attualità, partito democratico, politica italiana

"Bersani a Monti: ora la crescita", di Maria Zegarelli

Intervenendo alla convention di Area Democratica il segretario Pd fissa le priorità in vista del vertice con Monti: misure per sviluppo e occupazione, allentamento del Patto di stabilità per i Comuni, legge sui partiti. Crescita e lavoro, liquidità per i Comuni attraverso un allentamento del Patto di stabilità, pochi ma mirati interventi per la riforma del mercato del lavoro senza stravolgerne l’impianto: sono queste le priorità del Pd in vista del vertice di martedì con il premier Mario Monti e i leader di Pdl e Terzo Polo, Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini.
Ad annunciare quale sarà la linea è lo stesso segretario Pier Luigi Bersani intervenendo alla convention di Areadem a Cortona, occasione per rispondere anche a quanti, sulla scia degli scandali, chiedono l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. «Siamo disposti anche a spostare la tranche di luglio», spiega. Ma «non andremo a battere cassa alle buonuscite dei supermanager né a bussare alla porta dei palazzinari». Pronti a ridiscutere il quanto, «tenendo ben presente che i finanziamenti sono stati già dimezzati», ad accelerate il ddl che ne garantisca trasparenza, ma contrari all’abolizione.
IL BRACCIO DI FERRO
Quanto all’incontro di martedì con il premier, il segretario si dice pronto anche «a derubricare la parola crescita che dà idea di riforme strutturali e politica industriale. Diamo un po’ di lavoro in giro, non per invertire la recessione, ma per limitarla». Una risposta immediata potrebbe essere l’allentamento del Patto di stabilità. «I Comuni non sanno che pesci prendere e con questo meccanismo non pagano gli stipendi come mi ha spiegato poco fa proprio Piero Fassino», avverte il segretario, mentre il sindaco di Torino prevede che «con la rateizzazione dell’Imu i Comuni non saranno in grado di chiudere i bilanci».
Sarà un vertice lungo e complesso, considerati i nodi da sciogliere, il segretario Pd andrà con le sue proposte e illustrerà i punti di caduta accettabili sulle questioni aperte, ma ad Alfano anticipa qualche titolo: «Voglio dirgli che neanche a me piace l’Imu e infatti noi avevamo una proposta diversa: un’Imu più leggera e una tassa sui grandi patrimoni immobiliari. Ne vogliamo parlare? Noi siamo pronti». E promette: «Quello che non ci hanno fatto fare adesso noi lo faremo dopo».
Imu e riforma del lavoro sono il terreno su cui si gioca il braccio di ferro tra i due maggiori partiti della “strana maggioranza”. Fibrillazioni nel Pdl dopo le dichiarazioni di Tiziano Treu e Cesare Damiano. Scintille quando Bersani affonda: «Chiedo a tutti noi di non accettare che la memoria si faccia troppo corta e che le cose vengano raccontate in modo diverso da come sono. Il governo Monti non è venuto dopo i partiti, è venuto dopo Berlusconi, e se noi siamo a questo punto è perché è stato il governo Berlusconi a portarci qui».
Troppo comodo per gli azzurri, «cercare di mettersi al riparo» in vista del 2013. «Politicamente siamo noi in una situazione piuttosto scomoda», ammette il segretario nel pieno delle mediazioni su riforma del lavoro e legge elettorale. «C’è malumore e sofferenza nel Paese che derivano da una doppia crisi, la più grave crisi economica dal ’29 e la più grave crisi di credibilità della politica dal ’92». E in questo humus, avverte, «sotto la pelle abbiamo di nuovo dei populismi in cerca d’autore e degli apprendisti stregoni che pensano di coltivare e fomentare l’antipolitica, pensando che via la politica arrivi comunque qualcuno in doppiopetto e garbato. Stiano attenti: non è così».
UNA LUNGA MARCIA
Di tempo non ce n’è molto: «Si deve intraprendere una lunga marcia di ricostruzione di una democrazia riformata», e non può essere soltanto un problema del Pd, riguarda tutti i partiti. «Ma noi non ci stiamo a che si mettano tutti nel mucchio». Sfida Alfano a portare fino in fondo le riforme e conferma la linea tracciata da Dario Franceschini: se entro maggio non si arriva all’approvazione in prima lettura al Senato «è evidente che non ci sono i tempi per la riforma costituzionale. Noi siamo per andare avanti, diciamo quale è il nostro punto di caduta, adesso lo dicano gli altri».
L’immagine che rimanda Cortona è quella di un partito che discute ma «è solido», come dice Franceschini. «Grazie a Dario e a Areadem perché lavorate lealmente per la ditta», sottolinea Bersani. E la ditta sa bene quale sia la vera battaglia da vincere: l’antipolitica.
Lo ribadiscono nei loro interventi, tra gli altri, anche Giuliano Amato, Pierluigi Castagnetti, Ettore Rosato, Piero Fassino. Riconquistare la fiducia degli italiani è importante tanto quanto vincere le amministrative.

