attualità, politica italiana

"Finanziamenti pubblici", di Vincenzo Cerulli Irelli

Le notizie che provengono in questi giorni da fatti di malfunzionamento della finanza dei partiti, sprechi, assenza di controlli, spesso distorsioni delle spese da quelle attinenti l’attività politica, hanno messo in allarme l’opinione pubblica e rendono necessario da parte delle forze politiche un rapido e incisivo intervento di riforma.
Si deve aver chiaro che la legge attualmente vigente, adottata nel 1999 e modificata nel 2006, è diretta a disciplinare il rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie, non a finanziare i partiti politici nel loro funzionamento. La precedente legge di finanziamento dei partiti (n. 195/74) fu abrogata, come è noto, dal referendum del 1993.
Il legislatore trovò attraverso il rimborso per le spese elettorali un modo per arrivare a un risultato simile a quello cui direttamente non si poteva più arrivare, cioè appunto il finanziamento dei partiti. A questo fine il meccanismo di rimborso delle spese elettorali è stato tenuto negli anni a livelli assai più alti di quelli che il suo oggetto, cioè le spese elettorali effettivamente sostenute, richiederebbe. L’ancoraggio del rimborso, nell’ultima versione, alla moltiplicazione di un euro per il numero dei cittadini iscritti nelle liste per le elezioni della Camera, da corrispondersi in rate annuali, ha prodotto negli anni un surplus di risorse finanziarie nelle mani dei partiti. Il dato emerso dall’ultima relazione della Corte dei conti, che i giornali hanno ampiamente diffuso, che in termini globali evidenzia un divario tra le spese effettivamente sostenute (circa 500 milioni di euro dal 1994 al 2008) e i contributi statali erogati (oltre 2 milioni e 200 mila euro), ha impressionato l’opinione pubblica. Ciò al di là del fatto che queste somme siano state spese correttamente, cioè per il funzionamento dell’attività politica come probabilmente è avvenuto nella gran parte dei casi, ovvero per scopi personali, addirittura per appropriazioni a carattere delittuoso, come è avvenuto in determinati casi.
È emerso anche il fatto, in gran parte non conosciuto dalla opinione pubblica, che la spendita dei finanziamenti erogati dallo Stato a titolo di rimborso per le spese elettorali ma in verità per il finanziamento dei partiti, avviene sostanzialmente in assenza di controlli, se non il controllo generico sui rendiconti, dietro ai quali tuttavia si celano molteplici atti di spesa non soggetti a controllo. E sul punto emerge prepotente il rilievo, che ha anche un evidente valore giuridico e costituzionale, che queste somme erogate ai partiti sono denaro pubblico, così come tutte le altre somme destinate al funzionamento della pubblica amministrazione. E il denaro pubblico, come patrimonio della collettività, non può essere per principio sperperato; e al controllo che questo sperpero non avvenga presiedono apposite istituzioni, come la Ragioneria dello Stato o la Corte di conti, che viceversa in questa materia sono assenti.
Però, dietro questi fatti e l’esigenza che indubbiamente essi suscitano di una rapida riforma, si nasconde un tema assai serio, la cui serietà rischia di venire stravolta dalle polemiche e dagli scandali. I partiti politici, anche sulla base della Costituzione, sono istituzioni alle quali tutti i cittadini hanno diritto di partecipare, che svolgono la funzione pubblica fondamentale di elaborare gli indirizzi dell’azione di governo, di partecipare attraverso le competizioni elettorali all’individuazione dei titolari delle cariche di governo; di determinare la politica nazionale, afferma incisivamente l’articolo 49. Sarebbe affermazione troppo ovvia, che senza partiti politici, plurimi e in lotta tra loro per la conquista del potere e per l’affermazione dei rispettivi programmi di governo, la democrazia non esisterebbe. E perciò ritenere che alla vita dei partiti, al loro corretto funzionamento, al fine di assicurarne gli obiettivi nell’interesse generale della società, la finanza pubblica non debba contribuire, è cosa non facilmente accettabile.
Lo Stato finanzia molteplici istituzioni, pubbliche e anche private, nell’economia, nel sociale, nella cultura, nello sport. Non si vede perché lo Stato non possa finanziare i partiti che ne costituiscono l’ossatura fondamentale. Ma a tal fine occorre che la legge dello Stato a sua volta garantisca l’assetto organizzativo dei partiti secondo i chiari principi posti dalla Costituzione. Una volta che la norma costituzionale venisse attuata, sarebbe del tutto agevole reintrodurre in forme corrette e ovviamente in termini contenuti, un finanziamento ai partiti chiaro e trasparente per il loro funzionamento, del quale ovviamente i partiti stessi sarebbero chiamati a rendere conto.
Mentre tutt’altra cosa è il rimborso delle spese elettorali, che in quanto tale non può che essere rapportato a fatti concreti e documentati, cioè alle spese effettivamente sostenute dai partiti (a parte quelle che i singoli candidati o i partiti stessi si procurino da fonti private) nelle singole consultazioni elettorali.
A fronte di questo quadro, occorre procedere per successivi passaggi. Il primo è quello che pare sia stato avviato nel vertice di ieri tra i partiti della maggioranza che sostiene il governo; cioè, nella sostanza, introdurre con efficacia immediata un sistema di controlli credibile circa tutti gli andamenti della spesa interna dei partiti, disciplinare le regole per il finanziamento da fonti esterne, e così via. Ma il secondo passaggio è quello più delicato perché riguarda la legge sui partiti, attuativa della Costituzione, quella che ne garantisca l’organizzazione interna e il funzionamento secondo regole democratiche e trasparenti, che potrebbe consentire la reintroduzione di forme palesi di finanziamento, senza incontrare le difficoltà poste dal vecchio referendum. Il terzo passaggio è quello della nuova disciplina dei rimborsi che non potrebbe che rispondere al criterio ovvio della corrispondenza tra spese effettuate e contributi erogati.
Io non credo nella propaganda circa la non fiducia dei cittadini nei partiti (o come anche si dice, nella politica). I cittadini sono arrabbiati proprio perché hanno bisogno dei partiti e ne vorrebbero di migliori al fine di partecipare alle scelte della politica nazionale. Ma occorre che i partiti facciano chiarezza su sé medesimi e assicurino che le loro scelte interne, particolarmente quelle che toccano la tasca dei cittadini, siano pubbliche e trasparenti.

