attualità, politica italiana

"La caduta degli idoli", di Ezio Mauro

Cadono ad uno ad uno gli idoli della destra italiana che fino a ieri guidavano il Paese, trasmettendo attraverso il loro potere alieno alle istituzioni l´immagine di un´Italia da comandare, più che da governare. Le dimissioni di Umberto Bossi, affondato dalla nemesi di uno scandalo per uso privato di denaro pubblico, azzerano la politica e persino il linguaggio della Lega, rovesciando sul Capo fondatore quelle accuse spedite per anni contro “Roma ladrona” e contro lo “Stato saccheggiatore”. I ladroni la Lega li aveva in casa, anzi a casa Bossi. E il saccheggio lo aveva in sede, a danno del denaro dei contribuenti.
La Lega è il più vecchio partito italiano, nato nell´agonia pentapartitica della prima repubblica, sopravvissuto e cresciuto nella bufera di Tangentopoli che ha cambiato per sempre la geografia politica. Poi alleata con l´altro figlio legittimo della prima repubblica, quel Berlusconi protetto dal Caf, abile più di tutti a infilarsi nella breccia aperta da Mani Pulite nel muro del sistema, e a ereditarne il comando come presunto uomo nuovo, esterno ed estraneo. L´unione di convenienza dei due leader – al di là della rottura del ‘94, quando Bossi tuona contro “il mafioso Berlusconi” e la sua “porcilaia fascista” – via via si rinsalda su una prassi e un istinto ideologico, che dà vita all´esperimento italiano di una “destra reale”, o realizzata. Qualcosa di inedito nelle culture di governo dell´Occidente, nel suo mix populista di potenza economico-finanziaria e paganesimo localista, di cesarismo carismatico e telematico e di fazzoletti verdi agitati nel perimetro padano, eccitato dal federalismo alla secessione, fino alla xenofobia. Quella destra “reale” ed estrema che da oggi, dopo la caduta di Bossi e Berlusconi, non vedremo mai più nella forma con cui l´abbiamo conosciuta.
Bossi viveva se stesso come il Capo indiscusso e perenne di una potenza straniera, che aveva ricevuto dalla decadenza del sistema italiano di rappresentanza politica l´occasione di governare l´Italia come una colonia da spolpare. Parlava contro lo Stato viaggiando sulle sue auto blu, oltraggiava il tricolore rappresentandolo nelle istituzioni, attaccava la Costituzione dopo averle giurato, da ministro, fedeltà repubblicana. Tutto ciò in combutta con un leader a cui permetteva e perdonava tutto, scandali, vergogne, eccessi ed errori, in cambio di rendite di posizione parziali per sé e per il suo gruppo dirigente. Con il miraggio eterno della terra promessa, la Padania autonoma nello Stato federale e nemico, e la promessa finale (in cambio dei voti sulle leggi ad personam) della più prosaica e concreta Lombardia, per il dopo-Formigoni ormai alle porte.
Invece è arrivato il ciclone dei rimborsi elettorali usati a fini di famiglia. Si è finalmente capito di che pasta era fatto quel “cerchio magico” che proteggeva e ingabbiava il Capo, e quale cemento lo univa, lubrificandolo a spese del contribuente italiano. I soldi dello Stato, per Bossi e i suoi, erano come i beni di un Paese occupato, che bisogna spogliare. Il “cerchio” alimentava se stesso, tiranneggiando il tesoriere, e muniva così il suo potere. Dentro il cerchio, la famiglia lucrava per sé, piccoli e grandi vizi, la casa del Capo e l´auto del figlio, le spese minute per tutti, e soldi – dicono le carte – anche per quel Calderoli che oggi pretende di sopravvivere a se stesso e alla vergogna nel ruolo di reggente, insieme con Maroni e Manuela Dal Lago.
La verità è che la Lega non c´era più da tempo, e oggi ciò che ne resta affonda insieme con Bossi. Il capo barbaro degli inizi aveva un istinto politico fortissimo, un linguaggio basico dunque nuovo nella sua spregiudicatezza, un legame istintivo coi militanti, una pratica politica di estraneità al sistema politico declinante, dunque anche ai suoi vizi. La prima auto blu ha trasformato Bossi. La malattia ha fatto il resto, depotenziando il vigore di un leader in cui la fisicità (metaforizzata come virilità politica) era icona del comando, testimonianza di una ribellione perenne, conferma di una irriducibilità permanente. All´impedimento fisico si è accompagnato una sorta di ottundimento dell´istinto, quindi della manovra politica, alla fine dell´autonomia e della libertà. Da scelta negoziata, Berlusconi è diventato necessità, appoggio, rifugio. Nato come partner, libero e autonomo fino ad andarsene e tornare, il Bossi malato è finito nella tasca capiente e sapiente di Berlusconi, prigioniero volontario di un´alleanza come assicurazione senile di potere.
