attualità, politica italiana

"Il dubbio dei padani", di Curzio Maltese

«Luisaaa, dove hai messo la scopa?». Sono arrivati a Bergamo dalle casette a schiera della Brianza. SONO ARRIVATI dai centri commerciali, dai villini coi nanetti in giardino, con la ramazza in mano e nel cuore uno stato d´animo finora sconosciuto al buon leghista, fra tanti sentimenti e risentimenti evocati in vent´anni di psicopolitica verde: il dubbio.
Il dubbio che li abbiano fregati con la Padania libera, l´ampolla sacra, le scampagnate a Pontida, Braveheart e le cornamuse celtiche, il federalismo che non s´è mai visto e la rivolta fiscale mai partita, i ministeri al Nord e insomma tutto l´inventario immaginifico bossiano. «Tutto per imbertarsi una montagna di quattrini alla faccia nostra. Altro che devoluscion e deregulescion. Regalescion, ladrescion. Ma io non ci posso credere». Non ci possono credere in tanti, almeno qui, fra brava gente che in questi anni si è cibata di Radio Padania e feste di partito, comizi arroventati e dibattiti al bar dello sport, senza mai essere sfiorata dai dubbi insinuati dalla «stampa romana» a proposito dei maneggi del cerchio magico e dell´ampio sottogoverno insediato dagli ex barbari nei meandri dell´odiata Roma ladrona.
Ma ora di colpo ecco la caduta dei semidei padani, uno dopo l´altro. Fuori uno, due, tre, quattro. Bossi e l´erede designato Renzo, la Rosy Mauro che non si è dimessa, ma «ci penserà la Lega a dimetterla», ha detto Maroni. Il cerchio magico in frantumi, e non soltanto. Fuori Roberto Calderoli, il cui nome circola nelle carte dell´inchiesta e per questo è stato escluso ieri dal palco di Bergamo. La grande nave verde è inclinata sulle rive del dio Po e tutti corrono alle scialuppe di salvataggio agli ordini di Roberto Maroni, ma l´operazione sembra disperata.
Maroni è stato anche bravo a fare la parte di chi cade all´improvviso dal pero e scopre la corruzione del gruppo dirigente di Bossi. Ha fatto fischiare chi voleva, il Trota e Rosy Mauro, e ha provato a separare le responsabilità della famiglia, “the family”, da quelle del capo. In ogni caso assai più abile di un Umberto Bossi sempre più struggente nel tentativo di sopravvivere a se stesso, rinchiuso nella trincea del complotto e perciò più volte fischiato. Ma per quanto Maroni si sia sforzato di vestire i panni del salvatore della patria padana, con l´annuncio applauditissimo del congresso anticipato di giugno che lo incoronerà segretario, a chi ha un po´ di memoria l´ex ministro è parso soltanto la riedizione pallida del Claudio Martelli di vent´anni fa, ovvero uno che cerca di ripararsi dal diluvio universale aprendo l´ombrello.
Lo schianto della Lega è lo schianto del sistema più corrotto e incapace della storia della repubblica. Le inchieste sono appena al principio e di certo riserveranno altre sorprese. Ma la corruzione, i veri scandali erano sotto gli occhi di tutti da molto tempo, nei nomi, nelle biografie e nel rapporto fra questi e i posti ricoperti. La strapaesana Rosy Mauro vicepresidente del Senato, il Trota pluribocciato consigliere regionale della Lombardia, il taroccatore di professione Francesco Belsito seduto nel consiglio di amministrazione di Fincantieri e tutti gli altri boiardi ignoranti piazzati in questi anni alla Rai, all´Enel, negli enti locali, nelle Asl, in uno sguaiato e insaziabile assalto ai forni dell´odiato Stato centralista. Una spedizione contro Roma ladrona che negli anni si è trasformata sempre di più in razzia di posti e benefici da parte degli ex barbari, garantita dall´alleanza supina con Berlusconi, capace di coprire tutto e tutti. Era questa la vera ragione dell´alleanza di ferro fra Bossi e il Cavaliere, la garanzia d´impunità, mascherata sotto le bandiere di un federalismo immaginario. Ora che il gioco si è svelato, i boiardi verdi tremano sulle poltrone, grandi e piccole, dai consigli d´amministrazione dei colossi pubblici all´ultima municipalizzata lombarda, e sono disposti a rimettersi la camicia verde e le corna vichinghe, a sventolare il vessillo delle origini “pure” e il poster dell´integerrimo Maroni, come molti di loro hanno fatto alla Fiera di Bergamo. Bisogna vedere se il buon popolo padano ci crederà anche stavolta. Se gli operai delle fabbriche varesine, minacciati dai licenziamenti, i padroncini della Pedemontana, strangolati dai debiti, gli artigiani e i commercianti che ormai alimentano le cronache dei suicidi, saranno ancora disposti a sfilare sotto le bandiere «macchiate dal fango di pochi mascalzoni». I segnali sono cattivi e non da oggi. Alle ultime amministrative la Lega ha preso batoste un po´ dappertutto, perfino nelle roccaforti della provincia di Bossi, da Gallarate a Vergiate. Il voto di maggio rischia di essere una catastrofe. E allora a giugno, più che il congresso della rinascita declamato da Maroni, si rischia di celebrare il funerale del movimento.

