attualità, politica italiana

"La Lega non è una storia finita", di Ilvo Diamanti

C’è troppa fretta di liquidare la Lega. Come si trattasse di una storia finita. Non tanto a causa delle promesse deluse dalla Lega stessa. Di certo non per merito degli avversari politici. Tanto meno per l’intolleranza sociale verso i messaggi intolleranti espressi dai suoi leader e dai suoi uomini. Ma per effetto delle inchieste giudiziarie. Una nemesi, visto che vent’anni prima proprio la Lega – insieme a Berlusconi – aveva beneficiato del vuoto politico prodotto da Tangentopoli.

Ma bisogna fare molta attenzione prima di dare la Lega per finita. I sondaggi, per primi, non accreditano questa idea.

L’Ispo di Renato Mannheimer, proprio ieri, sul Corriere della Sera, stimava i consensi leghisti poco sotto il 7%. Rispetto a una settimana prima: un punto percentuale in meno. Abbastanza, ma non tanto da profetizzare un declino – rapido e irreversibile. Meglio, dunque, attendere altre occasioni per verificare la tenuta della Lega, dopo questi scandali. Senza, però, affidarsi troppo alle prossime amministrative. Certamente significative. Ma condizionate dalla specificità delle consultazioni. Una sorta di presidenziali “locali”, dove contano soprattutto i temi territoriali e, anzitutto, la personalità dei sindaci. Si pensi alla città, forse, più importante, fra quelle al voto: Verona. Dove Flavio Tosi si ripresenta, alla testa di una lista civica “personale”. Contro la volontà di Bossi e dei “bossiani”. Se Tosi ri-vincesse in modo largo, ipotesi non improbabile, si tratterebbe di una vittoria di Tosi (e del suo amico Maroni) contro Bossi oppure di un successo della Lega contro tutti gli altri partiti? Il risultato delle prossime amministrative assumerà, dunque, grande importanza. Ma non fornirà un verdetto definitivo e, soprattutto, chiaro sul futuro. Occorrerà attendere le elezioni politiche del 2013 per capire quanto contino davvero la Lega – e gli altri partiti.

Tornando ai sondaggi, anche l’Ipsos di Pagnoncelli, martedì scorso, a Ballarò, aveva mostrato una flessione della Lega: dal 9,5% al 6,5%. Ma nei giorni seguenti ha rilevato una ripresa sensibile.

Che ha riportato la Lega su livelli vicini al risultato delle politiche del 2008.

Questo rimbalzo può avere spiegazioni diverse e non alternative. In primo luogo, il “rituale di espiazione” celebrato a Bergamo martedì scorso. La messa in scena della “confessione” e della “penitenza”. L’espulsione e le dimissioni dei colpevoli. (Solo alcuni, certo). L’ammissione di colpa del gruppo dirigente.

Bossi per primo. (Che pure ha rilanciato la famigerata “teoria del complotto”).

Di fronte al “popolo padano”. E, soprattutto, alle telecamere. Uno spettacolo di successo, che è servito ai leader della Lega per marcare la propria “diversità” – anche in mezzo alla crisi – rispetto agli altri partiti maggiori. Tutti coinvolti da scandali e inchieste: non hanno preso provvedimenti altrettanto eclatanti e visibili. Lo stesso discorso vale per i rimborsi elettorali. La Lega ha annunciato la volontà di rinunciare all’ultima tranche.

Mentre gli altri partiti discutono “se” congelarla. E su come regolamentare i finanziamenti pubblici (bocciati dai cittadini in un referendum di quasi vent’anni fa).

