attualità, politica italiana

"Tramonti padani", di Rinaldo Gianola

Ora che la tela è stata strappata, che il mito della diversità, dell’alterità, è svanito nell’uso personale, familistico, di soldi pubblici, cosa resta della Lega di lotta e di governo? Dov’è finita l’innocenza movimentista celebrata con le feste nella piscina dell’Hotel Mirella di Ponte di Legno, con Umberto Bossi e i suoi sodali a bagno?
E che fine fanno le innocenti crociere sul Po travestiti da Asterix col fiasco in mano, adesso che un amministratore di nome Francesco Belsito ha dirottato i fondi del partito in Tanzania, con il sospetto di riciclaggio, truffa e appropriazione indebita e sarebbe quasi la “novità” meno negativa se confrontata con i legami inquietanti con ambienti criminali, la ’ndrangheta, come ipotizzano le indagini di tre procure?
In molti scrivono che la Lega finisce perchè il suo fondatore e capo indiscusso, creatore di un autentico, forse l’ultimo partito leninista, Umberto Bossi, non regge più lo scettro del potere, indebolito dalla fatica e dalla malattia, e ormai ostaggio di un gruppetto di sodali, guidato dalla moglie Manu pensionata-baby a 39 anni che vorrebbe trasferire ai figli l’eredità e la leadership politica del marito. È possibile che la Lega soffra di questo scandalo, che patisca un rovescio elettorale alle prossime elezioni amministrative, anche se le tangenti Enimont, gli intrecci con la Popolare di Lodi di Fiorani, gli strani investimenti in Croazia e il crac della banca Credieuronord non hanno prodotto a ben vedere sconfitte o arretramenti politici.
Finora, è bene ricordarlo per non farsi illusioni, gli scandali leghisti, e ce ne sono stati, sono passati senza lasciare tracce e conseguenze, come se la credibilità del suo leader e la missione politica del movimento fossero stati più forti, prevalenti sulle inchieste della magistratura e sui comportamenti poco ortodossi di militanti e dirigenti del Carroccio. Bossi e i suoi hanno sempre beneficiato dell’adesione totale, quasi acritica, fedele, dei militanti, dei tanti elettori leghisti convinti per lungo tempo della presunta moralità cristallina del movimento e dei suoi dirigenti.
Il sociologo Aldo Bonomi, attento alle dinamiche sociali ed economiche del Nord, invita a riflettere sulla politica e a non concentrarsi «sul dito, ma sulla luna: cioè la Lega può anche entrare in crisi perché c’è qualcuno che ruba, perché il suo capo è in difficoltà, non è più in grado di governare e di controllare le fazioni perché una volta c’era Gipo Farassino coi suoi piemontesi che non voleva farsi guidare dai lombardi, ora tornano le spinte autonomiste dei veneti e di altri. Ma gli interessi, le paure, i problemi che sono stati rappresentati dalla Lega restano tutti e anzi si aggravano, questo potrebbe essere un segnale importante per la sinistra se riuscisse a intercettare gli umori profondi che si muovono nelle aree più produttive del Paese». Quali tensioni, quali problemi? «È il Nord della produzione, delle piccole imprese, degli artigiani, degli operai che oggi patisce ancora di più la crisi, gli effetti della globalizzazione dell’economia, della competizione internazionale. È un bel pezzo d’Italia che si era fidata di Berlusconi e di Bossi, che aspetta ancora la modernizzazione delle infrastrutture, magari l’autostrada Cuneo-Asti o la Pedemontana, e oggi si ritrova deluso, affaticato, con poche risorse da impiegare».
Dal Piemonte al Friuli, in tutto il Nord, la Lega occupa posizioni di potere enorme, ha governatori come Cota e Zaia, sindaci di grandi città, centinaia di amministratori radicati sul territorio e consiglieri di amministrazione, manager di aziende municipalizzate o partecipate da interessi pubblici. È diventata una rete di potere diffuso nelle regioni più ricche del Paese, e in questa crescita la Lega si è ovviamente contaminata con interessi particolari, economici, finanziari e forse anche altri poco presentabili.
L’inchiesta emersa poco più di un mese fa che ha coinvolto il presidente dell’assemblea regionale lombarda, il leghista Davide Boni, ha rappresentato un salto di qualità, la magistratura è arrivata ai piani alti, ai dirigenti di punta della Lega. E oggi le inchieste sono in casa Bossi, il santuario del partito, toccano i lavori di ristruttirazione di Gemonio, le auto del Trota, e aprono una resa dei conti finale tra le varie anime e correnti, quasi che il tramonto del berlusconismo segnasse anche la crisi della Lega, dopo una lunga stagione di convivenza e di commistione nel potere del Paese. Nata e cresciuta per emancipare il Nord e dare una risposta moderna alla produzione e al lavoro, la Lega si trova ostaggio dei difetti del governo centralista e di Roma, ha analizzato il vecchio saggio lombardo Piero Bassetti.
Ma quale sarà il prossimo atto? Ci saranno altre sorprese nelle inchieste giudiziarie che velocizzeranno il ricambio? Chi prenderà la guida di un movimento che al Nord mantiene la capacità di mobilitare milioni di elettori? Daniele Marantelli, deputato del Pd di Varese e conoscitore dell’evoluzione dello stato maggiore leghista, spiega: «Quello che sta accadendo alla Lega non è solo un incidente indotto dalla convivenza col potere e con i soldi, ma rappresenta un segnale della crisi politica, di leadership del movimento, la gestione oligarchica non regge più». Successori? «Il candidato perenne è sempre Maroni, ma già in passato ha sbagliato la bracciata e ha dovuto ripiegare, rientrare nella truppa. Adesso sembra deciso a dare battaglia e gode di un certo consenso tra la base, ma Bobo deve mostrare di avere coraggio, deve rischiare lo scontro, e non sempre ha dato prova di esser un cavaliere senza macchia e senza paura. Maroni ha cavalcato in questi mesi le note dell’opposizione totale al governo Monti e ai partiti che lo sostengono, usando parole e toni della Lega delle origini per monetizzare in termini di voti questa svolta solitaria. Ma un ritorno al passato, questa volta, non è possibile nemmeno per i leghisti, devono pagare dazio pure loro perchè l’antica purezza è andata smarrita nelle frequentazioni inquinate del potere».
I raggiri e le truffe di Belsito e compagnia, la Tanzania e le case ristrutturate coi soldi dello Stato, possono mettere in circolazione milioni di voti che cercano una nuova casa affidabile, credibile. È una buona occasione per la sinistra per rompere definitivamente la cappa della destra al Nord.

L’Unità 05.04.12