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"Quegli 80mila ragazzi in coda per fare X Factor", di Francesco Merlo

Valgono quanto i ragazzi che intasano le prove selettive a Medicina questi ottantamila talenti di X Factor che stanno per sbancare l´Italia, ottantamila giovani aggrappati ad uno dei pochissimi concorsi senza trucchi né familismi, senza raccomandazioni né baronie. Gli iscritti sono già arrivati a quota ventimila ma solo a Bari ieri si sono presentati in cinquemila. E oggi sono attese le variopinte carovane dalla Sicilia e dalla Calabria. Poi toccherà a Roma e a Milano. Ma questa massa che si sposta e risale l´Italia non è la solita folla indistinta e volgare che sempre si raduna attorno a qualsiasi fuoco fatuo. E non c´è nulla di fru fru nel loro abbigliamento pop che è già costume di scena. E non c´è l´esibizionismo sconcio da Grande Fratello nei cappelli a tuba, nelle mantiglie rosse e negli stivaloni aderenti a gamba alta sotto i pantaloncini corti e colorati come la bandiera americana. Né questi sono i questuanti che vogliono comprare l´iPod scontato nel nuovo negozio di Trony e perciò bloccano il traffico di Roma. Somigliano semmai molto di più ai 300mila che hanno fatto domanda per i 1.995 posti al Comune di Roma, ragazzi che cercano opportunità di lavoro in un´Italia ad alta disoccupazione e basso tasso di futuro, con la differenza che qui c´è almeno un talento di base che al Comune probabilmente non è richiesto.
E forse sono i discendenti legittimi del neorealismo, i nipotini e le nipotine di “Bellissima”. Ma questi ragazzi di X Factor, che l´anno scorso erano già cinquantamila, non vanno alla lotteria del corpo come le miss Italia, come la Loren, la Lollo, la Bosè e la Mangano che pure seppero poi costruire quello stile italiano che fece epoca, divenne fascino irresistibile, conquistò il mondo e niente altro era se non un quid misterioso, un fattore X appunto. E fu infatti l´x factor della Loren che Lello Bersani, il più famoso giornalista televisivo della Rai di allora, riuscì a mostrare agli italiani nella celebre intervista in vestaglia nell´intimità di una camera d´albergo. In quegli anni di povertà il quid misterioso stava certo nell´irruzione di una nuova idea di bellezza ma anche nello scandalo dell´attrice e del produttore che non erano sposati ma innamorati: «concubini e peccatori» fu la condanna della Chiesa.
E forse è vero che c´è un legame con i concorsi di quel tempo italiano in cui il pane era sincero, impastato di amore e fantasia. Ma oggi i ragazzi che saranno esaminati dalla giuria di X Factor affronteranno sicuramente una competizione più vera. In molti hanno studiato musica e canto, in tanti hanno fatto il conservatorio, li aspetta un torneo delle qualità canore, con un´idea nobile dell´agonismo e del merito che è merce sempre più rara nel Paese lazzarone della selezione impiattata. Anche la cosmesi creativa di queste aspiranti star non è così falsa come nei reality né è così pataccara come nelle sfide “culi e tette e silicone” per “bagagline” tv (non scrivo “veline” perché le soubrette di “Striscia la notizia” rivendicano arrabbiatissime di essere state scelte anche loro per talento e dunque di non corrispondere all´idea di degrado che la parola ormai esprime: affido ai linguisti questo conflitto tra la parola e la cosa).
Di sicuro la ricerca del “fattore x” è il motivo del successo planetario di una trasmissione televisiva che dall´Australia all´Italia, dall´India all´Inghilterra, dagli Stati Unti agli Emirati Arabi è diventata una vera scuola di formazione di talenti, una fabbrica di pop star. Inventato quarant´anni fa dall´inglese Simon Cowell, il programma coinvolge milioni e milioni di spettatori in tutto il mondo ed è una gara – spettacolo nel quale l´x factor lotta eroicamente per esprimersi. Non è l´Isola dei famosi che espone il peggio delle persone. È la caccia, la creazione, la costruzione di questo x factor che oggi è anche costruito con luci e telecamere, va cercato nel dosaggio tra falsità e verità, nel mondo delle apparenze, della disinvoltura, del trucco e della telegenia, nell´illusorio non completamente bugiardo, ma soprattutto nel talento, nella voce, nel canto. C´è insomma un fattore x che non è più il vecchio carisma, e ogni Paese ha la sua specialità misteriosa.
Così anche in Italia le trasmissioni come X Factor su Sky e “Amici” su Canale 5 sono scuole di formazione che hanno prodotto molte pop star. E tuttavia l´inquietante affollamento multicolore e polifonico che è già esploso ieri a Bari nella prima tappa di questa selezione rivela pure la speciale voluttà da successo di un Paese strampalato e stremato. E c´è la via italiana al quarto d´ora di celebrità così bene raccontata nel film di Woody Allen che sempre più si rivela profondo e indovinato. Nel film Roberto Benigni è «il signor coglione qualsiasi» che diventa famoso perché è venuto il suo momento di diventare famoso e il suo triste x factor è la scoperta che «siamo tutti uguali, i ricchi e famosi e i poveri e sconosciuti, ma è meglio essere ricchi e famosi».
Insomma in questo X Factor italiano accanto all´investimento sul talento c´è anche la funzione della tv come ufficio di collocamento che rivela il dramma dell´azienda Italia. Ieri a Bari i ragazzi sono arrivati come i pionieri della nuova frontiera. «Uno su mille ce la fa» canta Morandi. E però quando una mille ce l´ha fatta come è accaduto a Emma, laureata da “Amici” e vincitrice a Sanremo, bisogna stringere i denti e tenere posizione e botta perché la crisi ruba a tutti il futuro come Belen ruba il fidanzato.
E nell´X Factor italiano raccontato ancora da Woody Allen c´è quella specie di Morgan che solo sotto la doccia diventa un talento della canzone, virtuoso come Pavarotti: canta che ti passa. Ma nessun partito potrà promettere a questi ottantamila che stanno risalendo l´Italia il minimo garantito di talento, neppure sotto la doccia. Nell´X Factor italiano c´è solo il minimo garantito di disperazione: canta che non ti passa.

La Repubblica 06.05.12