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Errani: "Nuova fase in Europa, ora tocca a noi", di Maria Zegarelli

«L’Europa deve cambiare strategia e mettere al centro politiche di crescita per uscire dal circuito vizioso in cui ci siamo trovati con l’asse Sarkozy-Merkel». Il governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani parla proprio mentre è in corso la video conferenza tra il premier Mario Monti e i leader europei che parteciperanno al G8 di Camp David. E se l’Europa deve cambiare strategia anche il governo deve dare segnali chiari. A cominciare dall’allentamento del Patto di stabilità che sta strozzando Regioni ed enti locali. Errani, a Camp David la crisi europea occuperà la scena.

Lei crede davvero che dopo l’elezione di Hollande la cancelliere rivedrà le proprie posizioni?

«L’Europa deve cambiare rotta, riagganciando la strategia Europa 2020 che è l’asse fondamentale. La vittoria di Hollande può aprire una fase nuova e il governo italiano con Monti può svolgere un ruolo fondamentale. Si deve partire con gli eurobond e una selezione politica di investimenti di rete che soltanto un’Europa con una propria banca è in grado di fare. Occorrono politiche di sostegno alla moneta, una politica economica e estera unitaria, tutte cose che con la guida egemonica della destra l’Ue non è stata in grado di fare».

Durante la conference call si sono detti tutti concordi sul fatto che insieme al rigore occorra la crescita. È questo il primo segnale del cambio di rotta in Europa?

«Sono convinto che con l’esito delle elezioni in Francia si sia aperta una nuova fase in Europa, anche perché diventa sempre più evidente nella concretezza della realtà che la politica Merkel-Sarkozy non dà prospettive. È altrettanto evidente che nessuno, Germania compresa, possa salvarsi da solo di fronte agli Stati Uniti, alla Cina e alle nuove realtà emergenti».

L’Italia non è la Grecia, ma non crede che il grado di sofferenza sociale sia anche da noi ai livelli di guardia?

«L’Italia sta vivendo, oltre alla crisi economica, una gravissima crisi sociale e occorre che il governo sappia dare alcuni segnali seri in tempi molto rapidi. Penso a un allentamento del patto di stabilità che, a iniziare dai Comuni, permetterebbe di fare politiche di investimento e sostegno all’occupazione; ai pagamenti per le imprese attraverso una politica anche di factoring utilizzando la Cassa depositi e prestiti; a un’accelerazione delle politiche di equità, a partire dalla soluzione del problema degli esodati. Sono tutte cose di cui c’è urgente bisogno adesso».

Il Pd chiede anche l’alleggerimento della tassa più odiata dagli italiani, l’Imu. Sarà possibile arrivarci?

«Il governo deve ripensare l’Imu, soprattutto sulla prima casa, e potrebbe farlo attraverso una patrimoniale sulle grandi proprietà immobiliari, al di sopra di un milione di curo. E poi è necessario procedere con la spending rewiev, per la quale Stato ed enti locali devono fare uno sforzo, scegliendo insieme ed evitando di colpire ancora i servizi, la sanità, l’istruzione, su cui si fonda la coesione sociale. Su questo proviamo a fare un patto, costruiamo politiche industriali insieme, in modo integrato. Occorre un colpo di reni da parte del governo, delle istituzioni e del Parlamento che deve procedere con il taglio dei finanziamenti ai partiti e le riforme. Solo in questo modo si risponde ai problemi che ci pone il Paese».

Tutti parlano dell’urgenza delle riforme, eppure in Parlamento c’è chi sembra mettersi di traverso. Secondo lei si faranno entro la legislatura?

«Il Pd deve battersi con tutte le sue forze per fare le riforme. Poi dovrà indicare bene agli italiani di chi sono le responsabilità, se le riforme non andranno avanti. Il nostro obiettivo è quello di portarle a termine entro questa legislatura, ma ciascuna forza politica si deve assu- mere le proprie responsabilità perché “il tutti uguali” non esiste. E quanto sia sbagliato dire che sono tutti uguali è evidente da come sta andando il dibattito in Parlamento sulla giustizia e sulla riforma della legge elettorale». Ma molti italiani pensano davvero che “sono tutti uguali”.

Quanto rischia il Pd nei ballottaggi dove i candidati grillini pescano nel voto di protesta e nella domanda di cambiamento?

«Vorrei partire da Parma. Il fallimento delle amministrazioni di centrodestra ha portato il Comune al disastro, con un debito enorme. In discussione ci sono i servizi e la tenuta stessa della città: Parma, con le sue eccellenze, ha le energie per farcela senza che qualcuno, dall’alto, la usi come cavia. C’è bisogno di un sindaco in grado di affrontare le questioni, non servono slogan o demagogia, bisogna stare al merito. Bernazzoli ha un programma serio. Vedo però che alcuni dei responsabili del disastro cittadino ora sono schierati con il candidato di Grillo. E dai grillini non una parola, non una presa di distanza. È questa la nuova politica? A me pare ci sia qualcosa di già visto…»

Dopo il ballottaggio si parlerà di elezioni politiche. Il Pdl dice che con Montezemolo è quasi fatta e tende la mano a Casini. Il Pd a chi deve guardare per le alleanze?

«Noi dobbiamo stare lontani dal politicismo, che non è la chiave giusta per le alleanze. Il Paese pone una domanda di cambiamento: il Pd e Bersani rispondono con un impegno per la ricostruzione. Presenteremo il nostro programma: poi lavoreremo insieme a chi è disposto ad accettare questa sfida».

Renzi è tornato sulle primarie: sostiene che non ci si può appellare allo Statuto. Si devono fare oppure no?

«Ci troviamo di fronte a una discussione astratta e fuori dal tempo. Bersani è stato il primo a dire che non si nasconderà dietro a una norma statutaria e quando sarà il momento decideremo insieme cosa fare. Ma adesso i problemi sono altri: la grave crisi sociale e la domanda di cambiamento».

l’Unità 18.05.12