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"Bersani avverte il Pdl: state indebolendo il governo", di Simone Collini

«Imu, iva e accise. Tasse sul burlesque ». Pier Luigi Bersani ironizza via twitter sulle dichiarazioni di Silvio Berlusconi al processo Ruby. Ma il ragionamento che c’è dietro la frase è serio ed è quello che il leader del Pd porterà in giro in queste due settimane di campagna elettorale. Ovvero, se l’Italia deve pagare un prezzo così alto per far fronte alla crisi, la responsabilità non è di chi governa oggi ma di chi questa crisi per troppo tempo l’ha negata.
TENSIONI DA CAMPAGNA ELETTORALE
Bersani ha visto che il Pdl ha dato il via a un’operazione neanche troppo mascherata: lanciare segnali di scontento per le misure economiche volute dal governo Monti e lisciare il pelo all’antipolitica montante. La campagna elettorale per le amministrative può essere considerata una giustificazione,ma fino a un certo punto.
Prima l’offensiva contro l’Imu, poi ieri l’annuncio di voler dar vita a un nuovo partito che rifiuterà il finanziamento pubblico: al leader del Pd non piace come si sta muovendo Alfano nelle ultime ore perché un simile attivismo rischia di indebolire pesantemente il governo. Per questo Bersani – nel momento in cui il Pdl dice al premier per bocca del capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto che «è fondamentale non montarsi troppo la testa e non ritenersi l’uomo della Provvidenza» – ricorda le responsabilità di Berlusconi e soci, e lancia invece messaggi
rassicuranti circa il sostegno del suo partito a Monti. «Il Pd non è in una situazione comoda – riconosce il segretario -ma ha dato la sua parola e quando noi diamo la parola non scherziamo». Certo, non tutte le misure volute dal governo convincono i Democratici (e Bersani il giorno dopo l’uscita del ministro Fornero definisce
«singolare» pensare di far tornare al lavoro gli esodati). Ma, dice
il leader del Pd negando per quel che lo riguarda l’ipotesi che si vada al voto anticipato in autunno, «il cammino va concluso».
FINANZIAMENTO E SISTEMA DI VOTO
Il Pd vuole che Monti arrivi a fine legislatura anche per evitare di tornare nuovamente alle urne col Porcellum. Per martedì è previsto un nuovo vertice degli sherpa di Pd, Pdl e Terzo polo per arrivare a una bozza condivisa di nuova legge elettorale, ma a questo punto è chiaro che il vero nodo è se tutti siano veramente desiderosi di andare alle prossime politiche con un diverso sistema
di voto. «Noi siamo intenzionati ad approvare una nuova legge elettorale, perché questa è una vergogna », dice Bersani. «Dopo le amministrative bisognerà chiarirsi bene perché vorremmo essere sicuri che di questo siano convinti anche gli altri».
Un chiarimento con il Pdl servirà anche sul capitolo riforma dei partiti e finanziamento pubblico. Alfano, che soltanto pochi giorni fa aveva firmato insieme a Bersani e Casini una proposta di legge per introdurre maggior controllo e trasparenza sui rimborsi elettorali, ora annuncia che rinuncerà al finanziamento pubblico.
Bersani ritiene che «il sostegno alla politica è un principio di democrazia» ma sa che in una situazione difficile come quella che sta attraversando il Paese «è giusto che la politica faccia il suo sforzo». Così il Pd presenterà nei prossimi giorni una proposta per riformare le attuali norme di finanziamento ai partiti. Un
testo che prevede anche la riduzione del contributo pubblico, ma senza strizzatine d’occhio all’antipolitica come ha fatto Alfano con l’uscita sul nuovo partito autofinanziato.
«Sono per mettere un limite alle spese elettorali ma noi non prendiamo lezioni da nessuno, nemmeno da Grillo», è il messaggio che lancia Bersani. «La cattiva politica si combatte non con l’antipolitica,ma con la buona politica». E ora al Pd aspettano di
vedere quale sarà la strada che sceglierà il Pdl dopo questa campagna elettorale.

l’Unità 22.4.12

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Intervista a Stefano Fassina «Al centro operazione di marketing politico. Sul Pd Fioroni sbaglia», di Simone Collini

