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"Strage di Brescia, ora il governo cancelli l'ultima ferita", di Mario Calabresi

a sentenza pronunciata ieri non chiude per sempre una storia di dolore cominciata il 28 maggio 1974 in una piazza del centro di Brescia. Non è l’ultima parola: non dobbiamo e non possiamo pensare di essere condannati a vivere nella nebbia e nei misteri. Ora la verità storica dovrà colmare le lacune della giustizia mancata. Molta strada è stata fatta, tanto che sono chiare responsabilità e complicità, ma molto resta da fare, perché dagli archivi dello Stato possono ancora uscire carte importanti per dare un quadro definitivo della stagione delle stragi.

Ma prima di ogni altra cosa il governo Monti deve cancellare un insulto: deve farsi carico delle spese processuali, al cui risarcimento sono stati condannati i familiari delle vittime. E’ una cosa intollerabile, che richiede un gesto forte e chiaro.

Non è la prima volta che accade: già nel 2005, al termine dell’iter giudiziario per la strage di Piazza Fontana, alle parti civili – anche allora rimaste senza giustizia – la Cassazione chiese di pagare i costi del processo. La sentenza fece scalpore, tanto che il governo Berlusconi decise di farsi carico di tutte le spese processuali, sottolineando di «considerare tale impegno come un atto di doveroso rispetto e di solidarietà per i familiari delle vittime». Anche oggi non resta che correre ai ripari per evitare una doppia ferita a chi ieri sera è tornato a casa svuotato e pieno di amarezza dopo decenni di battaglie dentro e fuori dai tribunali.
Certo questa beffa si sarebbe potuta evitare modificando la legge in modo da non ripetere scandali come questo.

La sentenza di assoluzione però non era inattesa, come racconta – intervistato da Michele Brambilla – il fondatore della Casa della Memoria di Brescia, Manlio Milani: «Sulle responsabilità personali le prove non erano sicure e capisco che i giudici vogliano certezze». Ma restare senza giustizia è doloroso e umiliante.

Questo processo però non è stato inutile, le oltre millecinquecento testimonianze raccolte negli anni e le centinaia di migliaia di pagine di documenti ci offrono un quadro di verità che va divulgato e consolidato: la strage di Piazza della Loggia fu pianificata e realizzata da estremisti di destra che godettero prima e dopo il massacro di complicità e coperture da parte di uomini dei nostri servizi segreti.

Perché questo quadro possa entrare nei libri di storia è ora fondamentale una sentenza che, pur assolvendo, sia capace nelle sue motivazioni di indicare i punti fermi a cui si è potuti giungere nel dibattimento. Per consolidarlo però è necessario l’intervento della politica che, come sottolinea Milani, deve ancora emanare i decreti applicativi della legge del 2007 sul segreto di Stato. Si potrà così capire se esistono ancora armadi da aprire capaci di rischiarare definitivamente la stagione delle stragi.

E’ fuori dai tribunali e dal Parlamento però che dovrà continuare la battaglia più importante, quella per tenere viva la memoria, per non lasciar sprofondare il Paese nell’ignoranza e nel disinteresse.

Pochi giorni fa sono stato al liceo Majorana di Moncalieri dove i docenti di storia hanno fatto un’indagine tra gli studenti per capire che percezione avevano degli Anni di Piombo. Hanno chiesto a 278 di loro chi fossero gli autori della strage di Piazza Fontana: secondo il 45 per cento sono state le Brigate Rosse, per il 23 per cento la mafia, mentre solo il 16 per cento ha indicato correttamente gli estremisti di destra di Ordine Nuovo.

I professori però non si sono fatti prendere dallo sconforto e, come sta succedendo in molte scuole italiane, hanno organizzato un lavoro approfondito per far conoscere la verità storica. Ora i ragazzi hanno chiaro cosa è successo nel nostro Paese negli Anni Settanta e quel sondaggio può essere dimenticato.

Di questo lavoro prezioso di testimonianza Manlio Milani è uno dei più instancabili protagonisti, la sua Casa della Memoria è uno degli esempi migliori dell’Italia che non si arrende all’oblio. Nonostante la sentenza di ieri provochi sgomento, il suo impegno non è stato sprecato, anzi assume un valore ancora maggiore.

La Stampa 15.04.12

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