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"Quei diritti che l'Italia non assicura", di Vladimiro Zagrebelsky

Le visite che il presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo periodicamente svolge in ciascuno dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa non hanno né lo stile, né il contenuto di una ispezione. Tuttavia non si tratta solo di tener contatti protocollari e di cortesia. Non saranno quindi privi di interesse gli incontri che il presidente della Corte – che è il giudice britannico Nicolas Bratza – e il giudice italiano Guido Raimondi avranno oggi con il Presidente della Repubblica e la ministra della Giustizia. Sarà l’occasione per fare il punto.

L’Italia ha più di un problema quanto all’obbligo di riconoscimento e protezione dei diritti e delle libertà assicurati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, assunto con la ratifica nel 1955. Prima fra tutte la questione dell’inefficienza del sistema giudiziario, nelle sue componenti di complesse norme procedurali, utilizzazione delle risorse a disposizione, attività della magistratura, incidenza dell’imponente avvocatura italiana. Sono ormai quasi trent’anni che la Corte segnala il grave problema, con le condanne dell’Italia per la violazione del diritto delle parti alla ragionevole durata dei procedimenti. Nessun decisivo passo verso la soluzione è stato fino ad ora compiuto, mentre addirittura da qualche tempo l’Italia si espone a nuove violazioni della Convenzione ritardando in ogni modo il pagamento delle somme che le Corti di appello assegnano ai ricorrenti per riparare la violazione del loro diritto. La massa dei ricorsi alla Corte di Strasburgo è tale da avere ormai portato un consistente intralcio al normale funzionamento della Corte e quindi del sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali, che sul ruolo della Corte si fonda.

Un altro fronte si è recentemente aperto e riguarda le condizioni dei detenuti, che per il sovraffollamento delle carceri sono spesso tali da poter essere qualificate come trattamento inumano e degradante. Sono ormai centinaia i ricorsi presentati alla Corte da altrettanti detenuti italiani.

Entrambi i temi, urgenti e ineludibili, sono ben presenti alle autorità e ai cittadini italiani. Essi hanno anche un risvolto di responsabilità dello Stato, che incide sulla sua credibilità internazionale.

In recente passato, il governo precedente aveva dato luogo a vive proteste da parte del Consiglio d’Europa per le ripetute violazioni degli obblighi derivanti dai provvedimenti della Corte. Con comportamenti inusitati da parte di uno Stato europeo, sono state ignorate le disposizioni della Corte di non espellere determinate persone in Tunisia ove sarebbero state esposte a serio rischio di torture. Si trattava, è vero, di condannati in Italia per attività di sostegno a reti terroristiche, ma il divieto di tortura, nella cultura europea, garantisce tutti ed è inderogabile. Quelle violazioni commesse dall’Italia e sanzionate dalla Corte europea sono passate qui incredibilmente quasi sotto silenzio, ma a livello europeo hanno fatto molto male alla reputazione dell’Italia.

L’occasione della visita e degli incontri in Italia consentirà al presidente Bratza di discutere e chiarire anche l’esito della recente conferenza di Brighton, in cui i governi dei paesi membri del Consiglio d’Europa hanno indicato la necessità di riforma del sistema, per permettere alla Corte di svolgere efficacemente il suo ruolo. Ora la massa di ricorsi (oltre 50.000 all’anno) schiaccia le strutture della Corte, ritardandone oltre misura le decisioni. La conferenza, oltre ad indicare una serie di modifiche procedurali e a dar atto della necessità di elaborare più profonde riforme destinate ad assicurare l’efficienza del sistema a lungo termine, ha affrontato un tema molto delicato. Il Regno Unito, organizzatore della conferenza, spingeva perché si inserisse nella Convenzione una disposizione che obbligasse la Corte a riconoscere agli Stati un ampio margine di valutazione nazionale nell’adempiere ai loro obblighi. In molte ipotesi – ma non quando si tratta di diritti inderogabili, come quello alla libertà personale o il divieto di tortura o trattamenti inumani o degradanti – un margine di apprezzamento nazionale è riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte. Ma l’intenzione del Regno Unito era di andare ben oltre, in una misura che avrebbe finito per vanificare il controllo europeo che la Corte svolge a garanzia dei diritti dei singoli. Il tentativo non è andato a buon fine. Pare che il richiamo al margine di apprezzamento nazionale troverà posto in qualche modo nel Preambolo della Convenzione. Competerà comunque alla Corte di elaborare la propria giurisprudenza in proposito, senza cedere agli interessi dei governi a scapito della protezione dei singoli. L’indipendenza della Corte e la sua natura strettamente giudiziaria sono il pilastro della costruzione europea del sistema di difesa dei diritti individuali. Di ciò ha parlato a Brighton il presidente della Corte, ricordando che non c’è tutela dei diritti se non c’è la possibilità di accesso a un giudice la cui indipendenza non sia messa in crisi o appannata dalle pressioni dei governi. C’è motivo di credere che su questo il presidente della Corte riceverà assicurazioni da parte dei suoi interlocutori italiani.

La Stampa 03.05.12