Il “cerchio magico” ha funzionato da coro greco, impedendo che l´autonomia perduta dal Capo venisse recuperata ed esercitata dal partito, tenuto in minorità permanente, costretto a ricevere e ad ascoltare dai sacerdoti del “cerchio” la traduzione delle parole d´ordine del Capo, elevato (in realtà ridotto) da leader a totem. Un Bossi totemico, simbolo indebolito di se stesso, che non governava ormai più, ma esercitava un potere mediato attraverso il “cerchio”. Che in questo modo aveva in mano il controllo del partito ed impediva la crescita di ogni discussione, di qualsiasi articolazione di leadership ausiliaria, di tutte le ipotesi di delfinato. Il punto è che il “cerchio magico” si è impadronito della malattia del Segretario. E quindi, come in un brutto romanzo sudamericano tradotto in dialetto padano, ha cercato di perpetuare l´immobilismo totemico di un potere bloccato ma refrattario ad ogni soggetto esterno, per esercitare così un comando derivato.
Come in tutti i sistemi impaludati e stagnanti, anche nelle acque ferme del vertice leghista si è fatta strada la corruzione, probabilmente come strumento di arricchimento privato, dei singoli membri e della famiglia reale, ma anche come mezzo di potere e di controllo nei confronti degli altri, avversari o pretendenti. Per la Lega, e per Bossi stesso, è il cappio padano che cambia collo, e dalle odiate grisaglie di Stato e di regime passa indosso alle camicie verdi. Peggio di una tangente, dei soldi corruttori di qualche imprenditore in cambio di un appalto, se si può fare una scala in queste cose: perché si tratta di denaro pubblico, finanziamento dello Stato, soldi di Roma, che il “cerchio” e la famiglia (culmine sacro e pagano di tutto) intascavano a loro profitto, truffando tre soggetti in un colpo solo: lo Stato, i contribuenti, e il partito, derubato da chi lo comandava.
La stessa retorica leghista viene annichilita da questo scandalo, che si racconta al contrario delle leggende bossiane, perduta quella purezza che dava forza e credibilità alla denuncia contro gli sprechi “romani” e lo Stato burocrate, oppressore delle sane abitudini padane. Ecco perché Bossi si è dimesso, ed ecco perché – soprattutto – le dimissioni erano inevitabili, e molto probabilmente non basteranno. Passata da più di un anno dalla guerra di secessione a quella di successione (che Maroni non ha mai dichiarato formalmente, per non uccidere politicamente Bossi con le sue mani, ma sentendosi l´unico erede), adesso la Lega deve giocare una battaglia di sopravvivenza, che riguarda tutti. Non è credibile che gli altri capi e capetti (da Calderoli a Castelli allo stesso Maroni) non sapessero. I militanti ripeteranno l´ultima leggenda, quella della cospirazione esterna. Ma gli elettori, i simpatizzanti, si sentono definitivamente truffati da un gruppo dirigente confiscato da un piccolo cerchio di potere con pratiche umilianti, che comandava per rubare – come nella peggiore Tangentopoli – e rubava per continuare a comandare.
Resta il problema enorme della rappresentanza del Nord, storica, culturale, politica. Rappresentanza simbolica e di interessi concreti. Non è affatto detto che questi interessi debbano coniugarsi per forza alla xenofobia, alle paure per la globalizzazione, all´invettiva spaventata contro l´euro e l´Europa. Un´altra rappresentanza è possibile, se i partiti avranno la forza, la capacità e l´ambizione di concorrere per dare ascolto e soddisfazione alla parte più forte e moderna del Paese, liberandola dei falsi miti, unendola alle istituzioni e al destino repubblicano e nazionale. Facendole capire che la politica non è una cosa sporca, l´Europa è il nostro destino, e destra e sinistra – finalmente – non sono soltanto le due sponde del sacro Po: restituito ieri da falso nume a fiume, come accade nel Paese reale in cui vorremmo vivere.

