attualità, politica italiana

"Belsito-Maroni, scontro d’intelligence", di Francesco Lo Sardo

La pochade Lega continua a sorprendere coi suoi clamorosi colpi di scena. L’ultimo: il malvagio ex tesoriere leghista Francesco Belsito aveva assoldato un detective privato genovese per spiare le mosse dell’ex ministro dell’interno Roberto Maroni. Lo Sherlock Holmes dei carruggi, coadiuvato da altri investigatori, si sarebbe occupato di un’indagine sulla vita privata e sui presunti affari di Bobo raccogliendo velenosi materiali per un dossier. Un incarico ottenuto dopo aver brillantemente risolto per il suo cliente e concittadino leghista, si dice, il misterioso caso di una biografia denigratoria di Belsito apparsa su Internet, individuandone gli autori: indagine pagata coi quattrini della cassa della Lega.
Lo scoop è del settimanale berlusconiano Panorama, lo stesso che mesi fa “infilzò” la moglie di Bossi, Manuela Marrone, descrivendone il ruolo di potente zarina del Carroccio. «Non appena ho capito chi fossero i miei nemici in Lega, ho deciso di fare un po’ di ricerche su quelli che sostengono di essere “trasparenti”, “puliti” e “corretti”. Presto ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità», conferma minaccioso Belsito.
Maroni, fuori di sé, sospetta coperture e complicità nel Carroccio: «È gravissimo. Ora pretendo di sapere se qualcuno all’interno della Lega mi ha spiato». La lingua di Maroni batte dove il dente duole. Perché lì rispunta il problema politico dello scontro fratricida in atto da anni nel Carroccio, dietro il grottesco affaire dello spionaggio interno padano: parodia del dossieraggio stalinista messa in scena sul palco di un partito anch’esso caricaturalmente stalinista. Aver addossato tutte le colpe dei mali della Lega al duo Rosi Mauro-Francesco Belsito è un’operazione mediatica che non regge. Maroni è il primo a non crederci e non riuscire a dissimulare la convinzione che la vicepresidente del senato e l’ex tesoriere avessero le spalle ben coperte dentro Lega, non solo grazie alla protezione della moglie di Umberto Bossi.
Così, ieri, un nervosissimo Roberto Maroni, il triumviro aspirante successore di Bossi che appare sempre più in difficoltà nella sua marcia verso la poltronissima di leader, è sbottato: «Grave, gravissimo e ancora più grave sarebbe se qualcun altro della Lega sapeva o abbia autorizzato o fosse stato consenziente, perché i rapporti sono basati sulla fiducia personale». Infine l’indignata minaccia: «Si accerteranno i fatti e colpevoli dovranno essere cacciati, a tutti i livelli, altrimenti me ne vado».
Si vedrà. Da quest’altro squarcio di vita interna, questo pianeta Lega popolato di una galleria di personaggi improbabili, si conferma un mondo ai confini della realtà. E la vicenda del dossier, in sé, ha del formidabile. Non foss’altro perché lo spiato (a sua insaputa, chissà se a insaputa del Viminale e dei servizi segreti) è stato il ministro dell’interno. Ma il “dossier Bobo”, adesso, dov’è? Sequestrato dagli inquirenti, s’è detto. La procura nega: agli atti non ci sono riferimenti al dossier, confezionato pare anche grazie alla collaborazione di ex componenti dei servizi di sicurezza.
Bobo Maroni, però, afferma di averlo visto. «È ridicolo basato su cose inventate e inverosimili». Può darsi. Ma che cosa ha visto esattamente Maroni, onorevole membro della camera dei deputati? Forse urge un’indagine dell’occhiuto Copasir, il dinamico comitato di controllo parlamentare sugli 007 che tutto vede e tutto sa. O che tutto dovrebbe vedere e tutto dovrebbe sapere.

da Europa Quotidiano 19.04.12