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"Come aiutare le imprese a fare sviluppo", di Stefano Fassina

Per capire la discussione e le scelte sul mercato del lavoro italiano va accantonato il marketing sulle condizioni delle generazioni più giovani o sull’attrazione degli investimenti esteri. Per capire, vanno considerati i problemi veri della moneta unica e la ricetta di politica economica definita a Berlino, Bruxelles e Francoforte. La sopravvivenza dell`euro è minata dagli andamenti divergenti della competitività tra le sue diverse aree economiche.

L`aumento dei debiti pubblici è conseguenza, non causa, dei problemi dell`euro. L`indicatore primario da guardare è il saldo della bilancia commerciale, non quello del bilancio pubblico. Per aggredire il «problema esistenziale» della moneta unica, la ricetta dettata a Berlino dai conservatori prevede, per ciascun Paese in deficit di bilancia commerciale, la «svalutazione interna»: contrazione della domanda, attraverso politiche di bilancio soffocanti, per ridurre l`import; riduzione del costo del lavoro, attraverso l`ulteriore indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici, per aumentare l`export.

Qui sta, per l`Italia, la ragione dell`ossessione verso l`articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In Spagna, dove per i licenziamenti illegittimi vigeva già il solo compenso monetario, il governo Rajoy elimina di fatto il vincolo delle causali economiche e dimezza l`indennizzo. In Portogallo, in assenza di articolo 18 e di particolari filtri al licenziamento, si smantella direttamente il contratto collettivo nazionale di lavoro. In Irlanda e in Grecia si tagliano brutalmente le retribuzioni nominali (in Grecia, dopo l`uscita di Papandreu, si porta da 750 a meno di 600 euro mensili in salario minimo). Insomma, la linea di politica economica oggi dominante nell`area euro archivia come un accidente storico la civiltà del lavoro costruita nell`Unione europea nella seconda metà del Novecento e punta al continuo arretramento delle condizioni del lavoro per uscire dal tunnel.

La linea della «svalutazione interna» è sbagliata. Non solo perché profondamente iniqua, ma perché non funziona. In Italia e nell`area euro, nel quadro attuale di politica economica non vi può essere crescita, soltanto riduzione del danno, come ha riconosciuto Romano Prodi sul Messaggero. Dopo valanghe di editoriali sulle mitiche riforme strutturali, anche il Wall Street Journal si è convinto che siamo avvitati nella «self-defeating austerity»: recessione e aumento di debito pubblico. Qui sta, per il Pd, la ragione dell`insistenza per una soluzione equa sull`articolo 18. L`equilibrio raggiunto sui licenziamenti per motivi economici è un passo verso una strategia per lo sviluppo alternativa alla via, fallimentare, della svalutazione interna.

È la strategia dello sviluppo sostenibile impostata dai partiti progressisti europei (si vedano le posizioni dell`Alleanza dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo o il documento della Feps discusso a Parigi il 17 marzo scorso da Bersani, Gabriel e Holland). Prevede: mutualizzazione dei debiti sovrani, potenziamento del Fondo salva-Stati, investimenti finanziati da eurobond e tassa sulle transazioni finanziarie, coordinamento delle politiche retributive. Archiviato il capitolo articolo 18, il Parlamento ha altri punti decisivi da modificare. Qui, i problemi derivano da un deficit di conoscenza della realtà economica italiana: chi descrive il nostro mercato del lavoro secondo lo schema dell`apartheid, o attraverso la categoria degli iper-garantiti, non può arrivare a soluzioni efficaci.

Inoltre i problemi derivano dal paradigma giuridico seguito: è sbagliata la filosofia conservatrice secondo la quale ex facto oritur ius; ma è altrettanto sbagliata la filosofia giacobina secondo la quale ex iure oritur factum. La legge non è la riproduzione passiva della realtà, ma non può prescindere dalla realtà e dai rapporti di forza economici e sociali prevalenti. Insomma, non si può combattere la precarietà attraverso l`innalzamento del costo totale del lavoro per le imprese. Per disincentivare i contratti precari va ridotto il costo del lavoro a tempo indeterminato, come indicato nelle proposte del Pd definite all`Assemblea nazionale del maggio 2010. Confindustria, Rete Imprese Italia e le associazioni di lavoratrici e lavoratori precari hanno ragione: le soluzioni previste nel ddl lavoro per contrastare la precarietà rischiano di allargare la piaga del lavoro nero o di essere aggirate per creative vie legali.

Che fare per migliorare il testo? Eliminare la contribuzione aggiuntiva sul contratto a tempo determinato e introdurre un tetto alla quota di tali contratti sul totale dei contratti di lavoro; eliminare la trasformazione ex lege delle committenze prevalenti; fiscalizzare tre punti percentuali di aumento della contribuzione pensionistica dei lavoratori parasubordinati; fiscalizzare un punto percentuale della contribuzione pensionistica dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e concentrare su tali forme contrattuali tutte le agevolazioni per l`occupazione; includere, secondo un principio sostanzialmente assicurativo, i lavoratori e le lavoratrici parasubordinate nell`Aspi; introdurre una retribuzione o compenso orario minimo in relazione ai minimi contrattuali del settore corrispondente; prevedere il concorso della fiscalità generale al finanziamento di un fondo nazionale di solidarietà in alternativa all`indennità di mobilità; infine, per «coprire» l`insieme degli interventi, rivedere alcune agevolazioni fiscali in vigore.

Grazie all`iniziativa del governo, è maturata tra Pdl, Pd e Terzo polo sufficiente condivisione dei problemi aperti per arrivare rapidamente a soluzioni condivise e efficaci.

l’Unità 10.04.12