attualità, politica italiana

"Restaurare il futuro?", di Ilvo Diamanti

IL “dopo-Monti” rischia di essere più vicino del previsto. Non perché le elezioni anticipate siano divenute probabili. Ma perché oggi è divenuto altrettanto improbabile l’ipotesi che Monti succeda a se stesso. Nelle ultime settimane, infatti, il calo di consensi verso il governo ha assunto proporzioni ampie. Superiori a 15 punti percentuali. Sarebbe sceso intorno al 50% secondo Ipsos, ma molto al di sotto secondo Demose il Cise diretto da Roberto D’Alimonte. Ciò segna la fine del singolare paradosso dell’esperienza di Monti, accompagnato da un alto livello di gradimento personalee verso il governo, ma da un elevato grado di insoddisfazione verso le politiche governative. Fino a ieri. Mentre oggi l’insoddisfazione verso i provvedimenti sembra essersi trasferita direttamente su chi ne ha la responsabilità. Dunque, su Monti. Le ragioni di questo rapido mutamento del clima d’opinione sono diverse.

1. In primo luogo, l’impatto di alcuni provvedimenti. La riforma del mercato del lavoroe dell’articolo 18. Ma soprattutto, a mio avviso, gli interventi sul sistema fiscale, in particolare l’Imu. Che colpisce direttamente il più tradizionale e diffuso metodo di “accumulazione” delle famiglie – peraltro, “ereditario”. In un Paese dove circa l’80% delle famiglie possiede un’abitazione e oltre il 20% almeno un’altra, questa “tassa” ha sospeso la “tolleranza” riservata al governo Monti.

2. Un’altra causa della svolta nell’opinione pubblica è, certamente, il riaprirsi delle difficoltà finanziarie del Paese sui mercati internazionali. Scandite dalla ripresa del famigerato “spread”. Di cui pochi conoscono il significato, ma che tutti hanno identificato come simbolo del “pericolo greco”, trasferito all’Italia. Ciò ha ridimensionato l’indulgenza dei cittadini verso Monti. Il “medico” le cui cure – dolorose – erano accettate dal paziente – il cittadino in quanto necessarie. Da quando i mercati internazionali hanno mostrato che la malattia è lungi dall’essere guarita, anche la fiducia verso il medico e le sue terapie si è improvvisamente abbassata.

3. Peraltro, Monti aveva utilizzato il sentimento anti-partitico come argomento per marcare la propria differenza. Di “tecnico” lontano e distinto dalla politica. In grado, per questo, di prendere “decisioni”, senza cedere a mediazioni defatiganti e frustranti. Ma oggi è divenuto evidente che Monti e il governo possono assumere decisioni e renderle effettive solo con il sostegno dei partiti presenti in Parlamento. La cui decomposizione si riflette sulla in-decisione del governo.

Ciò non significa che il governo Monti non possa recuperare la fiducia dei cittadini, nel prossimo futuro. Attraverso provvedimenti che affermino, maggiormente, il principio di equità sociale. Tuttavia, i maggiori cedimenti rilevati nel clima d’opinione colpiscono proprio i caposaldi del consenso al governo. Gli elettori del Pd, i ceti medio-alti, le componenti di età matura, a istruzione più elevata. Mario Monti, dunque, resta un leader di governo autorevole, ma difficilmente il Montismo si imporrà come un modello e un’ideologia di successo. Torna, piuttosto, ad essere concepito – dai cittadini e prima ancora dagli attori politici – come una pausa, una tregua.

In attesa di una prossima, incerta stagione di confronto elettorale. Ciò ha accelerato le tendenze degenerative riassunte dalla definizione un po’ indefinita dell’Antipolitica. Che viene utilizzata: a) per significare il peggioramento del clima d’opinione verso le istituzioni e i partiti.

Sottolineato dalla rapida crescita, nei sondaggi, dell’area grigia dell’astensione e dell’incertezza. Prossima, ormai, al 50%; b) ma anche per spiegare il consenso al Movimento 5 Stelle, ispirato da Beppe Grillo. Stimato oltre il 7%.

In effetti, la presunta “antipolitica” sottolinea soprattutto l’impotenza politica dei partiti e l’incapacità della classe politica di reagire alle ragioni del proprio discredito con iniziative, se non sostanziali, almeno ad alto contenuto simbolico. Basti vedere le difficoltà che incontrano i tentativi di prendere provvedimenti in tema di finanziamento pubblico ai partiti. Per non parlare dell’infruttuosa ricerca di nuovi sistemi elettorali. L’antipolitica riflette, ancora, la crisi del principale soggetto antipolitico che ha attraversato la Prima e la Seconda Repubblica. La Lega. Stressata da se stessa, dai propri comportamenti e dalle proprie divisioni interne, piuttosto che dagli avversari politici e dagli stessi magistrati.

L’antipolitica, per questo, appare, soprattutto, un argomento politico, utilizzato contro gli avversari politici. Non solo da movimenti (in)definiti in questo modo. Ma da tutti gli attori politici e dallo stesso Monti. D’altra parte, se osserviamo la composizione degli elettori di Grillo, appare evidente come sia difficile liquidarli come “antipolitici”. Tra di loro, infatti, appare molto più alto della media il peso delle componenti di età centrale (da 30 a 54 anni), di istruzione più elevata, con maggior grado di interesse e informazione politica. Un terzo di essi, alle elezioni del 2008, si era astenuto, ma un quarto aveva votato Pd e il 16% circa Idv.

Più che l’antipolitica, questi dati suggeriscono il cedimento del sistema partitico. Il quale appare, d’altronde, frammentato, anzi: frantumato, senza poli né modelli di riferimento. Il Pd intorno al 26%. Il Pdl al 20%.

Entrambi in declino. I loro alleati, Idv, Sel e Lega: all’opposizione. L’Udc e il Terzo Polo: sospesi fra Centrodestra e Centrosinistra. Tutti quanti, ad eccezione dei due partiti principali, fra il 6% e il 10%.

L’indebolirsi del Montismo, come prospettiva del post-berlusconismo, pare aver prodotto una sorta di big bang. In cui si agitano progetti di nuovi partiti. Inventati da Berlusconi, nel segno del marketing elettorale.

Oppure ri-progettati da postdemocristiani di lungo corso.

Come Casini e Pisanu. Solo il Pd, per bocca del leader, Bersani, ha il coraggio di rivendicare “l’usato sicuro”. Confermando, involontariamente, l’assenza di rinnovamento che lo affligge. Il problema è, come si è già detto, che dopo Monti nulla resterà come prima. Soggetti politici e classe politica: non potranno più ri-presentarsi allo stesso modo, con le stesse facce. Perché il Montismo ha segnato, comunque, una rottura: di stile, modello di comportamento, competenza.

Vedere il Nuovo annunciato da Berlusconi, Pisanu, Casini, lo stesso Bersani. È come pretendere di “restaurare” il futuro. Con un puzzle di pezzi raccolti dalla Prima e dalla Seconda Repubblica. Rischia solo di rafforzare il peso di chi “si chiama fuori”. Attraverso il non voto o la critica radicale di Grillo.

La Repubblica 23.04.12

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