La Repubblica 11.04.12

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“No a quei soldi, sono sospetti” così la Tanzania bloccò Belsito, di DAVIDE CARLUCCI e SANDRO DE RICCARDIS

Sentito il body guard di Renzo Bossi. A rischio la posizione della moglie del Senatùr. Il rovesciamento dello stereotipo è così clamoroso da sembrare incredibile: una banca africana che rifiuta i soldi padani perché sembrano sporchi e a quelle latitudini – cosa che non sempre accade tra le nebbie del Nord – pecunia olet. Ma è proprio questo, l´ultimo sviluppo di un´inchiesta che sta demolendo l´idea di una Lega portabandiera dell´onestà. Dagli accertamenti dei pm Paolo Filippini e Fabio Pellicano – coordinati dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo – emerge il fallimento del tentativo di riciclaggio dei finanziamenti pubblici del Carroccio in Tanzania operato dal tesoriere Francesco Belsito. Per ragioni di trasparenza, la banca tanzaniana decise di congelare i fondi – 4,5 milioni di euro – per oltre un mese. E di restituirli, in un secondo momento, al mittente, accreditandoli al conto della Lega presso la banca Aletti di Genova.
Di «riciclaggio», nelle carte del Noe, il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, parlano gli stessi indagati. L´imprenditore veneto Stefano Bonet parla al telefono con Romolo Girardelli, «faccendiere, già collaboratore genovese di Belsito» nonché link, secondo la Dda di Reggio Calabria che lo indaga, con la ‘ndrangheta. «In realtà – dice Bonet – questo (Belsito, ndr) mi ha davvero trascinato come un bastardo in uno dei reati più infimi che possa avere io come uomo di consulenza… ».
Da dove provenissero davvero i soldi da ripulire e perché la lavatrice fosse individuata in Tanzania – e se addirittura all´operazione abbiano partecipato anche le cosche – è materia di approfondimento da parte dei pm. L´affare, però, non va in porto. A consentire ai magistrati di ricostruire il flusso (interrotto) di denaro è stata l´acquisizione dei documenti bancari e l´interrogatorio di Paolo Scala, il consulente aziendale indagato che aveva Bonet tra i suoi clienti. La testimonianza del manager, che si occupa di internazionalizzazione di imprese a Cipro – dove è stata investita un´altra quota del tesoro della Lega, pari a 1,2 milioni di euro – è stata chiarificatrice. «La sua posizione sarà ridimensionata», assicura l´avvocato Pierluigi Bonafin. Bonet, invece, a Repubblica dice: «Ho scoperto che si trattava di soldi pubblici dalle banche il 10 gennaio 2011. Sono stato tradito da Belsito ma sono sereno perché non ho commesso nessun reato».
Per Scala gli investimenti a Cipro e in Tanzania sono due cose distinte. Per i magistrati potrebbero essere collegati. A Nicosia ha sede una filiale della Fbme Bank Ltd, l´istituto di credito tanzaniano, nato come una filiale della Federal Bank of Lebanon Sal, migrato poi alle Cayman come sede legale e infine stabilitosi in Tanzania. E dalla filiale cipriota sono transitati i soldi del Carroccio.
Per ora, nel registro degli indagati a Milano risultano solo i tre protagonisti di questa vicenda. L´ipotesi di ulteriori iscrizioni è al momento esclusa dal procuratore Edmondo Bruti Liberati. Ma si sta esaminando il materiale sequestrato, e nei prossimi giorni potrebbero definirsi nuovi capi d´imputazione, anche sulla base delle intercettazioni. E di nuove rivelazioni, come quelle dell´autista di Renzo Bossi, Alessandro Marmello. Interrogato ieri dai pm, il bodyguard ha confermato le rivelazioni sui fondi del partito usati «come un bancomat» per le esigenze del rampollo del Senatur. E ha descritto i video che provano le sue accuse, formalmente acquisiti dalla procura, e il «sistema per mantenere Renzo» con i rimborsi elettorali. Tra le posizioni più critiche c´è quella della moglie di Bossi, Manuela Marrone che, secondo la funzionaria Nadia Dagrada, avrebbe chiesto a Belsito di accantonare un milione di euro per la scuola Bosina. «Io – ha spiegato ai pm Dagrada – gli manifestai il mio disappunto e la mia netta contrarietà perché ritengo che dette operazioni devono essere regolarmente iscritte nel bilancio».