La Lega ha, dunque, reagito all’ondata di discredito provocata dalle inchieste giudiziarie con iniziative auto-assolutorie e promozionali, che potrebbero avere effetto. Anche perché può contare su alcune “buone ragioni” per resistere sulla scena politica ed elettorale ancora a lungo. Ne cito solamente alcune.

a) È radicata sul territorio, dove dispone di una base di militanti attivi molto ampia. Riprendo i dati offerti da un’accurata ricerca di Gianluca Passarelli e Dario Tuorto ( Lega e Padania, in uscita per “il Mulino”): 1.441 sezioni (995 tra Lombardia e Veneto) e 182mila iscritti. Oltre la metà di essi frequenta esponenti del partito con assiduità, almeno una volta a settimana. Il 40% partecipa regolarmente alle manifestazioni elettorali e alle feste di partito. Sono politicamente informati e coinvolti. La Lega, inoltre, è al governo in centinaia di comuni, 16 province e due regioni. Difficile “scomparire” quando si è così immersi nella società e nel territorio.

b) Dispone di una base elettorale fedele di notevole entità. Il 4-5% degli elettori, infatti, l’hanno sempre votata. Anche nei momenti più difficili. Disposti a negare la realtà pur di non contraddire la propria “fede”. Proprio come in questa fase.

c) La Lega, oggi, costituisce il principale antagonista del governo Monti, in Parlamento. Inevitabile che sfrutti la propria rendita di (op)posizione. Tanto più se – come sta avvenendo in questo periodo – la fiducia nel governo, fra i cittadini, tende a calare.

d) Il clima d’opinione generale è intriso di sfiducia verso i partiti. Pervaso da un diffuso sentimento antipolitico. E la Lega ne è, paradossalmente, artefice e beneficiaria. Alimenta la sfiducia politica attraverso i suoi comportamenti e, al tempo stesso, rischia di avvantaggiarsene. e) D’altronde, nessuno tra i partiti maggiori ha beneficiato del calo della Lega. Gli elettori leghisti in “uscita” si sono parcheggiati nell’area grigia del “non voto” e dell’indecisione. L’unico vero attore politico che sta traendo profitto dall’onda antipolitica, in questo momento, pare il movimento 5 Stelle di Grillo, stimato ormai oltre il 6%.

Naturalmente, la Lega non sta bene. È scossa da molti problemi. Profondi.

Che, tuttavia, pre-esistono agli scandali delle ultime settimane.

In particolare e soprattutto: non ha mantenuto la promessa di “rappresentare il Nord”. Di realizzare il federalismo, modernizzare le istituzioni, ridurre la burocrazia centrale e locale, ridimensionare la pressione fiscale, abbassare i costi della politica. In parte, è stata coinvolta in queste stesse logiche.

Inoltre, è, da tempo, teatro di una sanguinosa “guerra di successione”. In vista di una leadership che le permetta di sopravvivere “dopo” e “oltre” Bossi.

Una questione momentaneamente congelata. Ma destinata a riaprirsi in fretta, con esiti incerti. Anche perché il “centralismo carismatico” è parte dell’identità e dell’organizzazione leghista (come chiarisce bene il saggio dell’antropologo Marco Aime, Verdi tribù del Nord, pubblicato da poco da Laterza).

In generale, il problema della Lega è che si è “normalizzata”. Mentre i suoi successi scandiscono le crisi e le fratture della nostra storia recente. La Lega.

Ha contribuito a far crollare la Prima Repubblica e ha lanciato la sfida secessionista del 1996. Ha sfruttato le paure della crisi globale dopo il 2008 e l’onda antipolitica degli ultimi anni. La Lega. È cresciuta e si è consolidata nella stagione del berlusconismo. Ma oggi la Prima Repubblica è lontana, il berlusconismo si è chiuso. E la Lega appare un partito (fin troppo) “normale”. Costretta, a simulare e a esibire la propria diversità per resistere, in questa Repubblica provvisoria. È in difficoltà. Ma chi pensa di affidare ai Magistrati il compito di “sconfiggerla” politicamente si illude.

