato piuttosto materialistico. È infatti legata a una vera maga, a sua volta in rapporti con gli extraterrestri, il che non le ha impedito di aprire un´agenzia investigativa intitolata al conte Cagliostro. E anche questi particolari sono forse da intendersi come la conferma che quando i poteri stanno per crollare, ecco che occultismi, spiritismi e altre diavolerie si prenotano un posto in prima fila.
Su di un piano più razionale il cerchio magico (l´espressione è di Bossi, 1995, però l´attribui al «mago» allora malefico Berlusconi) si spiega forse con il pessimismo, prima di tutto della Manuela, sul futuro della Lega e la salute del suo fondatore. In altre parole: il meglio è passato, occorre pensare al domani. Ieri il senatore Torri ha detto, e anche giustamente dal suo punto di vista, che Bossi «ha dato la vita in senso fisico, materiale e morale per la libertà del Nord». Ciò che sta accadendo da qualche tempo ha tutta l´aria di una specie di risarcimento, o auto-risarcimento. Come sempre succede in questi casi, il confine tra le due entità è sfuggente, ma decisivo. E ancora di più quando a stabilirlo sono i carabinieri, la Guardia di Finanza e la magistratura.

La Repubblica 04.04.12

******

“Il tramonto del Senatue”, di Stefano Folli

«La Lega deve essere trasparente come un cristallo», sostiene il governatore del Veneto, Zaia. Impossibile non essere d’accordo: tutti i partiti, non solo il Carroccio, dovrebbero esserlo. Eppure la frase, pronunciata oggi, ha due significati. Può essere solo un’affermazione di maniera, di quelle senza tempo: valida dieci anni fa, due anni fa o fra tre anni.

Oppure può essere l’annuncio di una rivoluzione nel mondo leghista, quanto meno di una radicale rifondazione. Perché la vicenda Belsito dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che il partito di Umberto Bossi, nella sua veste attuale, è ormai morente.
L’assetto di potere che lo ha retto negli ultimi anni è destinato a disintegrarsi di fronte alle accuse che colpiscono l’improbabile tesoriere e chi ne ha appoggiato le iniziative. Certo, da un punto di vista legale occorrerà attendere che l’inchiesta trovi riscontri definitivi. Ma sul piano politico quello che emerge è inquietante.
Altro che trasparenza. Lo scandalo che investe il vertice del Carroccio rivela un panorama che dire opaco è eufemistico. Sembra di assistere all’ultimo capitolo di una saga politica che già da anni era entrata in una crisi irreversibile, parallela al declino fisico del leader storico. Del resto, la falsa bandiera della secessione conteneva fin dall’inizio i germi di un’ambiguità che nel tempo non poteva non logorare la Lega, sospesa fra i falsi miti celtici evocati nel «pratone» di Pontida e una gestione spesso spregiudicata del potere concreto, quello garantito dal lungo sodalizio di governo con Berlusconi.

Sta di fatto che l’alternativa alla pseudo-secessione, cioè il federalismo fiscale e istituzionale, alla fine si è risolta in un fallimento, oltre che in un potenziale aggravio dei conti pubblici. Un gioco politico a somma zero dietro il quale, nel frattempo, si allargava la zona grigia su cui oggi i magistrati vogliono far luce.
Ieri sera tutti garantivano che Umberto Bossi è estraneo al marciume. Questo è possibile e al momento non ci sono riscontri che contraddicono tale convinzione. Ma si tratta di un aspetto persino secondario perché Bossi è un uomo provato dalla malattia che da tempo ha perso il suo antico, ferreo controllo sul partito. E in ogni caso, anche se non tocca il vecchio leader, l’indagine travolge un «establishment»: tutti coloro che fingevano di non sapere o si voltavano dall’altra parte.
Per lo stesso Maroni, che si presenta come oppositore del «vecchio regime» e uomo del domani, non sarà facile imporsi come il rifondatore del Carroccio. Perché non c’è dubbio che nel prossimo futuro la Lega avrà bisogno di essere ricostruita dalle radici, anche sul piano ideale, ripartendo dalla buona amministrazione negli enti locali. E non è detto che ci sia una classe dirigente davvero innovativa, in grado di attraversare subito il fiume. Vedremo già in maggio, nel voto amministrativo, come reagiranno gli elettori.
Quello che si coglie con chiarezza – e non riguarda solo la Lega, come è noto – è l’indecenza dell’attuale normativa sul finanziamento ai partiti. La pratica dei «rimborsi elettorali», decine di milioni di euro elargiti senza alcuna garanzia di correttezza e trasparenza, è inaccettabile per un’opinione pubblica bombardata ogni giorno dalle tristi notizie sulla recessione e la disoccupazione. «Moralizzare» dovrebbe essere la parola d’ordine trasversale dei partiti in cerca di nuova credibilità. Fare pulizia e impedire gli abusi. Ma nessun vertice finora ha affrontato questo tema. Attendiamo fiduciosi.

Il Sole 24 Ore 04.04.12