lavoro

"Sugli esodati il sindacato resuscita, sotto accusa finiscono governo e Inps", di Mariantonietta Colimberti

Ieri manifestazione unitaria a Roma. Bersani: «In nessun posto d’Europa esistono casi del genere»
Si erano ricompattati all’improvviso, dopo il gelo seguito alle battute conclusive del negoziato sul lavoro, quando Camusso si era ritrovata isolata col suo “no” alle linee della riforma Fornero. Il terreno dell’unità recuperata era stato, da subito, il problema dei cosiddetti “esodati”, di quelle decine (o centinaia, secondo la Cgil, ma non solo) di lavoratori che avevano accettato una fuoriuscita incentivata dal lavoro, o erano finiti in mobilità a seguito di accordi aziendali collettivi e similari, ma che dopo la riforma Fornero si erano ritrovati con un numero x di anni davanti prima di poter accedere alla pensione. Un problema vero, concreto, a segnalare il quale si erano spesi anche molti esponenti del Pd.
In un primo momento il governo era apparso poco recettivo sul punto, ma successivamente in più occasioni il ministro del lavoro aveva affermato la volontà di affrontare la questione, anche attraverso un tavolo ad hoc. La difficoltà reale, sottolineata da Fornero, riguardava la quantificazione degli aventi diritto ad accedere al trattamento pensionistico secondo le vecchie regole. Giovedì sera, alla vigilia della manifestazione di Roma, il ministero comunicava che il tavolo tecnico (ma i sindacati lamentano di non essere stati mai convocati sul tema) aveva accertato che il numero delle persone interessate è di circa 65mila e pertanto l’importo finanziario individuato dalla riforma delle pensioni, attuata col decreto Salva-Italia, «è adeguato a corrispondere a tutte le esigenze senza dover ricorrere a risorse aggiuntive».
Apriti cielo. Il comunicato del ministero è stato subito coperto da smentite, precisazioni e qualche improperio. Da dove venivano fuori quei numeri? La Cgil aveva sempre parlato di quasi 350mila esodati, ma le stime di Cisl e Uil non differivano di molto. L’Inps, dal canto suo, dichiarava una stima di 130mila lavoratori in uscita in quattro anni. Qual è la verità? Chi sta dando i numeri? In realtà nel comunicato del governo – come fa notare il numero due della Cisl, Giorgio Santini – si legge anche che il ministro sta valutando, «per specifiche situazioni e con criteri analoghi, l’ipotesi di un intervento normativo per trovare soluzioni che consentano ai lavoratori interessati da accordi collettivi stipulati in sede governativa entro il 2011, comunque beneficiari di ammortizzatori sociali finalizzati all’accompagnamento verso la pensione, di accedervi secondo le previgenti regole». Dunque, il discorso non è chiuso, il ministero sa che i numeri sono superiori. La quantificazione degli aventi diritto dipende dai criteri adottati: «Questi criteri vanno aggiornati – spiega Santini – aprendo un tavolo negoziale».
Le varianti sulle quali occorre ragionare riguardano i lavoratori non in mobilità prima della data-spartiacque stabilita dal governo (31 dicembre), ma firmatari di accordi in tal senso; i licenziamenti individuali di persone che avrebbero maturato la pensione nei successivi x anni (2, secondo il governo, almeno 3 o 4 secondo il sindacato); i lavoratori incentivati dall’azienda alla contribuzione volontaria, un numero, questo, altissimo (un milione 400 mila), ma evidentemente non da ricomprendersi in toto nella legge da venire.
Il problema, dunque, è aperto e una soluzione andrà trovata: Pier Luigi Bersani ha detto che «in nessun posto d’Europa esistono casi nei quali uno si ritrova a 58-60 anni senza pensione, senza salario e senza ammortizzatori » e l’ex ministro Cesare Damiano propone una clausola di rifinanziamento automatico qualora si presentino situazioni non coperte dalle risorse stanziate. La manifestazione sindacale di ieri è riuscita, anche nei suoi aspetti più folkloristici (Sabina Guzzanti ha sfilato travestita da Marcegaglia), c’era anche la Fiom e non ci sono state contestazioni verso nessuno. E questo è un fatto positivo.
Le confederazioni saranno ancora insieme il primo maggio a Rieti e non è esclusa una successiva iniziativa unitaria sul fisco. Questa ripresa di protagonismo del sindacato contro il governo, abbinata alle contestazioni che il governo sta incontrando con Pdl e Confindustria sulla riforma del mercato del lavoro, segnalano un problema potenziale per l’esecutivo. Non è un caso che il Corriere della Sera nell’editoriale di ieri abbia voluto ricordare a tutti, soprattutto imprenditori ed ex ministri, da dove veniamo, perché sia chiaro che il governo Monti «non è il male minore, ma l’unico traghetto di cui disponiamo ». Per concludere con un ammonimento: «Se fallisce lui…».

