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"Famiglie povere senza difesa perso il 12% del potere d'acquisto", di Filippo Santelli

Per loro il costo più alto della crisi. L’identikit della classe più svantaggiata: donne pensionate residenti al Sud. Di mille euro da usare per spese e bollette, 120 sono andati letteralmente in fumo. C’è un gruppo di famiglie italiane che dalla crisi non è mai uscito. Neanche nel 2010, anno in cui l’economia del Paese era tornata a crescere. Sono quelle più povere, costrette ad arrangiarsi con meno di mille euro al mese. Per lo più pensionati, molte donne, in gran parte residenti al Sud o nelle Isole. Il loro reddito disponibile, negli ultimi anni, non ha fatto che diminuire. Lo rivela un’analisi di tre ricercatori, Monica Montella, Franco Mostacci e Paolo Roberti, basata sui dati della Banca d’Italia e pubblicata sul sito lavoce.info. Nel biennio 2009-2010 il reddito delle famiglie italiane, al netto dell’inflazione, è di poco aumentato. Ma mentre per la classe media il recupero di potere d’acquisto è stato sensibile, il decimo più povero delle famiglie italiane lo ha visto scendere del 4,5%. Una caduta che sommata a quella del biennio precedente, del 7,5%, spinge il bilancio familiare per il periodo 2007-2010 in profondo rosso. Di 1000 euro da usare per spese e bollette quasi 120 sono andati persi.

L’IDENTIKIT
Per dare corpo ai numeri gli autori disegnano un profilo delle famiglie più svantaggiate. Quasi sei su dieci vivono al Sud o nelle Isole e sono formate da un solo componente. Nel 57,5% dei casi il capofamiglia è donna, un valore quasi doppio rispetto alla media italiana. Cittadini con un livello di istruzione basso: la metà non ha nessun titolo di studio o solo la licenza elementare. Ma ciò che più li accomuna è il vivere fuori dal mondo del lavoro. Esserne esclusi, come nel caso del 22% dei capifamiglia disoccupati, quando il dato complessivo per l’Italia non arriva al 4%. O esserne usciti: la metà di loro è in pensione.

MONOREDDITO
Da dove arrivano i soldi? Nella torta delle entrate delle famiglie la fetta più importante è quella degli stipendi, quasi il 40% del totale. Seguono pensioni e rendite, rispettivamente al 25 e al 22%. Se però isoliamo il gruppo delle famiglie più deboli la ricetta per arrivare a fine mese cambia. Il lavoro, autonomo o subordinato, conta appena per un quarto, mentre la quota dei trasferimenti netti si allarga, tra pensioni e sussidi, fino al 52%. Ma più ancora del “come”, sui bilanci domestici incide il “quanto”, la varietà delle fonti di reddito. In quasi tutte le famiglie più povere è solo uno dei componenti a guadagnare. Se in Italia le famiglie monoreddito sono molte, quasi la metà del totale, nel gruppo dei più svantaggiati arrivano a nove su dieci.

INVERSIONE DI TENDENZA
Tra il 2006 e il 2008 il potere d’acquisto delle famiglie italiane era sceso del 4,1%. Nei due anni successivi è tornato a crescere, dello 0,3%. Ma dell’inversione di tendenza hanno beneficiato soprattutto le famiglie a reddito medio, tra i 25 e i 35mila euro l’anno, che hanno visto le disponibilità di spesa aumentare di quasi il 2%. Così nel biennio l’indice di Gini, termometro delle disuguaglianze del Paese, è sceso di qualche decimo. “Ma quello è un valore complessivo”, spiega Franco Mostacci, uno degli autori della ricerca, “i dati scomposti per classi di reddito dicono di più”. Qualcosa di preoccupante rispetto al welfare italiano: “Fino al 2006 erano i più deboli ad ottenere i maggiori dividendi della crescita economica. Poi la tendenza si è invertita: la redistribuzione della ricchezza li ha sfavoriti”. Da tenere presente, in tempi di riforme delle pensioni e del lavoro.

La Repubblica 15.04.12