attualità, politica italiana

"Le ricevute buttate ultimo alibi di Formigoni", di Massimo Giannini

Nel labirinto di una «Vacanzopoli» nella quale si è cacciato con l´ambiguità delle parole e dalla quale non riesce ad uscire con la verità dei fatti, Roberto Formigoni azzarda l´ennesimo tentativo di chiudere il caso. Per la prima volta, abbozza qualche timida spiegazione, per giustificare l´ingiustificabile. Cioè la famosa vacanza di Capodanno del 2009 che, documenti contabili e istruttori alla mano, si sospetta gli sia stata pagata da uno storico amico del giro di Comunione e Liberazione: Pierangelo Daccò, faccendiere arrestato, e non incidentalmente vicino alle imprese sanitarie appaltatrici della Regione Lombardia.
Il governatore scrive una lettera al sito online della rivista «Tempi» diretta da un altro suo sodale di Cl, cioè Luigi Amicone. Interviene in una «zona sicura» e in qualche modo protetta, come ha imparato dal suo non più leader Berlusconi, abituato a trasmettere i suoi «messaggi speciali» attraverso i libri o il salotto di Bruno Vespa. Ma per la prima volta, ormai da una settimana esatta, Formigoni è costretto suo malgrado a compiere un passo, ad arrischiare un´autodifesa che vada oltre l´insulto «di classe», lo sberleffo arrogante, il puro, semplice e sdegnato diniego.
In questa novità c´è un aspetto di metodo, positivo, che va sottolineato. La lettera del Celeste è la conferma di quello che abbiamo sempre scritto e sostenuto: il potere, se incalzato dalla libera stampa con la realtà dei fatti, alla fine deve cedere alla logica ferrea dell´«accountability». Deve rassegnarsi all´idea che, persino in una democrazia di bassa qualità come la nostra, logorata e sfibrata dal populismo autocratico del Cavaliere, chi comanda e chi è eletto ha il dovere di rendere conto delle sue azioni ai cittadini e ai suoi elettori. È dura, per il «governatore di Dio», che costruisce con le sue esternazioni una personale via crucis, articolata in tre «stazioni».
LA PRIMA «STAZIONE»: LA VACANZA AD ANGUILLA
In questa novità c´è tuttavia un giudizio di merito, negativo, che non può essere sottaciuto. Cosa dice Formigoni nella sua «arringa»? «Nessun festino, nessuna occasione per tramare ai danni di chicchessia, nessuna riunione di affari», ribadisce il Celeste, rivolgendosi direttamente a Carla Vites, moglie di Antonio Simone, indagato e arrestato insieme a Daccò nell´inchiesta sulla sanità lombarda. La donna, di fronte alle smentite dello stesso Formigoni, lo ha accusato di aver perso la testa per il lusso, e di essersi fatto «travolgere dalla corte di Daccò» e di essersi fatto «coinvolgere in un turbine di vacanze e di serate a 5 stelle». Il governatore risponde parlando di una «montagna di diffamazioni e di fango», e annunciando una «serie di querele per diffamazione già in partenza».
Ma non è la rituale sequela di negazioni e di minacce che colpisce nella replica formigoniana. Interessa il «chiarimento», che il governatore pretende esaustivo e invece non lo è affatto, su quei due «viaggi di gruppo» a Parigi alla fine del 2009 e del 2010. Secondo le notizie dell´«Espresso» e i documenti della procura di Milano, quei due viaggi potrebbero nascondere un soggiorno da sogno nel resort più esclusivo del mondo, l´«Altamer» di Anguilla, nei Caraibi, interamente spesato da Daccò. In un primo momento, Formigoni aveva glissato: «Non ricordo dov´ero nel Capodanno 2009, dovrei controllare le mie agende». Poi aveva aggiunto: «In ogni caso le nostre sono sempre state vacanze di gruppo, un´abitudine comune a tutti gli italiani: poi si ritorna e si fanno le compensazioni».
Ora, nella lettera a «Tempi», il governatore aggiorna la sua versione. È costretto a farlo, perchè nel frattempo dai verbali dell´inchiesta sono usciti gli estratti conto di Daccò. Emergono due biglietti Air France per Parigi emessi il 27 dicembre 2008, intestati a Formigoni e al suo collaboratore Alberto Perego, da 4.080 euro ciascuno. E poi una ricevuta da 9.637 dollari, pari a 7.180 euro, datata 9 gennaio 2009, a saldo di un soggiorno presso l´«Altamer Resort» di Anguilla. Non è una prova, ma certo è un indizio. Basta a Formigoni per aggiustare il tiro, rispetto alle sue prime versioni: «Le spese delle carte di credito di Daccò sono elevate, perché si riferiscono a conti collettivi. E se ci sono biglietti aerei e una settimana di vacanza alle Antille con cifre importanti, scusate tanto, non sono Brad Pitt, ma me le posso pagare, me le sono pagate con il mio stipendio». Dunque, le sorprese sono almeno due. La prima: il governatore parla di «una settimana di vacanza alle Antille». Nei giorni scorsi non ricordava, o ricordava vagamente un «capodanno a Parigi». Ora è costretto ad ammettere che c´è stato il soggiorno ad Anguilla. È una crepa enorme, nel primo muro difensivo costruito dal Celeste. Aveva respinto ogni addebito («Sono pulito come acqua di fonte»). Aveva insultato il giornalista che gli chiedeva conto delle sue contraddizioni («un uomo triste, sfigato e malinconico»). Aveva chiamato in causa Gesù («Anche lui ha sbagliato a scegliere uno dei suoi collaboratori»). Ora riconosce che quel viaggio alle Antille c´è stato. Si può ipotizzare, a questo punto, che Parigi fosse solo uno scalo intermedio, prima del lungo volo verso i Caraibi.

