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"Beni culturali, ora sconti fiscali", di Andrea Carandini

La cultura oltrepassa il mantenimento materiale della vita ordinaria. Rappresenta l’aspetto libero, disinteressato e immateriale dell’esistenza. La cultura trasfigura la realtà, attira le cose nell’ordine superiore dello spirito e forma un mondo immaginario, che interpreta e rappresenta il mondo della soddisfazione dei bisogni. La cultura ha fini e soddisfazioni solamente in sé, ma interrompendo il fare di tutti i giorni arricchisce e ordina l’esistenza umana, per cui è indispensabile alla stessa vita ordinaria.

La cultura oltrepassa dunque il suo ambito e ha effetti sulle attività utilitarie, quindi anche sull’economia. Solo in tale prospettiva di autonomia della cultura, che deriviamo anche della nostra Costituzione, ha senso un’economia applicata alla cultura. La crisi attuale della cultura sta nella sua riduzione diffusa a stereotipi del tutto puerili. E’ una cultura scontata, volgare e falsa, priva di responsabilità, dignità e stile, posta al di sotto della vita ordinaria, mentre dovrebbe stare al di sopra. Ricostruire la cultura in Italia è un compito essenziale e urgentissimo, che riguarda la libertà civica, la libertà individuale, l’equità sociale, la vita materiale della Nazione.

Secondo la Costituzione, la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, per cui lo Stato è direttamente e in primo luogo coinvolto nella protezione dei beni culturali. Ma la Repubblica sembra aver rinunciato ad attuare questo principio fondamentale della nostra Carta.

Pochi dati, che tutti possono intendere. Dal Ministero per i beni culturali dipendono 120 archivi, 50 biblioteche, 17 direzioni regionali e 90 soprintendenze. Si tratta dunque di 277 centri di spesa. Per l’anno 2012, il Ministero dispone soltanto di 114 milioni di euro per gli investimenti. Se dividiamo questa cifra per i centri di spesa, si ottiene per ciascuno la cifra umiliante di 411 mila euro annui. Se poi togliamo a questa cifra i 29 milioni destinati a Ales(società in cui sono stati accorpati gli ex lavoratori socialmente utili) scendiamo a un totale di 85 milioni di euro. Il Ministero è oggi in grado di spendere 426 milioni l’anno, che è la media delle uscite di cassa negli ultimi tre anni. Mancano pertanto 312 milioni. 30 milioni circa potrebbero essere recuperati, se i fondi di Arcus potessero confluire nel bilancio del Ministero. Ma ora è sopravvenuto un taglio di quasi 9 milioni. In questa situazione, comprenderete perché mi sono permesso di proporre che la metà dei c.d. rimborsi elettorali siano destinati dal Governo alla cultura. Altrimenti si rinuncia al mantenimento del patrimonio culturale della Nazione. Questo deve essere ben chiaro.

Ma non basta. Bisogna anche varare una fiscalità di vantaggio per i beni culturali. Il Governo ha approvato di recente lo schema di disegno di legge recante la delega per la revisione del sistema fiscale. E’un’occasione che non va persa. Si tratta, in primo luogo, di pensare a un’ Iva agevolata: l’attuale regime non prevede alcun tipo di agevolazione volta a favorire interventi conservativi sui beni culturali. Serve, in secondo luogo, un nuovo regime riguardo alle detrazioni e deduzioni fiscali dall’imposta dei redditi. Serve, in terzo luogo, un regime fiscale agevolato per le sponsorizzazioni. Questi temi implicano aspetti specifici e proposte operative che sarebbe forse tedioso esporre in questo luogo. Allego pertanto una relazione tecnica sui suddetti argomenti, sperando che possa essere utile ai fini che Il Sole si propone. Concludo proponendo che le risorse non utilizzate, che giacciono nelle contabilità speciali a disposizione degli uffici del Ministero, non vengano sottratte al suo bilancio, in modo che il Ministero stesso possa ricavare, in tutto o in parte, i mezzi necessari a coprire il programma di fiscalità di vantaggio che qui propongo.

IL REGIME FISCALE DEI BENI CULTURALI.
PROPOSTE PER UNA FISCALITA’ DI VANTAGGIO.

