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"Quella trappola dei voucher per la baby sitter", di Donata Gottardi*

Non c’è solo l’articolo 18. La discussione sulla riforma del mercato del lavoro deve riguardare anche le altre parti. Quella dedicata agli «interventi per una maggiore inclusione delle donne nella vita economica» tradisce clamorosamente l’obiettivo. Non la prima parte, che contiene un convincente intervento sulle dimissioni in bianco: opera mediante estensione di meccanismi già esistenti, come la convalida, e si applica correttamente a tutti i lavoratori. Questa pratica sleale nata per liberarsi delle lavoratrici quasi sempre in connessione con la maternità, si sta estendendo ai lavoratori con la evidente finalità di rendere irrilevante la disciplina di tutela del licenziamento, qualsiasi essa sia, aggirandola a monte. È un atto dovuto per evitare frodi alla legge e dovremmo chiederne l’inserimento nella parte sulla revisione della disciplina del licenziamento individuale. Gli altri due punti solo a una lettura superficiale possono sembrare soddisfacenti. Al primo è stata dedicata molta enfasi nella presentazione alla stampa. Si è detto che finalmente nel nostro Paese, in anteprima rispetto al resto dell’Unione europea, abbiamo il congedo di paternità. Il congedo di paternità, modello europeo? No. Sono 3 giorni retribuiti che il padre lavoratore deve obbligatoriamente prendere al momento della nascita o entro i 5 mesi successivi. Intanto speriamo spettino anche in caso di adozione. Poi speriamo che vengano riconosciuti come diritto e non come obbligo, dato che, per un periodo così limitato, il lavoratore non dovrebbe essere esposto al rischio di ritorsioni. E non qualifichiamo questo intervento come uno dei modi per la redistribuzione dei ruoli familiari. Anche se questi 3 giorni fossero fruiti non per festeggiare la nascita, ma per condividere la cura in un momento di difficoltà, sarebbero un periodo insufficiente per un aiuto effettivo. Non a caso il Parlamento europeo chiede il congedo di paternità di 15 giorni. Il secondo punto è preoccupante: ha come obiettivo quello di spingere la madre lavoratrice a tornare subito al lavoro, quando il figlio ha da 3 a 4 mesi, ottenendo in cambio, per 11 mesi, un generico voucher per una baby-sitter individualmente scelta. È evidente la supremazia del mercato e la sudditanza all’imperativo della continuità del lavoro, che mette all’angolo la promozione dell’allattamento al seno, l’importanza del rapporto fisico ed affettivo nel primo anno di vita, il rientro al lavoro mediato dalla riduzione di orario. Ma il voucher è in alternativa a cosa? Si parla di «congedo facoltativo di maternità». Che non esiste. Che si chiama «congedo parentale» e che, appunto, è un diritto della madre e del padre. Così si torna indietro di decenni. Altro che redistribuzione dei ruoli! Sarebbe invece proprio sul versante dei congedi parentali da intervenire: per renderli più equilibrati nella loro utilizzazione tra madri e padri lavoratori; per renderli più convenienti, dato che l’indennità è bassa (30% della retribuzione) o addirittura inesistente (dopo 6 mesi); per renderli meno esposti alle discriminazioni, radicate soprattutto quando a fruirne sono i padri lavoratori; per renderli fruibili anche nei lavori precari e instabili. Invece il dubbio, non tanto infondato, è che si voglia scambiare l’intero pacchetto di congedi parentali con il voucher per baby-sitter. E a tradire questa intenzione sono gli 11 mesi concessi, che sono esattamente la durata massima del congedo parentale per la coppia di genitori. E cosa conta che la normativa europea li consideri un diritto, non rinunciabile e in parte nemmeno trasferibile tra i due genitori lavoratori? E cosa conta che i congedi parentali possano essere fruiti frazionatamente entro gli 8 anni di vita del figlio? L’importante è che la madre torni al lavoro, monetizzi il congedo con un voucher di assistenza individuale. Ebbene, sì! Il 2012 assomiglia molto al passato, , un passato così risalente che ormai quasi solo gli storici (le storiche!) della materia possono ricordare.

*Professore ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Verona

L’Unità 04.04.12