LA SECONDA «STAZIONE»: «LE VACANZE ME LE SONO PAGATE»
Ma come spesso succede in questi casi, avventurandosi con reticenza nella spiegazione di ciò che appare inspiegabile, Formigoni finisce per ingarbugliare ulteriormente le carte. Dice, a «Tempi», che le vacanze alle Antille «me le sono pagate col mio stipendio». Ma qui, di nuovo, fanno fede le ricevute delle spese sostenute da Daccò. Oltre al saldo da 9.637 dollari (7.108 euro) versato all´«Altamer Resort», il 6 gennaio l´«amico Piero» ha pagato con la sua carta di credito un conto da 984 euro allo «Straw Hat Restaurant», il 7 e il 9 gennaio ha sborsato 1.575 euro e 1.206 euro al «Mallihouana Service», l´8 gennaio ha pagato da 1.490 euro al «Cap Juluca Hotel», e sempre il 9 altri 971 euro al «Cuisinart Resort&Spa». In tutto, 6.226 euro di ristoranti e intrattenimenti vari, che si sommano ai 7.180 euro dell´«Altamer Resort». Il totale fa 13.406 euro. Difficile immaginare che Daccò li abbia spesi tutti per sé, e non invece a beneficio del «gruppo» che viaggiava con lui, e che (verosimilmente) lui ospitava.
L´incongruenza permane, e semmai si fa ancora più netta. Ma proprio il persistere di questa incongruenza dà conto del comportamento contraddittorio di Formigoni, subito dopo l´esplosione della sua «Vacanzopoli». Alla luce di quanto accade, e di quanto il Celeste dice o non dice, si capisce perché quel Capodanno doveva essere coperto da un «non ricordo». Perché dietro Parigi c´era Anguilla. E cosa c´era dietro l´una e l´altra? Perché quel primo, goffo tentativo di nascondere la seconda dietro la prima? Cosa c´è che non si può dire e non si deve sapere, dietro quel viaggio a Parigi e quella vacanza ai Caraibi? Forse che erano state pagate entrambe da Daccò?

LA TERZA «STAZIONE»: LE «RICEVUTE LE HO BUTTATE»
Il Celeste avrebbe un modo, semplicissimo, per uscire dal suo labirinto. Esibire le prove documentali di ciò che afferma, cioè che le vacanze le ha pagate lui. Ma su questo, ancora una volta, fallisce. Nella lettera a «Tempi» scrive: «Le ricevute dei rimborsi delle spese anticipate da Daccò? Non le ho tenute, le ho buttate; scusate, è un reato? Esiste una legge che fa obbligo di tenere gli scontrini dei viaggi se questi viaggi non sono per lavoro, non vengono scaricati sulla regione e rientrano negli affari del privato cittadini?».
L´obiezione regge nella forma. Nessuna persona normale, a distanza di anni, conserverebbe la documentazione di viaggio delle sue vacanze. Ma non regge nella sostanza. Intanto, non è in gioco una questione di privacy. E poi, nessuno pretende che il Celeste esibisca gli scontrini e le ricevute di quei viaggi, per dimostrare che pagava lui e non altri. Ma se davvero volesse e potesse fugare ogni dubbio, avrebbe a portata di mano una soluzione semplicissima. Basterebbe richiedere una distinta alla banca, dalla quale sarebbe facilissimo verificare se alla vigilia di quel viaggio il governatore ha movimentato denaro per sostenerne le spese, o se prima, durante o dopo la vacanza ha pagato o rimborsato con assegni o carte di credito tutto ciò che quel viaggio ha comportato, in termini di costo.
Perché non fa questo, signor presidente? Forse perché non può? «Non giudicate le mie camicie, ma i miei atti di governo», conclude Formigoni nella sua lettera. È proprio questo il punto. Esigere una risposta alle domande inevase sulla sua «Vacanzopoli» non è pruderie forcaiola, non è «demagogia stercoraria», non è spiare come spendono il proprio tempo e i propri soldi i ricchi e i potenti di questa «classe dirigente» italiana plasmata dall´arroganza cafona del quasi ventennio berlusconiano. Quello che Formigoni non capisce (e con lui molti disinvolti «ideologi della libertà», pronti a confondere ogni volta la difesa delle regole con il «moralismo») è che lui può andare in vacanza con chi vuole, può passare i Capodanni dove vuole, può pagare quanto e come vuole. Ma non può lasciare che aleggi il sospetto che i suoi viaggi e le sue vacanze siano pagate non da un amico qualsiasi, ma proprio da «quell´amico», che lavora con e per le imprese appaltatrici della Regione Lombardia. Perché in questo caso, anche se non dal punto di vista penale, almeno dal punto di vista fattuale quella che Formigoni chiama la «compensazione» si può rivelare, molto più prosaicamente, una forma di corruzione.
Per questo il governatore deve rendere conto. E deve ancora fornire tutte le risposte che mancano. È la fatica della democrazia, e l´etica della responsabilità. La stessa che ha spinto la ministra inglese Jacqui Smith a dimettersi per aver pagato con 32 sterline di denaro pubblico un dvd pornografico affittato dal marito. La stessa che ha costretto il presidente tedesco Christian Wulff a rassegnare il mandato per aver ottenuto un prestito a tasso troppo agevolato. Non c´è democrazia senza verità. O si è in grado di garantirla, o ci si dimette. Per questo l´opinione pubblica e i giornali hanno il diritto di pretendere da Formigoni una versione chiara e credibile, su ciò che è realmente accaduto in quei due capodanni.

La Repubblica 21.04.12