1. La necessità storica di una fiscalità di vantaggio per i beni culturali.
Il nostro Paese attraversa un periodo di particolare difficoltà economica e sociale. Temi all’ordine del giorno in tutte le sedi di pubblico dibattito sono il risanamento dei conti pubblici e il rilancio dell’economia, in nome dei quali sono richiesti ai cittadini sacrifici notevoli, talora ai limiti della sostenibilità.

L’attuale Governo, costretto all’adozione di drastiche misure nella iniziale fase di gravissima emergenza economica in cui l’Italia versava al momento del suo insediamento, punta ora ad una radicale e altrettanto necessaria revisione dei conti pubblici, mediante la cosiddetta spending review, allo scopo di individuare gli sprechi e le voci di spesa non necessarie che possono essere tagliate.

Si tratta di un obiettivo ambizioso e difficile, che deve essere perseguito, a mio avviso, tenendo presenti le finalità di risanamento e sviluppo ma anche i valori fondanti della nostra collettività e l’immagine di società futura che siamo in grado di prefigurare. Per costruire una tale immagine non possiamo che tornare alle nostre radici, attingere alla civiltà e alla cultura che abbiamo costruito nei secoli, che costituiscono il nostro maggiore orgoglio e il più prezioso dei nostri beni comuni.
E’ venuto quindi il momento di proporre con forza all’agenda dell’Esecutivo il tema di una rinnovata e autentica fiscalità di vantaggio per i beni culturali, da indicare quale potente strumento di crescita culturale, sociale ed economica del Paese.

2. La delega fiscale: un’occasione da non perdere.
Il principio del vantaggio fiscale per le attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale è già attualmente sotteso alla legislazione tributaria e trova positiva emersione in una serie di disposizioni vigenti.
Ci si riferisce, in particolar modo, alle previsioni del Testo Unico delle Imposte sui Redditi concernenti ipotesi di detrazioni dall’imposta, per le persone fisiche, e di deduzione dall’imponibile, per le persone giuridiche, con riferimento alle spese per il restauro di beni vincolati e alle erogazioni liberali , nonché alla recente disposizione che prevede l’abbattimento del cinquanta per cento della base imponibile dell’IMU per i fabbricati di interesse storico o artistico di cui all’articolo 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio .

Le suddette disposizioni non hanno carattere episodico e non rispondono a scelte contingenti del legislatore, ma sono finalizzate a dare piena attuazione al valore costituzionale primario della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, sancito dall’articolo 9 della Costituzione.

Al riguardo, bisogna tenere presente che il Governo ha recentemente approvato lo schema di disegno di legge recante la delega per la revisione del sistema fiscale. La proposta normativa, che dovrà ora iniziare il suo iter parlamentare, prevede il necessario riordino delle spese fiscali, facendo salve, tra le altre, le priorità della tutela del patrimonio artistico e culturale. Si tratta di una specificazione importante, perché, sancisce, se non altro, la necessità di mantenere in vigore le agevolazioni fiscali attualmente previste.

Occorre, tuttavia, segnalare fin d’ora che un’eventuale interpretazione restrittiva della suddetta disposizione da parte del legislatore delegato, limitata al semplice – e pur apprezzabile – sforzo di tenere ferme le disposizioni vigenti, non può essere ritenuta soddisfacente.
L’indicazione che permette di offrire specifica considerazione, nel contesto della riforma fiscale, alla cosiddetta “eccezione culturale” dovrà, viceversa, essere intesa dal successivo decreto legislativo delegato in una più ampia lettura, e declinata in modo da derivarne un sistema integrato e coordinato di disposizioni volte a inaugurare una nuova e autentica fiscalità di vantaggio per i beni culturali.
In tale prospettiva, si reputa utile formulare alcune indicazioni e proposte operative.
3. IVA agevolata.
Il regime attuale dell’imposta sul valore aggiunto non prevede alcun tipo di agevolazione diretta a favorire gli interventi conservativi aventi ad oggetto i beni culturali.

Le agevolazioni fiscali in vigore per le attività di manutenzione, restauro e ristrutturazione non tengono conto dell’ eventualità che il bene interessato presenti un interesse culturale.

In particolare, è prevista l’applicazione dell’aliquota ridotta del 10% per le prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto relativi alla realizzazione di interventi di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia e di ristrutturazione urbanistica, nonché per l’acquisto dei beni, escluse le materie prime e semilavorate, forniti per la realizzazione dei suddetti interventi . Invece gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria beneficiano di uguale regime agevolato solo se realizzati su fabbricati a prevalente destinazione abitativa ovvero, limitatamente a quelli di manutenzione straordinaria, se eseguiti su edifici di edilizia residenziale pubblica.

