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Tullio De Mauro "Da Monti serve un cambio di passo", intervista di Giuseppe Grasso

Tullio De Mauro, 80 anni compiuti il 31 marzo scorso, non ha bisogno di presentazione. Linguista di fama internazionale e già ministro dell’Istruzione del Governo Amato II per tredici mesi, è da sempre sensibile ai temi che riguardano la Scuola e l’Università. Con lui parliamo di alcuni di questi argomenti cercando delle indicazioni che siano da orientamento nella generale confusione mediatica che parifica “Grande Fratello” e “Report”, televisione commerciale e televisione d’inchiesta. Come sempre le sue considerazioni, di una lucida nitidezza, sono molto sottili e penetranti, sostenute da quello “spirito critico” e da quell’acume tipici dei Grandi Maestri.

Professore, recentemente lei ha rimarcato che, mentre in Francia Hollande e Sarkozy fanno a gara per investire sull’istruzione, da noi il governo Monti non capitalizza affatto sulla scuola. Quali, secondo lei, le ragioni? E qual è il suo giudizio sull’attuale governo di tecnici?

Il governo Monti non viene da Marte o da terre aliene. È composto da persone, spesso professionalmente esimie, espresse da un ceto dirigente come l’italiano che, salvo rare eccezioni enumerabili quasi per nome, non ha avuto e non ha una positiva attenzione per lo sviluppo della cultura della nostra società e per le istituzioni (scuole, università, enti di ricerca, biblioteche, teatri, televisione pubblica) che dovrebbero e potrebbero promuovere quello sviluppo. Come tanti altri del ceto dirigente che (attenzione) noi tutti in qualche misura concorriamo a esprimere e, se non altro, sopportiamo, è assai lontano dall’avvertire la centralità sociale e anche economica e produttiva dello sviluppo culturale diffuso. Una volta ho sentito da Monti un cenno, corretto ma vago, della rilevanza negativa che hanno i nostri deficit di cultura nello sviluppo anche economico e produttivo. Un accenno è meglio che niente, ma è assai poco rispetto al cambio di passo e di organizzazione del bilancio dello stato che sarebbe necessario e che, se passo si volesse cambiare, coinvolgerebbe in Italia come in altri paesi del mondo la diretta responsabilità politica del capo del governo: come accade con Merkel e Obama, Sarkozy e Cameron e Chavez ecc.

Che opinione si è fatta dell’operato del ministro Profumo? Nel messaggio pasquale questi ha affermato che è “ineludibile rimettere l’istruzione e la formazione al centro dell’agenda politica del Paese”. Non saranno i soliti proclami?

Credo di avere già risposto, sì, è un proclama.

Cosa pensa della riforma Gelmini? E dei nuovi indirizzi liceali del Linguistico e delle Scienze umane?

Molti provvedimenti della ministra Gelmini hanno inciso malamente sulle condizioni di vita delle scuole e delle università, anche il benvenuto prosciugamento e riordino delle decine e decine di disparati canali della secondaria di secondo grado (cominciammo a chiederlo almeno dal 1969) non è stato accompagnato da un ripensamento effettivo e dalla riorganizzazione (anche edilizia) degli istituti scolastici.

Lei ha spesso sottolineato che in Italia si legge poco. Quali i motivi di tale disaffezione alla lettura? Ci sono, secondo lei, libri particolari che potrebbero invertire la tendenza?

I motivi sono antichi e nascono dal secolare sospetto verso la crescita culturale. La tendenza può invertirsi se si diffonde nella popolazione l’abitudine di leggere. Questa si diffonde se si percepisce quanta ricchezza di esperienza si cela in ogni buon libro. La scuola fa quello che può. Ma la società circostante e gli stili di vita dominanti non aiutano.

Una volta si leggevano Croce, Gramsci e altri numi tutelari. Oggi, che maestri ci sono, se ci sono?

Dagli anni sessanta del Novecento le persone di buona cultura intellettuale dispongono di riferimenti assai più vari che nel passato, in Italia come in parecchi paesi. Come ieri, il maestro migliore è lo spirito critico che non si chiude al nuovo e non si scorda dell’antico.

Da ministro lei si espresse a proposito delle retribuzioni dei docenti dicendo che erano “stipendi da fame”. Oggi, con le ulteriori aggravanti del blocco degli scatti di anzianità e dei contratti, aggiungerebbe qualcosa? C’è forse dietro una filosofia dell’educazione?

No, non aggiungerei altro, purtroppo. Una persona altamente degna, come Ermanno Gorrieri, purtroppo scomparsa qualche anno fa, all’epoca mi rimproverò di tacere che c’erano in Italia retribuzioni anche più inique. Ne ero e sono convinto. Resta il problema: se vogliamo che la scuola si sviluppi, occorre attrarre ad essa il meglio delle energie intellettuali e morali e, in una società a forti disparità retributive, quelle energie in gran parte rischiano di prendere strade diverse da quelle dell’insegnamento.

Avrà sentito parlare della giornata dedicata all’”Urlo della Scuola”. Tantissime voci si sono levate a reclamarne la rinascita quale Bene Comune. La ragione della maggiore tenuta della Scuola rispetto all’Università si deve anche a iniziative del genere?

Sì, certamente. La reattività dell’università è stata e resta assai minore. E i rettori, salvo un paio, si sono fatti tappetino delle malversazioni ministeriali.

Come giudica l’idea del ministro Profumo, sull’esempio francese, di limitare i compiti a casa anche per gli studenti italiani?

Non è solo il professor Profumo a non applicare alla scuola la teoria dei sistemi, che egli ben conosce. Datemi il resto della scuola francese, anzi datemi la Francia, la sua cura straordinaria per l’istruzione sentita e onorata nei fatti come impegno della nazione, da cui discendono le forti strutture e gli abiti e tradizioni di apprendimento (e le biblioteche e gli alti indici di lettura), datemi questo e poi sarà sensato discutere se adottare o no un pezzetto del funzionamento complessivo.

Come escono la lingua italiana e i suoi parlanti dall’attuale marasma mediatico?

La lingua se la cava. I parlanti, senza un retroterra di istruzione e lettura, assai meno.

Un’ultima domanda sui pensionandi della scuola classe ’52. La riforma Fornero ha ignorato la particolarità del comparto scuola – la cui unica finestra di uscita dal lavoro è il primo settembre – e ha omologato il calendario del personale scolastico a quello di tutti gli altri lavoratori. Si tratta di mera ignoranza o è lecito scorgervi un lapsus che conferma la disattenzione del governo Monti verso l’istruzione?

Purtroppo non conosco abbastanza la ministra Fornero per risolvere il dilemma cornuto. Tuttavia mi pare che il secondo corno includa, se così può dirsi di corni, il primo.

da Affari Italiani