La Repubblica 16.04.12

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“Giovane, di destra, odia banche e gay ecco l’identikit della camicia verde”, di Vladimiro Polchi

E dopo l’addio di Bossi il rischio di una scissione. Il suo cuore batte a destra. A volte si scopre estremista. Diffida delle coppie gay ed è contrario a concedere pari diritti agli immigrati. Odia banche, giudici e sindacati, ma si fida dei partiti. È un vero militante: almeno una volta negli ultimi cinque anni è stato a Pontida. È l’identikit della camicia verde: un popolo di 182mila iscritti e 1.441 sezioni (995 tra Lombardiae Veneto) che, pur squassato dai recenti scandali, conferma il suo attivismo nel partito. A fotografare i militanti della Lega è un’inchiesta di due giovani ricercatori dell’istituto Cattaneo di Bologna, Gianluca Passarelli e Dario Tuorto, che nel 2011 hanno intervistato circa 350 iscritti al Carroccio (“Legae Padania. Storie e luoghi delle camicie verdi”, in libreria oggi per il Mulino). Il risultato? Per la prima volta la Lega viene raccontata dai leghisti.

TANTI EX MISSINI Le camicie verdi sono per lo più (75%) uomini, giovani (il 39% ha meno di 40 anni), diplomati (60%), ma anche laureati (20%), lavoratori autonomi (37%). Quasi la metà ha ricoperto incarichi da consigliere comunale o provinciale, assessoreo sindaco. Che orientamento avevano prima di aderire al Carroccio? Il loro voto si divide in modo equilibrato tra Dc, Psi, partiti “laici” (Pli, Psdi e Pri).

Ma quello che più balza agli occhi è l’alto numero di ex missini (9%) e il basso di ex elettori del Pci (3%).

Non per niente, tutti i dati della ricerca sono concordi: eletti, iscritti ed elettori della Lega posizionano se stessi e il partito all’estrema destra dell’arco politico.

MILITANTI ATTIVI La loro è una militanza attiva: oltre la metà incontra esponenti del partito almeno una voltaa settimanae un quinto più voltea settimana. Il 40% partecipa regolarmente alle manifestazioni elettorali e alle feste di partito. Non solo. Le camicie verdi sono attente alle evoluzioni della politica e il 77% legge un quotidiano tutti i giorni: «Non trova quindi riscontro – scrivono i due ricercatori – l’immagine di un partito strutturato solo attorno a una base grezza, priva di strumenti cognitivi adeguati». E ancora: si fidano dei partiti (gli sfiduciati sono il 55%, ben al di sotto della media nazionale), del parlamento e del presidente della Repubblica. Mostrano ostilità verso banche, magistrati e sindacati. Solo una minoranza (il 40%) è disponibile a concedere pieni diritti agli immigrati, una quota più ridotta (il 22%) è favorevole a estendere alle coppie gay i diritti degli eterosessuali. Gli iscritti dichiarano un’appartenenza locale, al comune (44%), alla regione (34%), alla provincia (10%) in cui vivono. Solo una minoranza segnala l’Italia come contesto principale di riferimento (3,5%) DAI “QUALUNQUISTI” AGLI “ESTREMISTI” La ricerca individua quattro tipologie di militanti. I “qualunquisti” (sono il 19%) partecipano poco alla vita del partito, sono interessati al federalismo e a pagare meno tasse. I “conformisti” (26%), caratterizzati da un’alta consapevolezza politica, si collocano a destra, temono l’immigrazione, ma sono radicali più per conformismo che per convinzione. I “conservatori” (26%), per lo più operai, hanno una collocazione politica meno a destra e meno estremista, attenti ai temi sociali e del lavoro. Infine gli “estremisti” (29%), politicamente consapevoli, con un forte tratto autoritario, si collocano sul versante della destra più estrema.

IL FUTURO SENZA BOSSI Con il leader i militanti hanno una relazione simbiotica: «Solo il carisma di Bossi ha indotto la base ad accettare alcuni riposizionamenti contraddittori della Lega» e solo la «sua leadership ha tenuto a bada le due anime, la fazione movimentista e quella riformista, che non si sono mai del tutto integrate nel partito».