Tale quadro normativo presenta notevoli criticità.

Anzitutto, come si è anticipato, il legislatore dimostra di non tenere in nessuna considerazione la circostanza che il bene oggetto dell’intervento presenti un particolare pregio, ciò che meriterebbe invece una agevolazione ulteriore rispetto alle ordinarie attività di recupero del patrimonio edilizio esistente.

Ma vi è di più. Secondo l’interpretazione delle suddette disposizioni fornita dalla stessa Agenzia delle entrate, le agevolazioni in questione non spettano per le attività aventi ad oggetto aree e manufatti archeologici, in quanto il regime fiscale premiale è subordinato dalla legge alla circostanza che il recupero abbia ad oggetto “edifici, organismi edilizi, ovvero di lotti, isolati e reti stradali”.

Infine, nessuna agevolazione IVA è prevista per gli interventi di restauro di beni culturali mobili, che, quindi, scontano necessariamente l’aliquota ordinaria, recentemente elevata al 21%.

E’ evidente che la logica sottesa alla disciplina normativa vigente è unicamente quella di favorire da un lato il recupero del patrimonio edilizio esistente, dall’altro lo sviluppo del settore edilizio. Tali finalità non possono però non accompagnarsi, in un Paese come l’Italia, a previsioni di maggior favore nei confronti degli interventi volti non solo alla conservazione, ma anche alla valorizzazione del patrimonio culturale, come, ad esempio, l’ulteriore riduzione dell’IVA al 4%.

Le agevolazioni dovrebbero, poi, necessariamente includere anche gli interventi di manutenzione ordinaria e, soprattutto, straordinaria dei beni vincolati, nonché il restauro dei beni culturali mobili e delle superfici decorate.

Si tratta di misure che – da un lato – favorirebbero la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale, dall’altra permetterebbero la ripresa economica di un settore – quello del restauro – cui oggi si affacciano con interesse tanti giovani in cerca di occupazione.
Per altro verso, tali misure costituirebbero la giusta contropartita offerta dallo Stato ai privati proprietari “gravati” dall’imposizione dei vincoli e dal correlativo regime di tutela.
4. Nuovo regime delle detrazioni e deduzioni fiscali dall’imposta sui redditi.
Altro settore che merita apposita considerazione – e ponderata rivisitazione – è quello delle agevolazioni fiscali previste in materia di imposta sui redditi delle persone fisiche.
Come si è anticipato, il d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante il Testo Unico delle imposte sui redditi, consente alle persone fisiche la detrazione dall’imposta dovuta, per un importo pari al 19%, delle spese per la manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate (art. 15, comma 1, lett. g)), nonché delle erogazioni liberali in favore di interventi su beni culturali o di iniziative culturali (art. 15, comma 1, lett. h)).

Per le persone giuridiche, il regime fiscale è, nelle medesime ipotesi, più favorevole, poiché è consentita non già la mera detrazione dall’imposta dovuta, bensì la deduzione dell’intero importo dalla base imponibile su cui avviene il calcolo del tributo (art. 100, comma 2, lett. e) ed f), del TUIR).
Con riferimento a queste disposizioni, si registrano importanti recenti interventi normativi, tutti diretti a incentivare il ricorso alle agevolazioni in argomento.

Anzitutto, l’art. 40, comma 9, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha introdotto significative misure di semplificazione delle procedure in materia di agevolazioni fiscali per i beni e le attività culturali, prevedendo la sostituzione dei relativi adempimenti burocratici con un’autocertificazione, salvi i necessari controlli successivi a campione da parte dell’Amministrazione.

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In secondo luogo, l’art. 42, comma 9, del medesimo decreto legge ha fatto giustizia della previgente disposizione normativa – di dubbia legittimità costituzionale – che impediva l’integrale riassegnazione al Ministero per i beni e le attività culturali delle somme erogate dai privati a titolo di liberalità. La nuova previsione stabilisce ora espressamente che le somme versate all’erario da soggetti pubblici e privati per uno scopo determinato, rientrante nei fini istituzionali del Ministero, siano assegnate alla predetta Amministrazione e da questa destinate necessariamente allo scopo per il quale sono state elargite.

