partito democratico, politica italiana

“Chi non vuole l’alternativa”, di Alfredo Reichlin

Ci risiamo? Ciò che io mi chiedo è se non stiamo chiudendo gli occhi di fronte ai rischi (o forse solo le tentazioni) di uscire dalla crisi del Paese e dal collasso dei due partiti della destra (l’asse di governo Berlusconi-Bossi) con una avventura antiparlamentare.
Molte cose spingono in questa direzione Una crisi economica che getta nella disperazione milioni di persone al punto che si moltiplicano i suicidi e il fango gettato ossessivamente, ogni giorno e ogni ora, sui partiti politici dipinti come tutti ladri e tutti uguali, sta creando una miscela esplosiva.
È evidente ed è sacrosanta l’indignazione per i fatti di corruzione. Ma è solo di questo che si preoccupa un certo establishment che nuota nell’oro? Mi colpisce molto il fatto che per questa gente e per i loro giornali non va più bene nessuna riforma sul finanziamento pubblico ai partiti. Vogliono altro. Che cosa? Che vuole l’oligarchia, parola troppo vaga di cui mi scuso ma con la quale intendo non tutto ciò che esercita il potere e che continua a garantire l’ordine democratico (compreso, sia ben chiaro, il governo attuale), ma quell’intreccio di cose e di consorterie, compreso il controllo pressoché esclusivo del circuito mediatico? Io ho la spiacevole impressione che la storia italiana e della sua classe dirigente si ripeta. Parlo della storica incapacità di questa di accettare come normale un possibile ricambio democratico a fronte del collasso del suo vecchio strumento di governo. Ciò che è avvenuto in altri passaggi (ricordate l’atteggiamento del vecchio Corriere della Sera di Albertini di fronte alla crisi dello Stato liberale nel primo dopoguerra?).
Al fondo è di questo che si tratta oggi in Italia. Si tratta del crollo impressionante in un mare di vergogna dell’asse di governo Berlusconi-Bossi al quale non i cosiddetti «politici» (noi almeno no) ma l’oligarchia politica-affaristica-mediatica dominante, avevano affidato il compito di governare. Si tratta del mondo «loro», non nostro. No, cari signori, i partiti non sono tutti uguali ed è l’asse politico che ha governato il Paese che ha fatto vergognoso fallimento.
No, i partiti non sono tutti uguali. È il partito della destra che ha comprato i deputati necessari alla maggioranza, ha corrotto i giudici, ha dichiarato che pagare le tasse è un furto, ha detto che col tricolore «ci si puliva il culo». Ha imposto alla maggioranza parlamentare di votare solennemente, nell’aula storica di Montecitorio, che la signorina Ruby era effettivamente la nipote di Mubarak. Hanno insomma portato l’Italia sull’orlo del baratro. È vero, perfino il Corriere della Sera ha storto il naso, ma alla fine. Per anni il sostegno fu pieno, certo con
il distacco dei grandi professionisti. All’inizio di tutto resta la frase lapidaria con cui l’avv. Agnelli incoraggiò la «scesa in campo» di Berlusconi: «Vada pure, perché se perde perde lui, se vince vinciamo noi». E infatti si sono coperti di soldi. Più del Trota, più delle spese personali di Rosi Mauro. Figurarsi se io non penso che la gente ha ragione di indignarsi. È giusto. Ma c’è qualcosa che non torna. Ed è questa la questione che sollevo. Perché la sola ipotesi che il partito di Bersani (questo pericoloso sovversivo) possa vincere le prossime elezioni sta creando tanta paura e tanta agitazione in un certo mondo? Mi permetto di ricordare a giornalisti e a persone che pure stimo che il Corriere di Albertini sparò a zero su Giolitti ma, di conseguenza, si beccò Mussolini. Io non chiedo sconti per gli errori e del debolezze del Pd. Chiedo però a un certo mondo in cui, ripeto, ci sono tanti che stimo, qual è oggi, per loro il nemico? I partiti?
Maquali partiti? La fungaia di partiti e partitini personali che si moltiplicano di giorno in giorno, da Beppe Grillo a De Magistris, trovano simpatia. Allora è il partito che non va, cioè quello strumento reale che bene o male organizza la gente, dà anche ai poveracci una voce e una volontà collettiva, consente che anch’essi possano contare ai massimi livelli della vita statale. È questo che non va? Non va che il Pd sia ormai il solo partito che vive nella società tutti i giorni e tutto l’anno, che vota al suo interno, che ha degli organismi dirigenti e che il suo segretario sta lì, al vertice, ma pro-tempore?
Sottopongo queste mie considerazioni a tutti, anche a uomini come Rodotà e Zagrebelky, a Umberto Eco e Amato, come a Scalfari, Tronti, Claudio Magris, e tanti altri. Cioè a quelli che fanno le opinioni democratiche. Forse io esagero ma non facciamo l’errore di svegliarci troppo tardi. E poi teniamo ben presente il mondo in cui viviamo. Si è rotto un ordine europeo e mondiale. La crisi e al tempo stesso la potenza e la ferocia distruttiva della ricchezza finanziaria senza limiti che sconvolge il mondo, comprese le nude vite delle persone, è impressionante.
La mente corre agli anni ’30. L’analogia è evidente. Quella crisi e quel passaggio vide una doppia soluzione: da un lato il compromesso democratico e il grande patto sociale con Roosevelt in America e le socialdemocrazie in Europa; dall’altro la stretta autoritaria, Mussolini, Hitler, la guerra.
La crisi della politica è gravissima, è reale, ma viene da qui. Stiamo attenti alla risposta che diamo.