da www.europaquotidiano.it

******

“Esodati, ora il tempo stringe”, di Achille Passoni
È una vicenda “strana” questa dei numeri sugli esodati. Dopo settimane nelle quali sono circolate cifre di ogni grandezza, con i risultati del tavolo tecnico predisposto da Fornero si è tornati ai 65 mila. Numero con cui si era partiti, peraltro alla vigilia della manifestazione dei sindacati, cosa che, lo confesso, nella mia precedente vita di sindacalista mi avrebbe fatto innervosire alquanto. Una questione che poteva e doveva essere risolta subito si è trascinata, così, sino ad oggi, lasciando che migliaia di persone vivessero una situazione di drammatica ansia e incertezza per il proprio presente e futuro, attanagliati dalla paura di restare senza pensione e senza reddito.
Parliamo di lavoratori che rivendicano semplicemente i loro diritti. Persone che hanno lavorato per tanti anni e che a causa di una crisi o ristrutturazione aziendale sono state costrette a lasciare anzitempo il posto di lavoro, nella certezza che a distanza di pochi e certi anni sarebbero approdate alla pensione. E invece, con la riforma della previdenza, si sono trovate spostata – e di molto – in avanti l’età per accedere alla pensione, col risultato di restare senza alcun reddito. In sostanza, lo stato ha cambiato loro le regole in piena corsa: cosa questa inconcepibile sempre, addirittura intollerabile quando in gioco vi è la sussistenza di migliaia di famiglie.
Tornando ai numeri, pur non disponendo di tutti gli strumenti tecnici dell’Inps e del ministero, ma semplicemente monitorando il mio collegio elettorale e non solo, ho sempre pensato che il numero di cui si parlava – 350mila – fosse davvero esorbitante. Allo stesso modo tuttavia, qualche dubbio mi resta anche sulla reale entità del dato fornito l’altro ieri dal ministero. Ma soprattutto, non riesco a capire per quale ragione si è fatto passare tutto questo tempo.
Questo tavolo tecnico che si è aperto dieci giorni fa non poteva essere istituito subito? E l’Inps, così informatizzato ed efficiente, ha avuto bisogno di mesi per prepararsi a sedersi al tavolo? Possibile, alla luce di quanto accaduto, che il presidente dell’Inps non senta anch’egli una qualche responsabilità per questo tempo infinito? Già qualche settimana fa, nel corso di un’audizione in commissione lavoro al senato, avevo chiesto al dottor Mastrapasqua perlomeno una stima delle cifre sulle quali l’Istituto stava lavorando. Ma niente, non ho ricevuto risposte. E intanto il tempo passava.
Adesso che finalmente il dato è arrivato, giusto o sbagliato che sia, c’è soltanto una cosa da fare: il ministro convochi i sindacati, metta a disposizione i risultati dello studio e predisponga subito un provvedimento per risolvere alla radice e per tutte le tipologie di lavoratori coinvolti questa coda velenosa della riforma previdenziale. E quell’incontro affronti e risolva anche un’altra questione che sta creando problemi serissimi ad altre migliaia di famiglie, ovvero quella delle ricongiunzioni onerose.
Mi riferisco alla legge 122 del 2010 del governo Berlusconi, che ha eliminato la possibilità di trasferire gratuitamente all’Inps la contribuzione versata in fondi diversi, rendendola onerosa. Anche qui, lo stato si mostra inaffidabile e irresponsabile perché determina, con improvvise e improvvisate norme finalizzate unicamente a far cassa a tutti i costi, conseguenze pesantissime per tantissimi lavoratori.
Lavoratori “colpevoli” di essere passati, assai spesso per scelte obbligate dalle aziende nelle quali lavoravano, dal pubblico al privato (ad esempio a causa di privatizzazioni e processi di esternalizzazione) pur non cambiando mai lavoro e azienda. A causa di questo voltafaccia dello stato, ora quella “colpa” costerà a migliaia di lavoratori il versamento all’Inps di cifre enormi, anche centinaia di migliaia di euro, per poter ottenere la ricongiunzione.
Ovviamente, su entrambi i fronti, il fattore tempo è assolutamente decisivo: il governo deve ascoltare e dare una risposta immediata e positivamente risolutiva alle richieste emerse dalla manifestazione unitaria di ieri dei sindacati.

da www.europaquotidiano.it

1 Commento

    I commenti sono chiusi.