L’Unità 13.04.12

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“Non tutti i dem soddisfatti”, di Rudy Francesco Calvo

«Finanziare i partiti è un fatto di democrazia». Pier Luigi Bersani tiene ferma la barra e ricorda che «entro il 2015 i partiti in Italia riceveranno meno fondi e si adegueranno a quelli che vengono considerati parametri ordinari a nazioni come quelle citate». Dentro il Pd, però, c’è chi pensa (e non sono pochi) che si sarebbe dovuto fare di più. Subito, senza aspettare la legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione.
Roberto Giachetti ha già preparato una propria proposta, che prevede che dalla prossima legislatura solo i partiti che accedono in parlamento possano avere una quota, ridotta rispetto a quella attuale, di finanziamento pubblico, per evitare le pressioni lobbistiche. A questa si aggiunge la possibilità di partecipare all’assegnazione del cinque per mille, estesa anche agli altri partiti. «Non si può dire a tutti gli italiani che bisogna fare sacrifici – spiega il deputato dem – anche i parlamentari nel loro piccolo si sono tagliati gli stipendi e invece i partiti difendono lo status quo. Solo facendo qualcosa, si possono respingere le pulsioni dell’antipolitica».
Ettore Rosato, tesoriere del gruppo Pd alla camera, ricorda che la riduzione dei fondi è già prevista e precisa: «Non è vero che i partiti utilizzano solo in piccola parte le risorse assegnate. Ciò avviene solo negli anni in cui non si vota, ma il surplus compensa le spese maggiori effettuate in campagna elettorale».
Per Salvatore Vassallo l’accordo rappresenta «solo un piccolo passo». L’esponente di MoDem contesta il fatto che «una non meglio specificata attività di controllo sia affidata a un organismo sui generis e che le eventuali sanzioni siano messe nelle mani di quegli stessi presidenti delle camere che fino a oggi non hanno vigilato».
Un’affermazione derubricata da Gianclaudio Bressa come «a titolo personale». Più ampia è l’analisi di Walter Verini: «Dal Lingotto in poi, abbiamo sempre sostenuto la necessità di ridisegnare il profilo dei partiti, riducendone i costi, certo, ma soprattutto lasciandoli fuori da campi che non sono di loro competenza. Non si recupera la stima dei cittadini tagliando i finanziamenti e continuando a nominare cda e dirigenti delle Asl. Su questo bisogna intervenire».

da Europa Quotidiano 13.04.12