Il responsabile economico dei Democratici: «La nostra identità non era l’antiberlusconismo Pareggio di bilancio: giuste le critiche»
Un partito non è un’espressione di marketing elettorale», dice Stefano Fassina guardando alla «più grande novità della politica italiana» annunciata da Berlusconi e Alfano. Ma non è solo il movimentismo del Pdl a lasciare perplesso il responsabile Economia del Pd. «Ho sentito anche dai vertici dell’Udc parole che mi hanno fatto pensare più al marketing che a un progetto serio».
A cosa si riferisce?
«Il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa ha detto che il partito della nazione si rivolge a tutte le persone di buon senso».
E allora?
«Bè, abbiamo scoperto che carattere distintivo di una forza politica può essere il buon senso. Un partito dovrebbe essere un’impresa culturale per la storia del proprio Paese, dovrebbe dare una prospettiva di futuro. Le operazioni di questi giorni sembrano soltanto ripackaging di ceto politico, magari con qualche innesto tecnico, piuttosto che l’offerta di un programma credibile in grado di portare il Paese fuori dal tunnel». A sentire il suo compagno di partito Beppe Fioroni non sono operazioni da sottovalutare e anzi il Pd dovrebbe a questo punto fare autocritica: “i partiti si sono trasformati di fatto nei fan club di questo o quel leader”, ha detto all’Unità.
«È un’analisi sbagliata. Il Pd non è stato mai un fan club, siamo un partito vero. Bersani fin dalla campagna congressuale ha chiarito che non avrebbe mai messo il suo nome nel simbolo elettorale».
Dice anche Fioroni che “prima” potevate fare alleanze nel segno dell’antiberlusconismo, ora dovrete chiedere il voto perché siete “i migliori”.
«Anche questa valutazione è incomprensibile. Il Pd non si è sorretto sull’antiberlusconismo, ha costruito un profilo identitario, politico e programmatico sempre più definito a cui hanno concorso tutte le sensibilità del partito. Come esempio di questo processo sottolineerei la nostra analisi e proposta autonoma sul lavoro, senza la quale non sarebbe stato possibile raggiungere un risultato importante come quello sull’articolo 18, innovativo e coerente con la civiltà del lavoro europea». Risultato che sarà messo in discussione in Parlamento, a sentire il Pdl.
«La parte sull’articolo 18 non verrà toccata dal percorso parlamentare perché è frutto di un accordo politico. Il passaggio in Parlamento migliorerà i punti sulla flessibilità in entrata, che non funziona per le imprese e di conseguenza per i lavoratori, e sui contributi per i parasubordinati, per i quali andrà anche estesa l’indennità di disoccupazione, da cui oggi sono esclusi.
Che ne pensa dell’uscita della Fornero, per la quale ai lavoratori esodati lontani dalla pensione si possono offrire “nuove opportunità occupazionali”?
«Il punto fondamentale è che chi è stato colpito dalla brutalità dell’intervento pensionistico non può rimanere senza pensione e senza reddito. Ma è complicato per questi lavoratori usciti attraverso la mobilità, con la chiusura di aziende, o attraverso accordi aziendali con cui sono stati sostituiti da altro personale, ritornare al lavoro. Per di più in una fase, come quella attuale, caratterizzata da una ulteriore contrazione occupazionale. La soluzione per gli esodati è prevedere le risorse necessarie per farli accedere al pensionamento secondo la previgente normativa». Tornando ai movimenti al centro: non è giusto rispondere alla domanda di cambiamento che arriva dalla società?
«L’obiettivo del Pd non è inseguire un astratto elettorato ma recuperare consenso in un’area vastissima che vuole sì cambiamento, ma progressivo. Questo è stato dimostrato nei referendum sui beni comuni, nel movimento delle donne, nei movimenti sul lavoro. È un’area che si sente lontana dalla politica perché questa appare incapace di articolare una prospettiva diversa rispetto a un pensiero unico che ci sta portando a sbattere». Cosa intende dire?
«Che se la politica si limita ad essere l’attuazione di lettere che arrivano da Francoforte e da Bruxelles non si capisce a cosa serva. Oggi viviamo una fase di crisi democratica di cui la crisi dei partiti è la parte più evidente. Se la politica non è in grado di mettere in campo un pensiero autonomo e una prospettiva in grado di rispondere ai drammatici problemi che abbiamo di fronte, se si limita ad attuare i diktat che arrivano dall’empireo tecnocratico, è difficile che ritroverà fiducia da parte dell’elettorato». Massimo D’Antoni e Ronny Mazzocchi hanno scritto sull’Unità che il pareggio di bilancio in Costituzione “è un cedimento della politica”. Lei che dice, visto che il Pd l’ha votato? «Hanno ragione, è certamente frutto di subalternità culturale assumere come vincolo costituzionale la norma del pareggio di bilancio, di per sé espressione di una cultura economica fallita. Tuttavia l’Italia si è trovata a fare i conti con un vincolo politico e quel voto è stato il prezzo necessario da pagare per costruire una politica di bilancio nell’area Euro legittimata democraticamente».

L’Unità 22.04.12