attualità, politica italiana

"Se la democrazia sa autocorreggersi", di Nadia Urbinati

Se si vuole procedere alla cura della democrazia dei partiti occorre leggere i fondamenti della legittimità democratica non in astratto, ma nel contesto della crisi della rappresentanza. Ora, la rappresentanza elettorale è la fonte principale e insostituibile di legittimità, ma non è la sola. Altre istituzioni si sono col tempo mostrate essenziali e in qualche modo supplementari rispetto alle elezioni. Lo scopo di chi si preoccupa della cura dovrebbe essere quello di immaginare le istituzioni o gli interventi di riforma che meglio possano contribuire a riportare la fiducia nella democrazia.
La quale, se guardiamo alla sua storia, è un interessante caso di permanente sperimentazione e creazione di strategie, regole e istituzioni volte a risolvere problemi che lo stesso processo democratico di decisione genera. Insomma la democrazia è un sistema in perenne movimento, capace, se così si può dire, di riaggiustare se stessa in corsa. Per questa sua connaturata elasticità è stata capace di resistere con successo alle sfide e di rinascere dopo tragiche cadute.
La democrazia moderna ha fino ad ora avuto tre fasi di vita. Nella prima fase, quella costituente, l´innovazione è stata fondativa – ha generato lo scheletro e il dna che ne designa la fisionomia. Nella seconda fase, quella del consolidamento, l´innovazione è stata accrescitiva – l´arricchimento dei diritti individuali e sociali, la creazione di agenzie per la distribuzione delle risorse, infine la messa in cantiere di istituzioni rispondenti non all´opinione elettorale ma a quella contenuta nella legge fondamentale (per esempio la corte costituzionale o la banca centrale). La terza fase, quella che ci interessa direttamente, dovrebbe consistere nell´innovazione riparatoria e rigenerativa. Questo è il compito che ci sta di fronte.
Allo stato attuale, la nostra è una democrazia parlamentare. La quale, vale la pena insistere, si regge sui partiti politici non su individui che si candidano come singoli. La democrazia rappresentativa non è un´oligarchia elettiva e se rischia di diventarlo dobbiamo correre ai ripari. Tuttavia la democrazia parlamentare non si regge solo sui partiti. La miriade di associazioni politiche, i giornali e i media, i sindacati sono essenziali componenti nella costruzione della legittimità democratica. Ma c´è altro ancora. Per funzionare la democrazia parlamentare ha bisogno di buone istituzioni di controllo, politiche solo per via “indiretta”. Istituzioni che monitorano, che sorvegliano, che gettano luce – quelle che nei paesi anglosassoni si chiamano authority. Sul modello delle corti, e con metodi di selezione dei componenti che siano impersonali e non di nomina partitica, assomigliano alla struttura delle burocrazie ma non sono incardinate nelle funzioni ministeriali perché non devono distribuire servizi, beni, sanzioni, ecc. Devono invece sorvegliare che la democrazia dei partiti funzioni secondo le norme: che ci sia accountability e correttezza nell´uso delle risorse.
Le democrazie moderne sono liberali e rispettose dei diritti della persona. Non possono né devono ripercorrere la strada dei censori come le antiche repubbliche né diventare plebiscitarie. Devono però dotarsi in fretta e con saggezza di istituti di sorveglianza in primo luogo per eliminare l´accumulazione di incarichi dei politici, per far dimagrire la disponibilità materiale dei partiti, e soprattutto per riportare i partiti nell´alveo delle loro funzioni di rappresentanza, togliendo loro quel potere discrezionale che si sono attribuiti negli ultimi decenni: per esempio quello di gestire le nomine negli enti pubblici o a partecipazione pubblica. Nomine e contratti al posto dei concorsi pubblici non solo non hanno diminuito i costi della pubblica amministrazione ma hanno contribuito al degrado. La critica ai partiti è salutare se punta il dito in direzione dei luoghi giusti – nelle periferie non meno che nel centro quindi. Il grido “Roma ladrona” ha avuto tra l´altro il grossissimo difetto di distogliere l´attenzione dal governo locale, quel reticolo di potere che è invece alla base della forza – e della potenziale debolezza per corruttela – dei partiti. L´infeudamento della Lega Nord ne è una conferma.
La democrazia dei partiti o parlamentare riacquisterà salute se saprà leggere il sintomo del male che l´affligge e sentire il dolore. Il sintomo è la disaffezione dei cittadini. È la crisi di legittimazione morale che ci dovrebbe guidare a decifrare l´origine del danno, il quale sta non nei partiti politici in quanto tali, ma in ciò che essi sono diventati in questi anni di regime privatistico e patrimonialistico che ha contaminato l´intero sistema politico italiano e gravemente minato l´etica pubblica. Non si uscirà dall´epoca berlusconiana (dalla seconda repubblica) fino a quando non si comprende che qui sta l´origine del problema, che si chiama arbitrio, abuso, privatismo, discrezionalità, manipolazione.
Se questo è il problema allora la democrazia dei partiti deve rimediare curando se stessa e lo può fare se affida a regole e metodi non-partitici il compito di riportare la loro azione nell´alveo della rappresentanza politica. I partiti devono tornare a fare quello che devono: fare politica, reclutare classe dirigente per il presente e il futuro, studiare i problemi della società e cercare con l´aiuto delle competenze le forme migliori per risolverli, dialogare con le altre forze politiche europee ed uscire dall´autarchia elettoralistica che ha alimentato la corruzione. Devono ritornare a creare e ispirare centri di ricerca. Sono anche i partiti ad aver bisogno di competenze non solo l´amministrazione pubblica. Sono i partiti a dover avvicinare gli “intellettuali”, quelli che Luigi Einaudi in un magistrale articolo degli anni ‘50 intitolato “Conoscere per deliberare” chiamava “teorici” che sanno mettere i principi costituzionali al servizio del giudizio politico sulle scelte da fare o non fare. La democrazia dei partiti si curerà quando saprà trovare nei suoi fondamenti la ragione del proprio valore. E per questo essa ha bisogno di interventi anche radicali che tolgano quelle incrostazioni di arbitrio che si sono accumulate negli anni. Toglierà così anche ossigeno al populismo e alla rabbiosa retorica dei nuovi demagoghi.

La Repubblica 04.05.12