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"Francia, tutto può ancora succedere", di Cesare Martinetti

Marine Le Pen è la sola a cantare vittoria e lo fa usando uno slogan del ’68: «Ce n’est qu’un debut, continuons le combat», è solo l’inizio, la battaglia continua. Il padre, Jean-Marie, vecchio combattente della Francia nera di Vichy non avrebbe mai nemmeno pensato di citare gli studenti del Maggio parigino: è il cambio di generazione, da quella post-bellica a quella post-ideologica. E quasi un francese su cinque ha votato per questa signora bionda che promette di far «esplodere i due partiti della finanza e delle banche».

I due partiti, o meglio i due capi di quei partiti, sono Nicolas Sarkozy e François Hollande, presidente e sfidante socialista, che ieri hanno avuto il primo verdetto dopo quasi un anno di campagna elettorale: ha vinto Hollande (28,50%), ma meno di quanto si pensava. Sarkozy (27,09%) è l’unico presidente della Quinta repubblica a uscire battuto al primo turno. Ma nel caso di sconfitta tra quindici giorni non sarebbe il primo a non venire riconfermato: è capitato a Giscard d’Estaing nell’81 di fronte a Mitterrand.

Anche Hollande, in caso di sconfitta, non sarebbe il primo: Lionel Jospin era in testa al primo turno del ’95 ma fu poi battuto da Chirac. Tutto questo per dire che nella corsa presidenziale secondo la liturgia della République niente è giocato e tutto è ancora possibile.

Da ieri sera è cominciata una nuova partita che si svolge su regole diverse da quella che si è appena conclusa. Nel primo tempo i candidati devono dividersi e gli elettori esprimono la loro identità. Nel secondo i due sfidanti si fanno «rassembleurs» devono cioè riunificare un campo per arrivare al 50 più uno per cento dei voti che permetterà a uno di loro di vincere.

L’aritmetica dice che questo campo, stando al risultato di ieri, è leggermente più largo a destra. Sommando i voti di Sarkozy e Le Pen si arriva intorno al 44, quelli di Hollande con il Front de gauche di Mélenchon e i verdi di Eva Joly si va a poco più di 42. In mezzo ci sono i voti del centrista Bayrou (che nel 2007 aveva fatto 18 e ieri solo 8). E qualche uno virgola dei quattro candidati minori, di destra e di sinistra.

Ma in politica i conti dell’aritmetica non tornano quasi mai. Bayrou può oscillare sia a destra che a sinistra, i suoi elettori anche. I voti di Marine Le Pen, poi, non è affatto detto che finiscano su Sarkozy. Lei si pronuncerà il primo maggio, giorno della tradizionale sfilata lepenista per le strade di Parigi con omaggio alla statua di Giovanna d’Arco alle Tuileries. Ma è facilmente prevedibile che non darà alcuna consegna di voto. Sarkozy, nell’immaginario e nella pratica della politica di Marine (e di suo padre) è il vero avversario: la destra che svende la Francia. Per lei Sarkò è uguale a Hollande. Dopo un’intera campagna elettorale condotta contro il presidente della Repubblica, sarebbe davvero incomprensibile invitare a votare per lui. Il Front si dichiara contro il sistema, non sta nel gioco della politica, all’Assemblée Nationale non c’è nemmeno un deputato lepenista.

Ciò non significa che tutti gli elettori del Front seguiranno la loro leader. È un elettorato imprevedibile e sostanzialmente antisistema. Un conto approssimativo fatto sui flussi elettorali del passato dice che il 50 per cento, più o meno, voterà per Sarkò, un 25 non voterà per nessuno, il restante 25 per il candidato della sinistra. E non deve stupire: la carta del voto del Front National ricalca quasi al millimetro la mappa della crisi industriale francese. Voti operai in fuga dalla sinistra, ma anche capaci di scegliere, al secondo turno, tra un socialista e Sarkozy.

Per la sinistra i conti sono più facili. Jean-Luc Mélenchon, leader del Front de gauche e sorpresa della campagna elettorale, ha preso meno di quanto dicevano i sondaggi (11,7 contro 14), ma non ci sono dubbi sul fatto che tutti i suoi voti finiranno a Hollande. Lui stesso (che fino a due anni fa era nel Ps) ha fatto appello al voto contro Sarkozy dieci minuti dopo la chiusura delle urne. Eva Joly, deludentissima candidata verde (2,3 per cento) ha fatto la stessa cosa. Il bottino di Hollande è certo e può solo crescere; quello del Presidente meno.

Ma da oggi si torna a zero e si ricomincia. Nicolas Sarkozy, ieri sera davanti ai militanti della Mutualité, è apparso confortato. È chiaro che temeva molto peggio. Hollande, nella sua Tulle, lontano da Parigi, è sembrato prudente. Sarkò ha subito calato la carta della sfida: tre dibattiti televisivi invece dell’unico previsto. Il presidente, secondo natura, si butta anima e corpo nella lotta. È questa la misura della sua politica, che cinque anni fa l’ha portato all’Eliseo e che – forse – dopo cinque anni glielo farà perdere: giocarsi la faccia, rilanciare sempre. Hollande, che invece ha curato nel minimo dettaglio il rovescio dell’immagine del suo avversario (calma, fermezza, serenità) ha già detto di no. La temperatura è alle stelle. Come direbbe Madame Le Pen «continuons le combat».

La Stampa 23.04.12