Si auspica che l’adozione di queste misure possa consentire finalmente di raggiungere l’intero plafond destinato alle agevolazioni fiscali richiamate, che finora sono state utilizzate in misura nettamente inferiore rispetto ai mezzi di copertura previsti nel bilancio dello Stato.
Ma, nell’ottica di un complessivo ripensamento del sistema fiscale, anche queste misure meriterebbero di essere potenziate.

Un primo obiettivo, minimale, dovrebbe essere almeno quello di consentire anche alle persone fisiche l’integrale deduzione degli importi dalla base imponibile dell’imposta, come già previsto per le persone giuridiche. Si tratterebbe di una innovazione che si stima possibile adottare senza particolari difficoltà per il bilancio dello Stato, atteso che, come si è detto, lo stanziamento complessivo in bilancio per le agevolazioni sopra indicate non è mai stato integralmente sfruttato.
Ma una vera fiscalità di vantaggio per la cultura potrebbe e dovrebbe richiedere uno sforzo ulteriore.

Non si può non richiamare, in proposito, la disciplina vigente in Francia (art. 238 bis del Code général des impôts), che prevede la ben più incisiva misura della detraibilità dall’imposta dovuta, nella misura del 60%, dei versamenti effettuati dalle imprese soggette all’imposta sui redditi o all’imposta sulle società in favore, tra l’altro, di opere o di organismi di interesse generale aventi carattere culturale o concorrenti alla valorizzazione del patrimonio artistico, ovvero in favore dei musei di Francia, o ancora a beneficio dell’apposita “Fondazione del patrimonio” – deputata a promuovere la conoscenza, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale nazionale – per il fine specifico di sovvenzionare i lavori da eseguire su immobili di pregio non destinati allo sfruttamento commerciale.
5. Regime fiscale agevolato per le sponsorizzazioni.
Un altro capitolo che merita di essere affrontato in occasione dell’attuazione della delega fiscale attiene al regime delle sponsorizzazioni di beni culturali, disciplinate in via generale dall’articolo 120 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché, per alcune specifiche fattispecie, dagli artt. 26, 27 e 199-bis del Codice dei contratti pubblici.
Si tratta di un’attività che merita di essere ampiamente incentivata, poiché consente di reperire risorse da destinare ad interventi di conservazione o valorizzazione di beni culturali a all’organizzazione di iniziative culturali senza gravare sulle finanze pubbliche.
Al contempo, si è altresì in presenza di un settore economico molto promettente, che può svolgere anch’esso un ruolo non secondario nella ripresa economica, se si considera che l’attività di sponsorizzazione di beni culturali spesso è organizzata ricorrendo ad intermediari, società di pubblicità, imprese specializzate nell’organizzazione di eventi promozionali presso luoghi della cultura, e via dicendo.

Infine, occorre tenere presente che la sponsorizzazione degli interventi aventi ad oggetto il nostro patrimonio culturale suscita notevole interesse anche presso imprese straniere e, soprattutto, multinazionali, le quali considerano spesso strategica l’associazione del proprio nome, marchio, immagine, attività o prodotto al restauro di un monumento particolarmente noto. In questo senso, la promozione, mediante adeguati strumenti, delle sponsorizzazioni di beni culturali può costituire anche un prezioso strumento per favorire l’investimento di imprese straniere in Italia.

Anche in tema di sponsorizzazioni si registrano recenti interventi normativi mirati a promuovere il ricorso, da parte delle pubblica amministrazioni, a tale strumento contrattuale. Si segnalano, in particolare, le disposizioni dell’articolo 2, comma 7, del decreto legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, il quale detta disposizioni di semplificazione delle procedure per il ricorso alla sponsorizzazione al fine della realizzazione del programma straordinario e urgente per Pompei, nonché il già citato art. 199-bis del Codice dei contratti pubblici , anche questo volto a dettare disposizioni finalizzate a disciplinare in via generale e in modo chiaro il corretto iter per la stipulazione di contratti di sponsorizzazione di beni culturali, così agevolando le amministrazioni che intendano farvi ricorso.
Nessun intervento legislativo, invece, ha ancora provveduto a chiarire una volta per tutte il regime fiscale applicabile alle suddette sponsorizzazioni, che continua ad essere incerto, con grave danno per gli operatori economici interessati.

