attualità, politica italiana

"I sospetti sul cambio di passo", di Federico Geremicca

A scorrere i quotidiani dell’ultimo paio di giorni – e di fronte a notizie e annunci roboanti che datano appena a ieri – la prima e frettolosa impressione potrebbe indurre a pensare che la tanto sbandierata crisi dei partiti politici (e della politica più in generale) sia un’invenzione dei giornali. A elettori e militanti, infatti, vengono annunciati gestazioni e battesimi di nuovi partiti, scissioni parlamentari per la creazione dell’ennesimo movimento e – addirittura – «la più grossa novità della politica italiana» (Alfano: ma bisognerà aspettare un paio di settimane…). Un ribollire di fondazioni e riorganizzazioni, insomma, che starebbero lì a testimoniare un invidiabile stato di salute ed un rinnovato spirito di riscossa. In realtà, quel che muove e anima queste iniziative – il nuovo partito di Casini, l’insofferenza di Beppe Pisanu, l’annuncio di «grosse novità» fatto dal segretario del Pdl – è proprio la crisi che ha investito il sistema politico.

Un sistema che all’ombra del governo tecnico di Mario Monti prova adesso a ristrutturarsi, a rigenerarsi e a cambiar pelle, quando possibile. Si tratta non solo di iniziative del tutto legittime, naturalmente: ma perfino di novità auspicabili, e infatti fino a ieri richieste a gran voce. Con qualche prudente avvertenza, però. Questo per ora confuso moltiplicarsi di iniziative – alle quali va aggiunto l’entusiasmo che comincia ad animare il Pd di fronte alla possibile vittoria di François Hollande sembra infatti segnare quel che un tempo si sarebbe definito un cambio di passo nell’azione e nei progetti di molte forze politiche. Più o meno d’improvviso – e nel cuore di un «inverno politico» che sembra non finire – è come se avessero cominciato a prepararsi. Ma – ecco il primo punto – prepararsi a cosa? È qualche giorno che vanno moltiplicandosi voci e ipotesi di uno scioglimento anticipato delle Camere, così da portare il Paese al voto in autunno.

Secondo alcuni, un simile progetto accomunerebbe Pdl e Pd, sfiancati dai colpi dell’antipolitica e sempre più insofferenti alla presenza del governo dei tecnici; secondo altri, invece, l’idea non sarebbe del tutto sgradita allo stesso Monti che, di fronte all’accentuarsi del nervosismo della sua maggioranza (e alle conseguenti difficoltà nell’azione di governo) non ostacolerebbe il ricorso alle urne e il ritorno a governi di natura squisitamente politica. Palazzo Chigi non ha mai confermato tale interpretazione (che avrebbe, per altro, il sapore di una resa nel pieno della battaglia); e il Quirinale – discreto protagonista nelle vicende degli ultimi mesi – non smette di auspicare che la legislatura compia il suo corso. Dunque, salvo clamorose smentite nei giorni a venire, non è né a Mario Monti né a Giorgio Napolitano che può esser fatta risalire l’idea di uno scioglimento anticipato delle Camere. Resta il terzo possibile attore di un’ipotetica crisi: e cioè i partiti che sostengono il governo.

Sono loro a volere davvero il voto in autunno? E per tornare al punto di partenza – è questo supposto progetto ad aver determinato il fiorire di iniziative e il citato cambio di passo? Difficile dirlo. Ma in ogni caso, per una volta, sia concesso di guardare senza pregiudizi alle iniziative che vanno mettendo in campo. Riorganizzino idee e uomini, ricalibrino progetti, riformino quel che c’è da riformare, e i cittadini non potranno che apprezzare. La condizione (meglio: l’auspicio) è che questa effervescenza non rallenti o addirittura pregiudichi, però, il cammino del governo in una fase in cui conta certo la qualità delle scelte da fare, ma anche – se non soprattutto – la rapidità con la quale esse si trasformano in fatto concreto, in azione. Se non è questa l’intenzione dei partiti che cambiano passo e si preparano a chissà cosa, tanto meglio.

Del resto, andare alle urne in autunno significherebbe sciogliere le Camere di qui a pochissimi mesi, non avendo realizzato nessuna delle riforme promesse con l’avvento di Monti: dalla legge elettorale alla riduzione del numero dei parlamentari, dalla revisione del bicameralismo fino – addirittura – ad una legge sui partiti e sul loro finanziamento. Un bilancio fallimentare, insomma. Che darebbe ancor più fiato all’antipolitica e al populismo imperante: alla faccia dei nuovi partiti, dei movimenti neonati e perfino della «più grossa novità della politica
italiana»…

La Stampa 21.04.12