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"Il doppio gioco di Berlusconi", di Michele Prospero

In questo interminabile finale di legislatura la destra assume come suo prioritario obiettivo quello di accompagnare verso un lento logoramento il suo principale avversario. Corruzione e falso in bilancio, si sa, sono temi molto caldi. Argomenti che da sempre scoprono i nervi più sensibili del berlusconismo. Da vent’anni ormai la presenza del Cavaliere in politica sovente non trova altra giustificazione che la protezione (oltre che degli infiniti suoi averi) della fedina penale del capo. Questa cura maniacale del
certificato di buona condotta viene fatta valere con strumenti legislativi talora aberranti, cioè con norme ad personam che stravolgono i pilastri del moderno costituzionalismo. Malgrado il copione sia quello antico, quanto accaduto ieri alla Camera è ugualmente una sceneggiata assai squallida. Dietro cova una operazione di artificiale rigonfiamento della rabbia antipolitica, secondo il disegno di una estrema chiamata di correità generale che è davvero spudorata nel suo cinismo. L’ostruzionismo, neanche troppo camuffato, è l’arma letale di una destra allo sbando che accarezza un calcolo inquietante: mettere in profondo imbarazzo le forze politiche che, solo per un senso di spiccata responsabilità nazionale, nel novembre scorso non hanno fatto saltare il tavolo del gioco. Su questioni a elevato significato simbolico (corruzione, legge elettorale, costi della politica), il Pdl fa di tutto per sabotare ogni riforma e lasciare così che il confronto politico resti in eterno dominato dai rumori di fondo del giustizialismo. È come se la strategia del Cavaliere disarcionato fosse solo quella di alimentare ad arte il fuoco dell’antipolitica attraverso una sfacciata pratica dilatoria, sorda verso qualsiasi innovazione ed escogitata apposta per surriscaldare il risentimento irriducibile contro la politica nel suo complesso. Più la nuvola dell’antipolitica si espande minacciosa e più aumentano le possibilità per la destra di acciuffare tutti i partiti per coinvolgerli nella comune deriva catastrofica. La sensazione che la crisi si aggravi e stia sfuggendo al controllo è perciò molto forte. L’equilibrio, che per alcuni mesi sembrava granitico, si è spezzato. Un governo tecnico, cioè retto con un ceto politico di riserva il cui futuro è ancora incerto, accompagnato da un presidente della Repubblica autorevole che sempre più si avvicina alla fine del mandato, non assicura più quella tenuta dinanzi all’emergenza che nei primi mesi dell’esperienza Monti pareva d’acciaio. Il fattore tempo non aiuta il governo e il Pdl aumenta le sue quotidiane prove tecniche di volgare provocazione per indurre l’avversario in tentazione. E in molti stanno al gioco. Quando il Corriere della Sera in sostanza fa le pulci alla dichiarazione del Capo dello Stato sul rischio di derive demagogiche e promuove Grillo a pieni voti («i programmi di
Grillo traboccano di proposte», mentre è meglio stare alla larga dai «capponi» o ragazzi «allevati dai partiti», e pure dal Parlamento che «manca di rispetto» ai cittadini) è evidente che è scattato il rompete le righe. Anche il clima di conformismo mediatico edificato attorno ai tecnici è di fatto evaporato e in molti pescano nel torbido civettando con l’antipolitica. Pensano così di inguaiare il Pd, già sotto tensione per una crisi sociale lacerante che certi provvedimenti strabici dell’esecutivo vorrebbero accollare solo al lavoro e ai ceti popolari. Buttando macigni contro ogni riforma della politica, la destra spera di potere poi gridare a piè sospinto contro la «casta» omologata, tutta da spazzare via. Responsabili sì, anche quando è costoso, ma sprovveduti proprio no.

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