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Stuprata, si gettò dal balcone «Cinque anni senza giustizia», di Mariagrazia Gerina

Il 15 aprile del 2007 Carmela Cirella si tolse la vita, lanciandosi
dal balcone di un palazzo del rione Paolo VI di Taranto, perché era stata violentata e nessuno le credeva. Aveva solo tredici anni. Ci sono eventi che misurano il tempo senza alcuna pietà. Cinque anni fa, nel rione Paolo VI di Taranto, una ragazzina di tredici anni, vittima da pochi mesi di uno stupro di gruppo, «volava giù» dal balcone per sette piani. Si chiamava Carmela Cirella: «Io sono Carmela», era la frase che gettava in faccia al mondo quando voleva sentirsi viva. Quel giorno non ha avuto neppure la forza di ripetersi allo specchio la sua frase-amuleto. «Nel primo dei due centri per minori dove avevamo lasciato che la seguissero dopo lo stupro, le avevano somministrato degli psicofarmaci a nostra insaputa…». Era il 15 aprile 2007.
«Quinto vergognoso anniversario senza giustizia per Carmela, figlia, suo malgrado, di questo paese ipocrita e incivile, che con il suo silenzio e la sua indifferenza si rende complice», scandisce l’orologio impietoso che ha spinto, ieri, suo padre adottivo (quello naturale morì quando Carmela aveva un anno), Alfonso Frassanito, a scrivere ancora una volta, per denunciare: «Stato, istituzioni, giustizia, ministri: dove siete?». Una lettera aperta, stavolta. Dopo altre, rimaste senza risposta. Una in particolare, rivolta al ministro di Giustizia, recapitata di persona in via Arenula, nel 2009. «Mi dissero che sarei stato riconvocato dopo Natale, sto ancora aspettando».
Giustizia, continua a chiedere Alfonso, anche a nome di sua moglie, Luisa. «Lei non ha neppure la forza di parlare…», spiega. Conserva le energie per la prossima udienza, il 27 aprile: la quarta in un processo che sembra non dover mai finire. Sul banco degli imputati, tre uomini, accusati di aver stuprato Carmela, nel novembre del 2006, quando appena compiuti i suoi tredici anni, la ragazzina scappò di casa. E si ritrovò all’inferno.
«Tutto nasce dalle molestie che mia figlia aveva subito da un adulto», racconta oggi Alfonso, che denunciò anche quell’episodio. Poi archiviato. Carmela era inquieta. «Per questo scappò».
Nel diario, quello dove annotava ogni cosa, aveva descritto anche quello che le era accaduto in quei quattro giorni di fuga: lo sbando, le violenze subite da più persone. La ritrovarono drogata e sotto shock. E quello che aveva scritto sul diario, lo ripetè poi anche alla polizia che però – racconta il padre – stentava a crederle. «È stato un calvario ottenere che fossero portate fino infondo le indagini, pensi che ci stavano riconsegnando gli indumenti di Carmela senza che le tracce biologiche fossero periziate», ripete Alfonso, che si ritrova per l’ennesima volta a ripercorrere l’intera sequenza. Le violenze, lo shock di quella ragazzina, la difficoltà anche per lui e sua moglie di gestire quel trauma più grande di loro. «Ci suggerirono un centro per minori, fu lì che le somministrarono a nostra insaputa gli psicofarmaci. Riuscimmo a farla trasferire in un altro centro, dove avevano iniziato a diminuirle quella terapia che a noi sembrava spropositata», racconta Alfonso, che non si riesce a darsi pace.
«IO SONO CARMELA»
Cinque anni dopo, il suo esposto contro il centro per minori dove fu ricoverata sua figlia è stato archiviato, due ragazzi, all’epoca minori, accusati di averla stuprata «hanno evitato la condanna e se la sono cavata con una messa in prova». «Nessuno
è stato mai arrestato, neppure i tre che ora sono sotto processo», ripete Alfonso. E le udienze si trascinano stancamente: «Di sei mesi in sei mesi, siamo ancora alla quarta udienza», denuncia il padre adottivo di Carmela, che vede la giustizia allontanarsi sempre di più.«A questo punto – dice – ci basta che emettano una
sentenza, una qualunque, almeno avremo in mano qualcosa per appel-
larci». Lui e sua moglie – spiega – sono pronti a ricorrere anche alla Corte di giustizia europea. Nel frattempo, da quella traccia
cocciuta stampata nel suo diario è nata una associazione: «Io sò Carmela». Pensata perché altri genitori che si trovino ad affrontare violenze subite dai figli si sentano meno soli: «Ogni volta che c’è uno stupro – denuncia ancora Alfonso, a nome anche degli altri – scatta un garantismo eccessivo verso gli accusati e contemporaneamente per le vittime inizia il martirio, vergognoso, specie, se come nel caso di Carmela, le vittime sono bambine».

L’Unità 16.04.12

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