La Repubblica 11.04.12

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“Il giallo dell´appartamento ereditato dal Senatur: doveva andare al partito”, di Paolo Berizzi

Metti un´anziana militante leghista. Metti che la signora, prima di morire, disponga nel testamento che una casa di sua proprietà vada «all´on. Umberto Bossi, quale segretario della Lega Nord…». Aggiungi che Bossi decide poi di vendere la casa. Ora: al di là del rispetto della volontà indicata dalla ottuagenaria fan del Carroccio – e cioè che il bene lasciato finisca effettivamente al movimento – si apre un´altra questione. Decidendo, come ha poi fatto, di vendere l´appartamento, il capo padano avrebbe l´obbligo di versare il denaro ricavato alla Lega, e di comunicare la compravendita alla Camera dei Deputati. Se questo non accade, e non è accaduto, oltre a un problema morale se ne pone anche uno legale e amministrativo: posto che Bossi ha violato la normativa parlamentare, dovrebbe pagare una sanzione pari a una cifra che varia da due a sei volte il valore della casa (480mila euro).
[LA MONTECARLO LEGHISTA]
La storia ha un inizio ma forse non ancora una fine. L´inizio è datato 20 agosto 2003. All´epoca Caterina Trufelli, classe 1931, pasionaria leghista da Cicognara di Viadana (Mantova), è ancora in salute. Il Tribunale di Milano ha risolto in suo favore un´accesa disputa familiare per la proprietà di un appartamento di via Mugello 6 a Milano. La casa è al sesto piano di un palazzo inizio secolo in zona viale Umbria: 250 metri quadrati, quattro stanze, cucina, bagno, ripostiglio e balconcini, cantina, solaio. Rendita catastale, 958,03 euro. Nel suo nuovo testamento olografo – ufficializzato il 20/8/2003 – scrive: «Io sottoscritta Caterina Trufelli, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali revoco ogni mio precedente testamento e nomino erede universale l´onorevole Umberto Bossi, quale segretario della Lega Nord, nato a Cassano Magnago (VA) il 19/9/1941…» La Trufelli muore il 10 maggio 2010. Il suo ultimo scritto è un addio con «desiderata» degni della miglior militante leghista: vuole che le sue ceneri vengano cosparse nel «dio Po», e, non potendo dare la casa in lascito né alla sorella (non c´è più) né al nipote (con cui ha rotto), decide che il beneficiario sarà il partito verde nella figura del segretario Bossi. È a questo punto che prende forma la Montecarlo leghista.
[VENDITA IN SILENZIO]
Che fa il Senatùr con la casa di via Mugello? La gira nella disponibilità della Lega come prevede la normativa sulle “erogazioni liberali”? Oppure: la vende e versa i soldi nelle casse del partito? Macché. Bossi la vende, sì, ma si tiene i soldi. Il 1 febbraio l´appartamento viene acquistato da Angela Torazzi, «non coniugata», alla cifra di 480mila euro (pagati con assegni non trasferibili e circolari). L´Agenzia del Territorio registra accettazione e compravendita. Secondo le norme parlamentari, il capo leghista è tenuto a comunicare il tutto alla Camera. Cosa che non fa. E dunque, si macchia di una doppia leggerezza. La prima è una violazione dei regolamenti parlamentari (qualunque atto che riguardi finanziamenti politici al partito deve essere denunciato; la sanzione amministrativa prevista consiste in un cifra che varia da due a sei volte il valore del bene). La seconda è che è venuto meno ai suoi doveri verso il Carroccio: il termine previsto per i versamenti sotto forma di erogazione volontaria liberale è 60 giorni. Non risulta che Bossi abbia provveduto ad alcun versamento. Il bilancio ufficiale dei partiti, va detto, si chiude il 30 giugno, ma è prassi della Lega, come di altri, presentare gli stessi rendiconti alla Camera assieme alle “dichiarazioni congiunte”, il cui termine è scaduto il 31 marzo.
[GIRANDOLA IMMOBILIARE]
Case, case, case. Nello tsunami che ha travolto la Lega Nord, una voce di spesa non trascurabile è rappresentata proprio dalle case. Da ristrutturare – come il castelletto di Gemonio – in affitto («a Riccardo Bossi gli paghiamo gli affitti cash», dice la segretaria amministrativa Nadia Dagrada). E case comprate. Tra le operazioni immobiliari sulle quali i magistrati stanno facendo luce c´è l´acquisto di una cascina a Brenta, vicino a Gemonio, intestata a Manuela Marrone, moglie di Bossi, e regalata a Roberto Libertà, altro rampollo di casa. La first sciura leghista l´ha acquistata il 24 giugno 2011 da una signora milanese residente nel Varesotto con atto firmato a Cesano Boscone, nello studio di un notaio di fiducia. Niente mutuo, sconosciuto il valore della transazione. E se la cascina fosse stata acquistata col denaro proveniente dal lascito dell´anziana militante leghista? È la domanda a cui i magistrati cercheranno di dare una risposta.