L’Unità 15.04.12

******

Bersani: “Riduciamo i rimborsi ai partiti Ma basta populismo”, di Carlo Bertini

«Non cederò all’antipolitica e a chi vuole mettere tutti nello stesso mucchio». Il segretario Pd: “Già nel 2015 verranno dimezzati e le quote saranno più basse di Francia e Germania”. Io sono disposto a inserire nella norma sulla trasparenza non solo il congelamento dell’ultima tranche di luglio, ma anche una riduzione dei rimborsi. Ma bisogna pur dire che il dimezzamento dei fondi ai partiti è stato fatto e che nel 2015 arriveranno a essere la metà, 145 milioni di euro rispetto ai 285 e passa del 2008. Per me va bene fare ancora di più, ma se non mettiamo tutti un argine a questa ondata di antipolitica non basterà neanche questo». Di fronte alle pressioni che montano fuori e dentro il suo partito, dove personalità come Fassino, Fioroni o Castagnetti chiedono di battere un colpo subito, Pierluigi Bersani capisce che è il caso di rompere gli indugi e ammette che l’entità delle risorse ai partiti va ridotta. Ma non si spinge a seguire la Lega e l’Idv nella rinuncia alla quota annuale che i partiti dovrebbero incassare a breve. Il segretario del Pd non lo può dire chiaro e tondo, ma ci pensa il tesoriere Antonio Misiani sul Fatto Quotidiano ad ammettere che in pratica quei fondi sono già impegnati, che il partito ha un disavanzo di 43 milioni di euro e senza quei soldi «chiuderebbe» i battenti. Il timore non detto invece è non avere mezzi adeguati per affrontare la campagna elettorale del 2013 ed è questo a sconsigliare le rinunce che altri possono permettersi di sbandierare.
E’ ben consapevole Bersani che dopo gli ultimi scandali nel paese monta l’indignazione, che la gente arriva a minacciare di non pagare l’Imu fino a quando non verranno asciugate le casse dei partiti. E prima di dire la sua al convegno di Cortona, in privato si sfoga «perché lo so bene che ci sono queste spinte qui, vado in giro e mi dicono le stesse cose. Ma non c’è modo di frenarle se non con un processo collettivo. E sono pure pronto a rispondere ok, tagliamo ancora i nostri fondi, ma prima voglio che qualcuno mi dica ben chiaro se il concetto di democrazia va tutelato o no».
Forse sarebbe il caso di ammettere che i cosiddetti rimborsi elettorali in realtà sono usati anche per mantenere le strutture dei partiti, sedi e dipendenti, tutto l’anno? «E’ vero, bisogna chiamarli col loro nome, finanziamento pubblico e dire che serve per garantire una vita ai partiti e alla democrazia». E se gli si fa notare che con quei cento e passa milioni di euro della famosa ultima tranche di luglio si potrebbe magari reintrodurre il tempo pieno nelle scuole materne, il leader Pd si rabbuia. Perché se si vogliono usare argomenti del genere, reagisce, «anche con le liquidazioni d’oro di dieci supermanager si potrebbero fare tante cose utili. Ma qui il rischio è che entro sei mesi ci troveremo di fronte ad un bivio tra nuove forme di populismo e una riscossa civica che porti tutti, tutti, cioè politica, classe dirigente, commentatori e pubblica opinione, a stabilire la difesa di certi valori. Capisco che ciò vuol dire andare controcorrente, ma non cederò all’antipolitica e non ci sto che i partiti vengano messi tutti nello stesso mucchio».
E se in privato se la prende con le campagne dei media che cavalcano la rabbia popolare, davanti ai dirigenti di AreaDem, Bersani articola così le sue paure: «Viviamo la più grave crisi economica dal 1929 ad oggi e la più grave crisi della politica dal ‘92 ad oggi, tutte e due assieme. E badate che la tecnocrazia non può interpretare l’antipolitica in modo sanguigno. Qui ci sono populisti in cerca d’autore e apprendisti stregoni che credono di fomentare l’antipolitica, ma se pensano che dopo arrivi qualcuno in doppio petto si sbagliano. Da qui al 2013, o si rilanciano forme larvatamente populistiche o si intraprende una lunga marcia per ricostruire l’unità del paese. E noi non gonfieremo le nostre vele con un vento cattivo che non porta sulla buona rotta».
Ma dovendo dare qualche segnale tangibile su un tema così sensibile, il segretario Pd delinea questo percorso: «Partiamo con i controlli dei bilanci, i nostri sono già trasparenti, e al tempo stesso ragioniamo su forme e quantità dei finanziamenti, ma dentro un quadro di compatibilità con la vita dei partiti. Possiamo darci due mesi di tempo e usare la legge sulla trasparenza dove inserire anche due o tre articoli sulla democrazia interna dei partiti, per attuare già in quella sede pure l’articolo 49 della Costituzione. Ma oltre a fare presto, va raccontata la verità: il dimezzamento dei fondi è già in corso e a regime la quota pro-capite sarà più bassa che in Francia e Germania». E per rispondere indirettamente a Fini, Bersani chiude ai fondi privati, perché «ad una politica che si finanzi andando a battere cassa a grandi manager ed ereditieri io dico no e poi no».

La Stampa 15.04.12