Che ne sarebbe allora di una Lega senza Bossi? Per i due ricercatori «è plausibile ipotizzare una grave emorragia di consensi, ma è anche ragionevole ritenere che, visto l’insediamento diffuso capillarmente in tutto il Centro-Nord, la Lega potrebbe sopravvivere al suo capo istituzionalizzandosi».

In questo frangente non è però da escludere una scissione, con «l’uscita di una cospicua componente decisa a costruire il partito ortodosso e antagonista, richiamandosi esplicitamente alle origini del movimento».

La Repubblica 16.04.12

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“Il Senatur in campo per salvare Monica Rizzi”, di RODOLFO SALA

Il clan di Gemonio tenta di salvare Monica Rizzi, assessore leghista nella giunta regionale lombarda a cui la nuova dirigenza del Carroccio ha chiesto di dimettersi. Com’è già successo a Rosy Mauro, inutilmente invitata a lasciare la vicepresidenza del Senato. Nella sua veste di triumviro, era stato Bobo Maroni, tre giorni fa, a varcare il portone di Palazzo Lombardia per comunicare al governatore Roberto Formigoni che “Monica della Valcamonica” non aveva più la fiducia del movimento.

Motivo: i suoi strettissimi rapporti con Renzo Bossi, che la signora – secondo un’inchiesta della magistratura – avrebbe aiutato nella campagna elettorale del 2010 costruendo falsi dossier contro i potenziali avversari del Trota. Ma seguendo l’esempio di Rosy Mauro, la Rizzi non vuole saperne di abbandonare la poltrona di assessore allo Sport.

Per questo l’assessora ieri si è messa in contatto con casa Bossi a Gemonio, dove per giunta c’era pure la Mauro. E ha tentato di convincere l’Umberto che la richiesta di Maroni non starebbe in piedi. Perché la vicenda giudiziaria «sta finendo in niente», e comunque, non si capisce perché il passo indietro lo dovrebbe fare solo lei. E non, per esempio, anche Davide Boni, il presidente leghista del consiglio regionale raggiunto da un avviso di garanzia per corruzione. Il pressing su Bossi è fortissimo, e condiviso ovviamente dai famigli e dalla Mauro (che nonostante l’espulsione continua a frequentare casa Bossi). Sempre ieri, tra i leghisti anti-maroniani, girava un curioso sms: «Bossi ha teso la mano a Maroni per sostenerlo nella leadership, il triumviro si mostrerà altrettanto generoso salvando la Rizzi?». Girava anche, insistente, una voce: nel pomeriggio Bossi avrebbe chiamato Formigoni per perorare la causa dell’assessora che non vuole lasciare la cadrèga. «Non possiamo né confermare né smentire», hanno fatto sapere da Palazzo Lombardia. Ma tanto è bastato a mettere in allarme il fronte dei rinnovatori. Perché, se fosse vero, il ruolo dei triumviri, e soprattutto di Maroni, verrebbe pesantemente delegittimato.

Dunque la partita forse non è così chiusa. Insomma, nonè detto che la sorte dell’assessora-badante (del Trota) sia già decisa.

La speranza dei rinnovatoriè che si dimetta oggi, quando Maronie Calderoli incontreranno a mezzogiorno il gruppo consiliare della Lega in Regione. Se non lo facesse, secondo il loro piano, ci penserebbero i triumviri a sostituirla (c’è già il nome di chi dovrebbe prenderne il posto).E forse, ma questo adesso è meno probabile, a espellerla. A Maroni non sarebbe arrivata alcuna richiesta da Gemonio: «Bobo – riferisce un fedelissimo – pensa che se qualcuno vuole mandargli un segnale deve dirlo». Ma da giorni il triumviro va ripetendo che fare pulizia non significa procedere con le «epurazioni di massa». Il fatto è che la Rizzi lo ha sfidato: «Con Bobo segretario la Lega durerà solo sei mesi».

La Repubblica 16.04.12