attualità, politica italiana

"Il Cavaliere dileguato", di Filippo Ceccarelli

E nel frattempo la leadership di Berlusconi è evaporata. Se ne coglie qualche residuo a Mosca, dove nel giorno della più severa sconfitta del Pdl il Cavaliere ha assistito all´insediamento di Putin.E a questo proposito egli si è fatto scrupolo di notificare all´opinione pubblica che nella cerimonia, di cui ha ammirato la solennità, «a me è stato dato il posto d´onore, ero in prima fila dietro le first lady». Come dire, forse, che era in seconda fila.
Per il resto, liquidate le elezioni con il minimissimo indispensabile, l´ex presidente del Consiglio e presidente plenipotenziario e a vita del Pdl ha proseguito il suo tour di onori e spettacoli moscoviti come se quello che accadeva in Italia, e in particolare al povero Alfano, non lo riguardasse proprio. Non che tale pervicace estraniarsi, specie per un combattente come lui, sia la condotta più normale del mondo. Vero è che la dissimulazione rientra appieno nelle logiche della politica. Ma certo ripensando ai tanti possibili e anche truculenti esiti su cui per anni la pubblicistica s´è interrogata e variamente esercitata – Piazzale Loreto, senatore a vita, Idi di Marzo, fuga ad Antigua, finale del film «Il Caimano» – la riduzione allo stato gassoso del berlusconismo appare oggi una prospettiva abbastanza singolare nel suo plausibile svolgimento.
O almeno. Anche senza ricorrere alle leggi della fisica e all´evidente ribollire dell´acqua ben oltre le consuete temperature, le ultimissime testimonianze sullo stato d´animo lasciano individuare qualcosa di più serio della prevedibile e già espressa disaffezione. Nell´ultima settimana c´è chi ha descritto Berlusconi con la scrivania coperta di stenografici di intercettazioni – che assecondando la consueta nevrosi quantificatoria lui ha calcolato in un metro cubo di carte. Con altri si è concesso un sintetico sfogo sull´unico comizio tenuto in questa disastrosa campagna elettorale: «Io non sono più spendibile, non ho alcuna intenzione di ricandidarmi, l´altro giorno sono stato a Monza e mi sono stancato, stufato».
In Russia va senz´altro meglio. E´ la seconda volta che vola a Mosca dall´inizio dell´anno. I potenti di laggiù lo tengono in palmo di mano e tutti pensano che a parte gli affari del gas (come da resoconti divulgati della diplomazia americana), la notte i suoi gentili ospiti lo facciano anche divertire, come piace tanto a lui, ma senza i rischi nostrani: paparazzi invadenti, avidi prosseneti e amichette linguacciute. In compenso ieri mattina un giornalista americano l´ha visto e subito fotografato.
Diffusa in tempo reale su twitter, l´immagine consegna un Berlusconi piuttosto impettito, abito e sorriso d´ordinanza. Ripreso dall´alto e all´ombra di un colossale body-guard, sta salutando qualcuno che non si vede. Ma intanto, più qui grandinavano i risultati della debacle, e più quella foto sembrava rivelare in sé qualcosa di vagamente simbolico, un attimo di inespresso straniamento e una specie di passaggio: come se l´uomo che ha governato e sgovernato l´Italia negli ultimi tre anni e mezzo stesse prendendo congedo non solo da un´epoca, ma dalla sua stessa funzione nella vita politica italiana.
E´ possibile che nel corso della giornata si sia reso conto che la sua lontananza parlava più forte di quelle quattro parole auto-consolatorie che ha ritenuto di diffondere dopo la cena al Cremlino – e pure in questo caso il Cavaliere, così attento alle forme conviviali, ha tenuto a far sapere: «Ero seduto al tavolo con Putin». Ma questo rafforzato e ostentatissimo privilegio d´ospitalità non riesce minimamente a cancellare l´impressione invero bislacca di un leader sconfitto che si occupa delle Olimpiadi invernali di Soci 2013; e questo, per giunta, quando dal Palazzo di Giustizia di Milano filtravano amene narrazioni orgiastiche e paganeggianti sull´ostensione della statuetta di Priapo a villa San Martino; e dalla testimonianza di una ragazzetta colà invitata dall´ineffabile Emilio Fede arrivava una rivelazione che al punto in cui è arrivato il tran-tran del Rubygate può suonare perfino liberatoria: mentre scendevamo nella sala del bunga bunga, il presidente mi ha toccato il sedere.
E dire che qui lo aspetterebbero tante incombenze, drammaticamente lasciate a metà: il film su se stesso e per il quale non trova il regista giusto; il cambio del nome del Pdl, che va avanti ormai da più di un anno; il nuovo inno, pochissimo suonato, ma già ampiamente sbertucciato: pare abbia come titolo «Gente che resiste», e sul Foglio è già uscita una parodia del testo che fa: «Noi gente che spera e lotta/ e ormai si astiene dalla mignotta»…
Bisogna ammettere che fuori da Palazzo Chigi non è una vita né bella né facile. Nel teleduello Sarko e Hollande giocano a scaricaBerlusconi; qui c´è sempre qualche Lavitola o Tarantini che incombe, senza contare Fede, la Minetti, Lele Mora o qualche olgettina dissidente; né più si avverano le rosee profezie della graziosa tele-sensitiva bulgara. Altro che «padre nobile»! Aveva promesso il Cavaliere appena due mesi fa: «Farò il presidente del Milan, dell´Università liberale e me ne andrò in giro per il mondo a costruire ospedali». Ecco: il Milan ha perso lo scudetto; a villa Germetto si è esibita Eve la Plume in un autentico burlesque; e quanto agli ospedali da costruire, prima si vede e poi si crede.

La Repubblica 08.05.12