La Repubblica 11.04.12

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“I soldi presi per la Festa del Garda? Iniziative per il turismo, anche con Bonet”, di Carmelo Lopapa

Bossi? Lo conosco bene, penso che sia inconsapevole di tutto, non aveva informazioni corrette, lui è onesto. Con Belsito avremo preso si e no tre caffè in tre anni, come colleghi sottosegretari, mai pranzato con lui. L´imprenditore veneziano Stefano Bonet sostiene di averlo conosciuto solo per ragioni professionali. Col tesoriere leghista Francesco Belsito dice di aver preso tre caffè e nulla più, da «collega sottosegretario» del governo Berlusconi. La storia dell´acquisto del simbolo del Carroccio da parte di Berlusconi per coprire i debiti della Lega la respinge con forza: «Leggenda ridicola». Aldo Brancher resta tuttavia il trait d´union tra il Cavaliere e il Senatur. Appena sfiorato (e non coinvolto) dagli atti dell´inchiesta in corso sui conti lumbard.
Come è potuto avvenire tutto quello che sta emergendo, alla corte di Bossi?
«Lo conosco bene, Umberto. E penso che su queste storie non abbia avuto informazioni corrette. Era inconsapevole di tutto. Lui è onesto e rigoroso. Di altro e altri non so».
Negli atti dell´inchiesta si parla di «qualificate relazioni politiche» tra lei e Bonet. Le può chiarire?
«Bonet l´ho conosciuto nella sua qualità di titolare di una società, la Polare, riconosciuta anche dal ministero dell´Università. Ho parlato con lui, certo, perché sono presidente di un fondo gestito dai comuni di confine attraverso il quale si punta a ottenere finanziamenti pubblici, anche dall´Unione europea. E la sua società conosce meglio di altri quali percorsi seguire, quali master plain presentare per accedere a quel genere di fondi».
Sembra le sia stato utile. Si parla di una sponsorizzazione di 150 mila euro per la Festa del Garda.
«Io abito sul Lago di Garda. E il mio sogno è incrementare il turismo nella zona, anche attraverso la realizzazione dei 160 km di pista ciclabile attorno al Lago. Abbiamo creato l´associazione “Lago di Garda tutto l´anno» organizzando parecchie iniziative attraverso quattro società. E la Polare di Bonet, che ha preso a cuore il territorio, è solo uno dei 15 sponsor che ha versato finora 100 mila euro. Saranno nel tempo 600 mila. Ma è solo uno degli sponsor. Il fatto che il mio nome venga in qualche modo tirato fuori mi fa pensare che sia davvero un perseguitato dalla giustizia».
Aveva rapporti più frequenti invece col tesoriere Belsito, a quanto sembra.
«Macché. Eravamo entrambi sottosegretari. Sì e no avremo preso tre caffè in tre anni. Ma mai pranzato con lui, se può interessare».
Di lei si parla invece come mediatore tra Berlusconi e Bossi. Cosa può dire del presunto acquisto del simbolo della Lega per coprire i debiti del Carroccio, nel 2000?
«Non mi risulta. È una storia ridicola. Bossi è tutto fuor che stupido. Ma vi pare che abbia mai potuto ipotecare quel simbolo che per lui è la vita? Neanche in coma avrebbe mai firmato un atto di quel genere. Io sono amico di entrambi, ci siamo incontrati spesso insieme, ma abbiamo sempre parlato di cose serie, di affari mai».
Avrà sentito Bossi dopo le dimissioni. Come lo ha trovato?
«Lui è una roccia, solida, non friabile».
Sopravviverà anche a questo?
«Che dire, me lo auguro…»

La Repubblica 11.04.12