attualità, cultura, partito democratico

"Lavoro, in tre milioni non ci credono più. Donne le più rassegnate", di Giuseppe Vespo

Christine Lagarde parla di «generazione perduta», mentre l’Istat conta in Italia tre milioni di «inattivi», quelli che vorrebbero un lavoro ma non hanno più voglia o possibilità di cercarlo. «È una mia grande preoccupazione», dice la presidente del Fondo monetario internazionale a proposito del rischio che una bella fetta di europei manchi l’appuntamento con l’occupazione, almeno così come l’abbiamo conosciuta finora. L’ex ministro francese parla della Spagnama pensa all’Italia, e non solo. A chi le domanda
come mai il Fmi sia così «severo» con il nostro Paese – ha visto le stime di crescita al ribasso – Lagarde ha risposto che non si tratta di severità,«vogliamo solo che torni l’equilibrio e che il Paese cammini con le proprie gambe».
La ricetta si conosce, è sempre la stessa: conti e crescita. Ma tenere a bada i primi e spingere la seconda non è facile, anzi. La realtà, almeno quella di casa nostra, conta tre milioni di persone che vorrebbero lavorare, ma hanno smesso di cercare un’occupazione.
Pesano sul totale della forza lavoro per l’11,6 per cento, tre volte in più del resto d’Europa. È la mancanza di fiducia a pesare sulla nullafacenza di almeno unmilione di persone (43%). Gli scoraggiati crescono a ritmi veloci, quasi il cinque per cento sul 2010, mai così male dal 2004. In Italia abita un terzo degli 8,6 milioni di europei disposti a lavorare ma non più a cercare un posto. «Inattivi» e disoccupati, oltre due milioni di persone pari all’8,4 per cento sulla forza lavoro, messi insieme fanno cinque milioni di italiani a braccia incrociate nel 2011. A farla da padrone, dal punto di vista anagrafico, sono i 15-24enni, la «generazione perduta» alla quale faceva riferimento la
Lagarde. La troviamo in (buona) par-di donne. In alcuni casi, poi, sembra di assistere ad una sorta di ritorno al passato, con una donna su cinque che non cerca lavoro per dedicarsi alla cura dei figli e della famiglia. Anche questa è la crisi.
IMPRESE IN AFFANNO
C’è da dire del resto che, al di là della voglia, trovare lavoro è complicato. A febbraio gli ordinativi delle imprese sono calati del 13 per cento sull’anno scorso. Si tratta del dato peggiore dal 2009. Mentre il fatturato industriale diminuisce dell’1,5 per cento sul 2011. Sindacati e politica rinnovano l’allarme: Fulvio Fammoni, segretario confederale dell aCgil, parla di «un esercito di disoccupati che continua a crescere». E aggiunge: «Eravamo accusati di disfattismo ai tempi del centrodestra, quando sostenevamo ciò che oggi evidenzia l’Istat, ma questa è invece, e purtroppo, la realtà dell’Italia, che va cambiata urgentemente». Il segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini, punta
sulla necessità di riformare «il lavoro, valorizzando la buona occupazione e penalizzando le flessibilità malate». Mentre l’Ugl sottolinea che «l’aumento sproporzionato degli scoraggiati è lo specchio di un Paese che sta rischiando seriamente di non avere più
la forza, e la volontà, di superare la crisi». Per i Democratici interviene direttamente il segretario Bersani, nel corso del meeting dei leader progressisti europei, che punta il dito contro
la finanza. «Il costo della crisi non può pagarlo tutto il lavoro e il welfare – dice il numero uno del Pd – Un po’ deve pagarlo la finanza». Con i colleghi europei Bersani discute di «Riscrivere il mondo» e attacca le risposte della destra europea alle difficoltà economiche. Reazioni inadeguate anche «ideologicamente» perché puntano sul ripiegamento quando invece ci vorrebbe solidarietà. Così non si risolvono i problemi e si suscitano risposte populiste. Per superare veramente la crisi, ha detto il segretario, serviranno scelte precise, e ciò chiama in causa il ruolo dei riformisti, che devono ritrovarsi e indicare le «grandi discriminanti» dell’equilibrio e della reciprocità. Dura anche l’Idv, che ricorre alla metafora: «L’Italia sta ballando sul Titanic -dice Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro e Welfare- E Monti continuaa dirigere l’orchestra dei banchieri come se nulla fosse».

L’Unità 20.04.12