da L’Unità

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“Il conformismo di Libertà e Giustizia”, di Michele Prospero

Non sembra esserci ancora, tra le forze intellettuali e i movimenti della società civile, la piena consapevolezza dei rischi involutivi, davvero spaventosi, che corre la democrazia in Italia. Il comunicato che «Libertà e Giustizia» ha diramato l’altro giorno è un preoccupante segno dei tempi tempestosi che possono travolgere le istituzioni, senza incontrare argini efficaci. Se una delle espressioni più note della cosiddetta società civile riflessiva non trova di meglio che parlare di un «malloppo» da sottrarre ai partiti, naturalmente tutti dipinti come potenziali ladroni, è meglio non immaginare il livello di altre metafore. E dire che, solo qualche settimana fa, l’associazione si era espressa con ben altri termini (e toni) sui problemi della crisi e della riforma della politica. Ora, al posto della pacatezza dell’analisi, affiora una repentina inversione di marcia che suggerisce di adottare uno sbrigativo linguaggio agitatorio. Il cuore del breve documento di «Libertà e giustizia» è infatti racchiuso nel brano seguente. «Tutti i partiti sono diventati delle scatole che valgono solo per la merce che contengono: i soldi dei cittadini».
Se così parlano autorevoli giornalisti e fini costituzionalisti, figuriamoci quale linguaggio coverà nel ventre più molle del Paese. Se un’antipolitica così radicale accomuna ceti intellettuali e strati marginali, non c’è da stare molto rilassati su ciò che potrebbe accadere tra breve. Lascia davvero molto riflettere che «Libertà e Giustizia» trovi così naturale accodarsi al conformistico clima distruttivo odierno. È più agevole cavalcare la tigre dell’antipolitica che lavorare (criticamente) al fianco dei partiti più impegnati per un approdo di tipo europeo alla insidiosa transizione in corso. La minacciosa onda dell’antipolitica potrebbe sconvolgere presto ogni cosa. È inutile e ipocrita perciò concludere invocando la mano esperta di uno statista per impedire la frana. Dove pescarli gli statisti se il giochino abituale è quello per cui i partiti sono tutti uguali, complici del malaffare? L’illusione che dal cilindro dei media esca magicamente un politico di riserva, da porre alla testa di una qualche lista civica, non porta molto lontano. Per questo il comunicato ha un qualcosa di tristemente tragico.

da L’Unità