La Repubblica 06.04.12

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“Le conversazioni barbariche”, di Piero Colaprico

Dalla «magia nera» della moglie di Umberto Bossi alla «cattiveria» di Rosy Mauro. Dal nomignolo «principe» per il figlio «trota» di Bossi al «tombolotto» che è l´ex tesoriere Francesco Belsito. Che cos´era davvero la Lega? E che cos´era il «cerchio magico»? Di sicuro non un´invenzione dei giornali. C´è un´intercettazione che va pubblicata quasi integralmente, perché ora che le carte giudiziarie si sono posate, ora che è possibile capire un bel po´ di più delle dimissioni improvvise di Bossi, è bene che anche i militanti conoscano meglio la leadership. Stanno parlando Francesco Belsito e Nadia Degrada. I due si occupano dei soldi della Lega e fanno asse, anche perché «Viene fuori il pieno e andiamo tutti nella merda».
Il pieno è arrivato oggi, ma Belsito era preveggente: «Oh, io ho una sensazione, quando mi prude il naso, sta arrivando una disgrazia, e ieri…». «Ma tu – lo interrompe Degrada, segretaria amministrativa della Lega in via Bellerio – sei mai stato a casa di lei, a Gemonio, no? Sei andato a vedere dove dorme lei? Tu lo sai che su c´è una mansarda?».
«Parli della moglie (Manuela Marrone) o dell´altra?», chiede Belsito. L´«altra» è Rosi Mauro, soprannominata “la nera”.
Della moglie, ma «tombolotto» era rimasto al piano terra, in cucina, e la sua amica gli rivela: «Se tu vai sopra alla mansarda, c´è una brandina, ma non sto scherzando, ci sono le foto. C´è una brandina di quelle che sembrano per bambini, un comodino ed una lampada. Per terra, piena piena, che prende tutta la stanza, libri di magia nera. Cartomanzia. Astrologia. Tutti eh!… Ma ce ne saranno almeno un centinaio, tutti per terra, non su una scrivania. Niente, lei vive lì, quando è in casa è lì, con quei libri»
«E che cazzo fa? Eh allora non ho via d´uscita, non so né cartomante né mago», ride sconsolato Belsito. E più tardi, in un´altra telefonata, dirà: «È che sono un deficiente, che mi sono preso a banconate la scuola (Bosina), capisci tutti i soldi a quella grande p… della moglie (di Bossi), che stupido che sono».
Le carte parlano di soldi in Tanzania, affari, imbrogli, terrazzi, spese del dentista, spunta il consiglio «Tieniti le copie, metti gli originali dove non li possa rintracciare nessuno». Parlano persino di bar di lusso che forse sono acquistati attraverso prestanome di Bossi in piena San Babila, grazie ai soldi dei rimborsi elettorali dello Stato. I soldi intascati, nell´era Tangentopoli, al bar Donney sono antiquariato, anche i vecchi conti della clinica svizzera non tornano: «…visto che da pagare gli hai dato tutto te ed è arrivato persino indietro l´insoluto, se ti ricordi».
Se il «cerchio magico» non è materia per i magistrati, diventa materia per i magistrati il potenziale clima di ricatto costante che circonda il fondatore della Lega. Perché Nadia Dagrada, quando parla con Belsito, non usa mezzi termini: «Diglielo anche a Roberto (Calderoli), vedrai la soluzione da far capire al capo (Bossi). Guarda che tu (Bossi) non hai la possibilità di rimediare a tutto quello che è stato dato a tua moglie, sia per lei sia per la scuola e sia per i tuoi figli, perché sono troppi, troppi soldi. E c´è tutto il restante e se ci mettono le mani Castelli (Roberto, ex ministro) e Stiffoni (Piergiorgio, senatore) di turno, tu non puoi più garantire che le cose restino segrete».
Se Roberto Maroni è «il barbaro sognante», e su di lui c´è poco da sparlare, Castelli, bocciato alle elezioni, è l´altro nemico: «È lui il cerchio magico, lui non è più il capo della Lega, è il capo del “cerchio magico”». Anche Castelli, però, dove può andare? «Castelli lavora tutto alle spalle, quando ha pagato di sua moglie dei cazzi e dei mazzi, io ho tutto scritto, eh», dice Belsito. E si svela un cerchio magico sempre più impaurito, con Renzo Bossi che traffica intorno «alla storia della casa» ristrutturata a Gemonio. L´ansia di essere beccati era tanta che «sono venuti a prendere, Renzo e la fidanzata (Silvia), tutti i faldoni da via Bellerio, e li hanno portati tutti via», confida la dirigente amministrativa al tesoriere. «Adesso hanno parecchia caga (…) E visto che comunque lei (Manuela Marrone) di ascendente ce ne ha, devi dire che Castelli c´è da tenerlo d´occhio».
