attualità, cultura

"Giovani oltre i limiti- Fra sogni e trasgressioni a caccia d’identità", di Carlo Buttaroni*

Si affacciano alla vita scoprendone i drammatici conflitti e gli inevitabili negoziati, insieme alla distanza che separa le loro aspirazioni dalla realtà che si gli apre davanti. All’inizio li orienta la volontà di vivere svincolati da qualsiasi condizionamento, la pulsione a emanciparsi dalla condizione pre-adolescenziale; poi il bisogno di scoprirsi entità autonome, pensanti; infine la scoperta che la vita non può essere che un compromesso tra desideri e necessità. L’altra faccia drammatica della crisi è quella dei giovani che inciampano fra i detriti di sogni troppo precocemente infranti. Avvolti da un’atmosfera rarefatta, senza più alcun punto di riferimento, rassegnati a un deficit di speranza che li porta a vivere un eterno presente dove per usare le parole di Sartre bisogna scegliere tra non essere nulla o fingere quello che si è. In questo habitat malinconico, in cui l’interlocuzione con il prossimo sembra passare quasi esclusivamente attraverso i social network, i giovani provano a muovere i primi passi, alcune volte troppo timidi per essere efficaci, altre volte sotto forma di salti nel buio alimentati dalla crescente insoddisfazione che li assale. Un’insoddisfazione che diventa timore e ansia da prestazione, che anche quando non rende ragione della loro vita reale, li spinge a cercare nuovi esasperati riferimenti che permettano di esorcizzare la realtà che non comprendono, o che vivono come estranea e distante. I progetti di vita non appaiono abbastanza forti a restituire significato al senso d’incertezza che avvolge i loro destini. E il modello familiare appare in piena crisi nel momento in cui al suo interno, al posto dell’ascolto e della parola, si alternano distratte attenzioni e vuoti silenzi, occasionalmente compensati dall’ultimo modello di cellulare o dall’automobile lanciata a folle velocità verso il nulla. Continuamente sollecitati a diventare predatori dell’ambiente che vivono, ma che gli è pericolosamente ostile, i giovani in crisi di futuro tendono a rompere gli argini, a spingersi verso un “oltre” che spesso significa immergersi in dimensioni sconosciute, esplorare nuovi territori che permettano loro di trovare un surrogato d’identità, in un mondo che sembra non riuscire a offrire altre prospettive. L’atto trasgressivo, forzando e mettendo in discussione norme sociali e collettive, se non anche violandole apertamente, mostra in filigrana un’esistenza precaria e confusa, che spinge i giovani a conoscersi e a riconoscersi attraverso il contrasto, a sperimentare i propri limiti per verificare fino a che punto coincidano con quelli collettivamente accettati. Per poi infrangerli di nuovo, in un continuo superamento dei limiti. Ecco allora che si manifestano la seduzione della droga e comportamenti rituali emulativi come effetti, allo stesso tempo, del conformismo e dell’anticonformismo. I gesti senza movente riconducono sempre a un’insensatezza di fondo e al fatto che la vita è intesa uguale alla morte. E che le regole primordiali dell’amore e dell’odio non vengono sentite come tali e non spiegano le ragioni del gesto, che dovrebbe invece avere una ragione e un perché. Un’esistenza così vissuta spinge all’illusione dell’apparire e alla pubblicizzazione dell’intimità, che nettamente differiscono dal «cielo stellato» e dalla «legge morale», connesse alla consapevolezza di andare come diceva Paul Valéry «senza dei verso la divinità». Le trasgressioni estreme che vivono i giovani non sono, come dovrebbero essere, il riaggiustamento della propria socialità percepita come imperfetta. Lo scontro e la conflittualità individuale rappresentano, invece, l’estremo tentativo di riappropriarsi della propria vita, coscienti della propria diversità, e rendere socialmente visibile la trasformazione. Ogni trasgressione è percepita come una sfida da affrontare, dove l’esito si deposita in un bagaglio di esperienze intorno alle quali l’identità del giovane tende a disporsi. Il quadro che sembra emergere indica proprio il dischiudersi di due dimensioni: l’una legata al naturale processo evolutivo dall’adolescenza alla maturità, l’altra correlata strettamente al contesto nel quale i giovani sono immersi. Un ambiente sociale surreale, in cui il pensiero e l’azione sembrano elementi sconnessi e scoordinati, anziché la naturale conseguenza l’uno dell’altro. Una dicotomia in cui trovano spazio anche quei comportamenti a rischio che sembrano caratterizzare così fortemente le nuove generazioni. È come se alla base vi fosse un processo che inizia con l’esplorazione della propria identità,ma che si conclude nel momento stesso in cui una delle possibili forme è intravista dall’esterno. E in quel riconoscimento vi è la selezione di un’identità possibile ma provvisoria che esprime tutta questa socialità imperfetta. Non è più l’individuo lacaniano che si riconosce nello specchio ma è l’individuo che si riconosce solo nello specchio riflesso degli occhi degli altri, dove la positività su ciò che si è, viene vissuta solo in stretta dipendenza con il grado di accettazione da parte degli altri. Per dirla con Galimberti, i giovani, anche se non sempre ne sono coscienti, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che segnano la loro età, ma perché un ospite inquietante penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti. Un sentimento che sembra gettare i giovani in un’impotenza assoluta di fronte al futuro e alla vita che avanza. Solo il presente ha senso. Un presente da vivere con la massima intensità perché permette di seppellire l’angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che si perde di vista il senso della vita. Un’angoscia che si traduce nell’incapacità di elaborare un pensiero che consenta di uscire dal suo effetto collaterale più evidente: vivere la vita in uno stato di costante incertezza e precarietà. Quello dei giovani è un grido forte e sottovalutarlo sarebbe il più tragico degli errori perché il grande rischio della nostra epoca è che le nuove generazioni si ritirino dal futuro, rifugiandosi in una curva del tempo priva di valori assoluti, che può solo proporre da quale luogo partire, ma nessun luogo dove andare.
*Presidente di Tecnè

L’Unità 23.04.12