In proposito, il TUIR non detta una disciplina specifica per i contratti di sponsorizzazione, ma distingue, all’art. 108, comma 2, le spese di pubblicità e di propaganda, “deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi”, e le spese di rappresentanza, “deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa”.

Si pone, pertanto, il problema, spesso di difficile soluzione, di stabilire se e in che misura le spese per sponsorizzazioni possano rientrare nell’una o nell’altra tipologia di spese deducibili. Il tema è particolarmente complesso, e può solo segnalarsi, in questa sede, che secondo l’interpretazione prevalente le spese di rappresentanza si caratterizzerebbero per la gratuità, per cui non sarebbero qualificabili come tale le spese per sponsorizzazioni, in quanto originanti da contratti a prestazioni corrispettive.

Le sponsorizzazioni dovrebbero, quindi, rientrare nella fattispecie delle spese di pubblicità. In proposito, va, però, segnalato come l’amministrazione finanziaria abbia ritenuto, specie con riferimento alle sponsorizzazioni sportive, che le stesse possano considerarsi di natura pubblicitaria e inerenti alla produzione del reddito solo se direttamente finalizzate allo scopo di promuovere il prodotto dell’impresa sponsor, mentre nelle altre ipotesi non sarebbero deducibili.

In tale incerto quadro normativo sarebbe auspicabile un intervento del legislatore, allo scopo di consentire sempre l’integrale deduzione, almeno ai fini dell’imposta sui redditi, delle sponsorizzazioni finalizzate alla realizzazione di interventi di tutela o valorizzazione di beni culturali o di iniziative culturali.

6. Spending review.
In conclusione di questo intervento bisogna ritornare al punto da cui si è partiti, ovvero l’esigenza di una radicale revisione della spesa pubblica, allo scopo di evitare l’incremento della pressione fiscale sui cittadini.
In proposito, uno sforzo potrebbe essere compiuto anche da parte del Ministero per i beni e le attività culturali, soprattutto mediante la riallocazione delle risorse non utilizzate giacenti nelle contabilità speciali a disposizione degli uffici, e che derivano da stanziamenti non impegnati, da residui perenti o da economie realizzate nelle procedure di gara per la stipulazione di contratti pubblici.

E’ mia opinione che, con specifico riferimento a quella Amministrazione, tali risorse non debbano essere sottratte al bilancio del Ministero, ma riallocate in modo razionale. In tal senso, proprio dalla revisione della attuale destinazione delle somme già disponibili lo stesso Ministero potrebbe ricavare, in tutto o in gran parte, i mezzi finanziari di copertura dell’ambizioso programma di fiscalità di vantaggio che si è inteso suggerire.

Ciò consentirebbe di reinserire nel circuito virtuoso dell’economia risorse al momento non utilizzate o allocate in modo non adeguato, favorendo anche lo sviluppo, mediante le agevolazioni che si sono indicate, di tutti i settori costituenti la cosiddetta “industria culturale”. Si tratta di un comparto della nostra economia – quello direttamente o indirettamente legato al nostro patrimonio culturale – che, in base a tutti i dati disponibili, non solo non sembra soffrire della crisi economica imperante, ma risulta, anzi, in netta crescita negli ultimi anni.

E’ quindi da ritenere che un intelligente investimento dello Stato in cultura, mediante misure da attuare senza nuovi oneri tributari per la collettività, nel senso indicato, costituirebbe certamente un moltiplicatore di ricchezza che potrebbe fare da volano alla ripresa economica del Paese.
Al contempo, l’investimento in cultura rilancerebbe l’immagine del Paese all’estero, con ulteriore beneficio per l’economia generale.

Non da ultimo, una speciale attenzione del legislatore alla cosiddetta “eccezione culturale” avrebbe, nell’attuale momento storico, un valore simbolico fondamentale, poiché varrebbe a sancire definitivamente l’esigenza – sempre più diffusamente avvertita dalla collettività – di una considerazione specifica, nell’ambito del nostro ordinamento giuridico, alle esigenze di tutela del patrimonio culturale, che rappresenta la fondamentale matrice identitaria e il tratto caratterizzante, universalmente riconosciuto, della civiltà che il nostro Paese è stato in grado di esprimere nel corso dei secoli.

Andrea Carandini è archeologo e presidente del Consiglio superiore del MiBAC. Questa è un’anticipazione dell’intervento che il professore terrà oggi alle 18 al Salone del Libro di Torino.

Il Sole 24 Ore 10.05.12

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