La Lega, che si raccontava barbara, dura e pura, vista dall´interno, grazie anche alle intercettazioni telefoniche che i «padani» volevano abolire d´accordo con Silvio Berlusconi, non è che si affloscia soltanto nell´identità, come un qualsiasi partito della prima Repubblica. Appare come un nido di vipere, si usano espressioni come «sfacelo», «merda umana», «è una cogliona integrale», «fargli prendere paura». Rosi Mauro, oltre ad essere coinvolta gravemente nei flussi di denaro, riceve descrizioni da romanzo: «Lei ha un odio viscerale nei confronti delle persone, ma è sempre stata così, solo che adesso secondo me gli è andato alla testa il potere, sta perdendo il lume della ragione». La sfottono pure sui «diecimila telefonini in borsetta». La sua colpa? «Una puttana, sta rovinando il Capo, lo sta mettendo contro tutti». Invece dovrebbe capire che «salta il capo, sei morta anche tu».
Il rombo della «disgrazia» è sempre più percepibile, l´unica via d´uscita sarebbe che Belsito parlasse direttamente con Bossi. Ma non di nomine e cariche politiche: «Gli dici: “Guarda capo, è meglio che sia ben chiaro, se queste persone mettano mano ai conti del Federale, vedono quelle che sono le spese di tua moglie dei tuoi figli, le tue, a questo punto salta la Lega”. Proprio così eh, papale papale glielo devi dire». E se gli altri confidano nel suo silenzio, Belsito ha un´arma, quella che negli anni Novanta fu definita «la politica del ricatto»: «Tu gli dici: “Ragazzi, forse non avete capito che se io parlo, voi finite in manette, o con i forconi appesi…”. Domani inizia a parlarne con Roberto, (Calderoli)». Perché, alla fin fine, «ma a chi volete cagare il cazzo?».
Il fiume carsico dei soldi alla «famiglia» rivela a ogni emersione un dettaglio che sconcerta: «Gli tiri fuori perfino le spese del dentista di Sirio». Oppure le «bollette del telefono di Renzo Bossi», e nel taccuino c´è «l´ultima macchina del “principe”, 50 mila». «Tanto ce l´hai la fattura, no?», chiede Dagrada. «E certo!, esclama Belsito. E questo «è certo!» risuona sinistro e più volte, con Riccardo Bossi, figlio del primo matrimonio, nullafacente, che sembra aver utilizzato «250 mila euro solo nel 2010 e 2011» con American express non pagata da lui. E questo portafoglio invita a scherzare sul figlio più piccolo, che ancora non ha la patente: «A Eridanio bisogna procurargli un go kart».
Risate o non risate, il concetto è semplice: se questa è «una patata troppo bollente, con la storia della famiglia», se Bossi immaginasse di liquidare il tesoriere-faccendiere per salvare la sua faccia, e il suo partito, il «tombolotto» reagirà. È in grado di aggiungere altri dettagli: «Capo, il punto è che fino a adesso, quello che è stato speso per tua moglie per tuo figlio Renzo, per tuo figlio Roberto, per la Rosi Mauro, per l´amante della Rosi Mauro, è rimasto per me. Sicuro che se mettiamo di mezzo dell´altra gente queste cose non escono?». Per cui niente Castelli, serve «un´altra persona di fiducia come Gibelli o se preferisci come presidente Alessandri che però è già presidente federale, quindi è da vedere», comunque i bilanci vanno approvati, firmati, chiusi.
Non sappiamo se questo discorso sia stato fatto, o se i carabinieri comandati da «Ultimo» l´abbiano impedito arrivando prima con le indagini. Bossi, diceva ieri dopo le dimissioni, sa che in un uomo non conta la carica, contano «cuore e cervello». Ma allora, ictus a parte, che cosa gli è successo per aver chiuso occhi e orecchie per così tanto tempo anche in casa sua? E il «cerchio magico», queste anime nere cresciute dentro il partito verde, quanta responsabilità hanno nella malattia che contagia un intero movimento?

La Repubblica 06.04.12

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